Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Valentina Porcelli (Foggia, 1987).
Donne. Donne ritratte in pose apparentemente statiche. Donne sospese in un tempo cristallizzato. Donne colte in un luogo che non c’è. La pittura di Valentina Porcelli è popolata da adolescenti o giovani donne che ci osservano da un altrove privo di indizi. Una zona neutra, in cui lo spazio viene annullato da un fondale chiaro e monocromo, o più raffinatamente da una superficie rivestita in foglia d’oro. Nel caso dei fondi aurei, il rimando alla pittura medievale delle pale d’altare o dei polittici e, ancor prima, alla regalità musiva delle icone bizantine ravennati, è quanto mai evidente. Ma questo oro, così omogeneo, così pacato e ultraterreno, occorre alla pittrice per conferire al soggetto dipinto – sempre centrale e sempre isolato – un’aurea mistica, una sorta di sacralità. Sono donne che interagiscono con la natura. Una natura che si affaccia timida in quei non luoghi. Fiori sbocciano tra i loro capelli, uccelli vi creano un nido, timidi rami ne incorniciano i corpi. Sono donne dalle fattezze simili, di quadro in quadro. O forse si tratta della stessa donna – alter ego dell’artista – che, di quadro in quadro, mediante piccoli gesti si racconta. Dobbiamo rincorrerlo il suo sguardo, in una calma surreale, in una placidità propria di chi sta per svelarti qualcosa che forse non saprai afferrare.
Valentina Porcelli vive e lavora a Milano e questa e la sua voce creativa per voi.
Chi è Valentina?
Valentina ama la riservatezza, odia le ingiustizie e l’arroganza in tutte le sue forme. Si definisce spesso una sognatrice con i piedi ben piantati a terra.
Qual è il valore del silenzio?
Per me il silenzio ha un valore incommensurabile, soprattutto durante la meditazione spirituale ed artistica.
Cosa vive, della bambina che eri, nella tua quotidianità?
La curiosità, la meraviglia. Cerco di non dare mai nulla per scontato.
Il colore dell’attesa?
Il verde. Lo paragono al colore della natura, alle foglie degli alberi che attendono l’alternarsi delle stagioni con un’estrema e impercettibile tenacia.
Come e quando ti innamori della pittura?
Avevo diciassette anni quando mi accinsi per la prima volta ad utilizzare la pittura ad olio. Fino a quel momento prediligevo il disegno piuttosto che il colore. Per anni avevo ammirato e contemplato i ritratti che andavano dal periodo rinascimentale a quello ottocentesco, ma fino a quel momento non avvertivo la necessità di impiegare l’olio nei miei lavori. Poi da lì è scattato qualcosa, una scintilla che mi ha portata ad approfondire questa conoscenza e ad affinarne la tecnica.
Come inizia il tuo percorso artistico?
Fin dalla tenera età la mia attenzione è ruotata attorno alla figura umana, dalle illustrazioni dei libri per bambini ai ritratti, fino alle fotografie di moda. Da ragazza ho frequentato l’Istituto d’Arte e mi sono diplomata in decorazione. Poi, per amore della storia, mi sono iscritta alla facoltà di Archeologia, ma questa scelta mi ha fatto capire che stavo andando verso la direzione sbagliata e così ho deciso di tornare nuovamente al punto di partenza, cioè l’arte, iscrivendomi a Pittura all’Accademia di Belle Arti della mia città natale. Un episodio rilevante è stato l’assegnazione del primo Premio Pittura per la categoria giovani alla Biennale di Salerno del 2016, in seguito al quale ho avuto buoni riscontri da parte di curatori e galleristi. Questa esperienza mi ha portata a credere che la pittura potesse diventare il mio lavoro.
Dove passeggeresti per ore a piedi nudi?
In un bosco, senza alcun dubbio.
Ci parli della creatura femminile che abita i tuoi dipinti?
Nella figura femminile vedo e ritrovo me stessa, vi è un’immedesimazione completa con la modella che scelgo. Seleziono le donne dei miei dipinti per quello che mi comunicano fisicamente, ma è il volto che mi colpisce per primo. Amo le imperfezioni perché vi è bellezza in esse, le asimmetrie creano movimento e si allontanano dai soliti canoni estetici che vanno per la maggiore. In molti miei dipinti le protagoniste guardano lo spettatore. Viene così a crearsi un’intesa, un dialogo diretto con il pubblico, un linguaggio misterioso che definisco “connessione di sguardi”.
