In data 23 settembre scorso il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il disegno di legge, di iniziativa del Governo, che conferiva delega al Governo in materia di riforma del processo penale per migliorarne l’efficienza nonché in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione del processo penale. La legge veniva pubblicata col numero 134, nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre. In realtà, all’art. 1 la delega risulta assai più ampia di quella indicata nel titolo della legge, tanto da prevedere espressamente “più decreti legislativi” di attuazione. In questa sede l’attenzione intende soffermarsi sul punto sicuramente più importante della legge, quello attinente all’introduzione tra gli istituti della procedura penale di una inedita previsione di “improcedibilità” del processo.
La legge delega, tuttavia, non evita un problema di compatibilità in materia di prescrizione tra il dettato della riforma Bonafede (legge n. 3/2019 del 9 gennaio 2019) e il progetto di riforma dell’attuale ministra della Giustizia. La prima, infatti, disponeva, all’art. 1 lett. d) che: “all'articolo 159, era sostituito dal seguente: Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell'irrevocabilità del decreto di condanna”.
La disposizione veniva giustamente criticata per avere introdotto il “processo eterno”, in una logica giustizialista di quella fase politica, ma, stranamente essa viene confermata e ribadita dalla legge delega Cartabia, sia pure con precisazioni di carattere procedurale, irrilevanti ai fini di questa esposizione. All’art. 2 di tale disegno di legge, tale conferma è tuttavia contraddetta (e in qualche modo superata) dalla introduzione nel codice di procedura penale dell’art. 344 bis il cui titolo è “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”. Termine che viene fissato in due anni per il giudizio di appello e in un anno per il giudizio in Cassazione. Termini assai brevi, decorrenti dal termine massimo di novanta giorni per il deposito della sentenza impugnata, con possibilità di aumento di un anno per il giudizio di appello e di sei mesi per quello di Cassazione prevista dal comma 4 per giudizi particolarmente complessi e per quelli relativi a terrorismo, criminalità organizzata di tipo mafioso e altre figure di reato di particolare gravità.
Non è chi non veda come l’improcedibilità renda il processo monco di quella che dovrebbe essere la sua funzione principale, quella cioè di stabilire, in presenza di ipotesi di reato, chi ne sia l’autore e se sussistano le condizioni, oggettive e soggettive, per poterne dare una valutazione di responsabilità. Situazione di incertezza superiore a quella derivante dall’applicazione di una delle ipotesi di estinzione del reato, di cui agli artt. 150-170 del Codice penale. In presenza di tali ipotesi, infatti, il giudice non potrà dichiararla se “dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità”. Una tale previsione non è contemplata in caso di improcedibilità del processo per effetto dello spirare del termine previsto dalla legge Cartabia, anche quando siano state acquisite in primo grado prove sufficienti per escludere la responsabilità dell’imputato, e ciò in violazione del principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost.
Anche se l’operatività delle disposizioni sopra citate dovrà attendere l’emissione dei decreti legislativi, si porrà comunque il problema dei tempi particolarmente brevi entro i quali i giudici dell’impugnazione dovranno definire i processi pendenti se vorranno evitare la ghigliottina della improcedibilità. Si ha l’impressione che non si sia tenuto conto di alcune circostanze che rendono alta la probabilità della ghigliottina della improcedibilità sopravvenuta. È noto, infatti, che la maggiore pendenza di processi penali in attesa di definizione si registra proprio nelle Corti d’Appello (o, almeno in alcune di esse) e, sia pure in misura minore, in Cassazione. Ciò condurrà a esiti che non è azzardato definire paradossali.
Ci saranno processi rapidamente definiti in primo grado che si estingueranno per il mancato rispetto dei termini per la celebrazione del giudizio di appello anche quando sarebbe ancora lontano il termine di prescrizione previsto dalla preesistente normativa. Così come ci saranno processi che si concludono a ridosso della scadenza del previgente termine di prescrizione e che verranno prolungati dall’entrata in funzione degli ulteriori termini procedurali introdotti per appello e Cassazione.
La rigida disciplina di cui sopra subisce deroghe. La prima è quella prevista dal comma 7, quando è l’imputato a chiedere la prosecuzione del processo oltre i limiti della procedibilità, avendo egli interesse che il procedimento si concluda con una sentenza di assoluzione nel merito. La seconda, prevista dal comma 9, si ha quando si procede per delitti puniti con l’ergastolo anche quando tale pena viene raggiunta per effetto dell’applicazione delle circostanze aggravanti previste dall’art. 576 del Codice penale per il reato di omicidio volontario.
Le norme della legge delega contengono secondo la Costituzione (art. 76) “principi e criteri direttivi” fissati dal Parlamento (potere legislativo) che autorizzano il Governo ad emettere i decreti legislativi, che fissano nel dettaglio la disciplina di una determinata materia. Per meglio chiarire il concetto la legge delega dovrà fare da “cornice” entro la quale può esercitarsi il potere legislativo del governo. Qualora il governo ecceda i limiti indicati nella legge delega, ad es. adottando provvedimenti normativi non previsti nella delega, le relative norme potranno essere dichiarate dalla Corte costituzionale viziate da illegittimità costituzionale per "eccesso di delega legislativa". La previsione costituzionale in materia di potere legislativo del governo prevede sia il caso del decreto-legge, nel qual caso il potere del Parlamento segue e controlla l’attività del Governo (art. 77), sia caso contrario della legge delega con la quale è il Parlamento a fissare in via preventiva e vincolante il limite del potere legislativo del Governo.
La legge delega si conclude con la previsione di cui al comma 32 che l’applicazione della legge e dei successivi decreti legislativi non possa comportare “nuovi o maggiori oneri di spesa a carico della finanza pubblica”, tranne che in materia di giustizia riparativa e di spese per l’istituzione dell’ufficio per il processo. Quello che conta è la “neutralità finanziaria”. Nessun potenziamento quindi degli uffici di cancelleria e segreteria per Corti d’Appello e per Corte di Cassazione, per l’informatizzazione del processo penale.
Un’ultima, non per questo meno importante, considerazione, attiene alla compatibilità dell’improcedibilità del processo con l’obbligatorietà dell’azione penale da parte del p.m. come stabilito dall’art. 112 della Costituzione. La questione si era già posta all’attenzione della Corte costituzionale quando si intervenne per la limitazione dei poteri di impugnazione del p.m. con la quale si sostenne la violazione della par condicio delle parti e con la vigenza dell’art. 112 anche in fase di impugnazione. La questione riprende attualità con la previsione dell’improcedibilità, che impedisce che il potere-dovere dell’esercizio dell’azione penale in capo al p.m. arrivi a compiere il suo percorso sino in fondo (cfr. da ultimo Corte Costituzionale sentenza 26 febbraio 2020, n. 34).