I tuoi lavori hanno spesso un fondo aureo che ricorda evidentemente le pale d’altare medievali o i mosaici bizantini. In quel caso l’oro era considerato la quintessenza della trascendenza, pura spiritualità. Quale valore ha, invece, nel tuo lavoro?
L’impiego della foglia oro è nato dall’esigenza di esaltare e divinizzare l’universo femminile. Il riferimento all’arte sacra è voluto, in quanto lo splendore dell’oro impreziosisce il soggetto e lo immerge in un’aura mistica. I suoi giochi di luce mi ricordano quelli dei raggi solari ed è proprio il rimando alla natura che voglio imprimere su tela.
Che ruolo ha la memoria nella tua pittura?
Ha un ruolo indispensabile. È il riassunto della mia giovane esistenza e di tutto ciò che negli anni ho assorbito visivamente e mentalmente. L’esperienza di vita altro non è che la memoria e la storia di ognuno di noi, che cerco in qualche modo di filtrare attraverso la mia sensibilità emotiva.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?
Assolutamente, non di rado il pubblico trova delle somiglianze fisiche con le protagoniste dei miei dipinti. E come ho detto precedentemente, questo accade perché vi è una completa identificazione con ciò che ho di fronte.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Credo che debba essere quello di sfondare quel sistema chiuso e maschilista che esiste da sempre. Non voglio paragonare la nostra situazione di artiste contemporanee a quella del diciassettesimo secolo, ma noto nel mio piccolo che abbiamo ancora tanta strada da fare per scardinare una certa mentalità e una serie di pregiudizi che vertono intorno al sistema dell’arte.
Quando una donna è libera, secondo te?
Secondo me una donna è libera nel momento in cui le scelte che compie sono così fortemente consapevoli da non destarle alcun dubbio né sensi di colpa. Questo avviene, per citare Orwell, quando “la libertà è uno stato mentale”, quando una donna riesce a distruggere le proprie prigioni interiori.
Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?
Reminiscenze. È nato durante lo scoppio della pandemia, mi ha aiutato a superare un momento delicato, scavando e facendo emergere tutto quello che avevo assimilato nel tempo, dandomi anche la spinta ad usare elementi naturali nella composizione. L’opera rappresenta l’incontro tra uomo e natura, in questo caso “donna” e natura e anche un richiamo, da qui “reminiscenza”, alla Dama di Antonio del Pollaiolo.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
Amo soprattutto le biografie storiche e i romanzi. Mi vengono in mente due letture recenti: Le disobbedienti di Elisabetta Rasy e Pamela di Samuel Richardson.
Scegli tre delle tue opere per raccontarci la tua ricerca.
L’Attesa, 2016.
È un’opera a me cara, in quanto rappresenta il mio esordio e il mio primo Premio in Pittura. Raffigura una giovane donna seduta su una sedia posta frontalmente, la quale sembra colta in un luogo e un tempo sospesi, in uno spazio rarefatto e onirico.
L’equilibrio sospeso, 2018.
È un lavoro nato durante la mia gravidanza. Raffigura la protagonista in una posizione di semi equilibrio, in cui si appresta ad un dialogo intimo con un pettirosso appoggiato sulla sua gamba. Il pettirosso incarna diverse simbologie, tra cui la speranza. Quest’opera personifica la ricerca spasmodica di armonia messa a dura prova dagli eventi e i cambiamenti della vita.
Blue Bird, 2021.
Raffigura l’unione tra cielo e terra: i colibrì e la donna. La posa di quest’ultima ricorda l’apertura alare di un uccello, a simbolo di libertà e rinascita. Da qui il titolo.
L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?
La Morte della Vergine di Caravaggio.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Elizabeth Vigée Le Brun.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
Ne ho in mente tre, ma per scaramanzia preferisco non rivelarne i nomi!
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Elitario, chiuso, sessista.
Work in progress e progetti per il futuro.
Ci saranno collaborazioni con nuove gallerie e poi a breve il trasferimento nella città di Parma. Questo cambiamento importante sicuramente mi darà nuovi stimoli artistici e arricchirà la mia persona.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
Gli ostacoli non mi fermano. Ogni ostacolo si sottomette alla rigida determinazione.
(Leonardo da Vinci)