Il Laboratorio Polimaterico dei Musei Vaticani è un centro di formazione permanente, il lavoro delle sette restauratrici, è principalmente rivolto alla conoscenza, alla conservazione e alla condivisione di nuove e inesplorate tecniche di produzione provenienti dalle diverse aree del mondo. Questa straordinaria esperienza permette loro di confrontarsi con una molteplicità di materiali autoctoni appartenenti a tutte le culture extraeuropee, sperimentando pratiche partecipative che sono di cruciale importanza nel presente e nel futuro della conservazione.
Fortunatina Cuozzo, è la restauratrice che si prende cura da anni della preziosa collezione di vasi Shipibo, antico e sapiente gruppo etnico delle regioni dell'Amazzonia peruviana che presto potremo ammirare in esposizione, nella sezione Americhe del museo Anima Mundi nei Musei Vaticani.
Ci illustri per favore la collezione di vasi Shipibo.
Le etnie Shipibo sono distribuite lungo le rive del fiume Ucayali, le sue principali attività economiche sono la pesca e l'artigianato, custodi di una straordinaria conoscenza ancestrale della natura, hanno conservato i loro valori tradizionali e una visione dell'universo strutturata in una serie di pratiche rituali sciamanici ancora intatta. Questa straordinaria testimonianza della tradizionale tecnica di lavorazione della ceramica, che alcuni studiosi fanno risalire al IX secolo, è considerata una delle più importanti produzioni artigianali dei popoli indigeni amazzonici, soprattutto per le pregevoli decorazioni geometriche dai contenuti simbolici e spirituali ritenuti segni di identità. Il tradizionale sistema di disegno chiamato nella loro lingua Kenè, è stato dichiarato Patrimonio Culturale della Nazione dall'Istituto Nazionale della Cultura del Perù dal 2008. La ceramica è ritenuta la più importante espressione dell'arte indigena Amazzonica, realizzata dalle donne con materiali autoctoni presenti solo nelle zone di produzione, viene tramandata di madre in figlia, di generazione in generazione.
Quali sono state le motivazioni che vi hanno indotto ad intervenire su questi beni e che tipo di tecnica utilizzano le donne Shipibo?
La scelta dell'intervento sulla collezione delle ceramiche Shipibo è stata motivata dalla consapevolezza dell'importanza di approfondire le conoscenze sui contesti e sul modus operandi, nei quali le opere sono state realizzate per individuare e progettare attraverso le informazioni acquisite, soluzioni conservative che le preservino nel rispetto delle loro radici culturali. Nel caso dell’amazzonia peruviana, l’argilla con la quale vengono realizzati i vasi, è raccolta durante la stagione secca tra maggio e settembre ai margini di fiumi e dei ruscelli, liberata dalle impurità, viene messa in ceste e foglie di Palma, trasportata al villaggio, conservata in luoghi freschi per evitarne l'essiccamento. I vasi sono modellati a mano con l'antica tecnica del colombino un metodo impiegato da tutte le etnie dell'Amazzonia che non usano il tornio.
Dopo la foggiatura e l’essicazione al sole per alcuni giorni, fino al raggiungimento della durezza cuoio, il vaso viene ulteriormente levigato con una pietra nera chiamata renkati, lo spessore finale dell'argilla è di pochi millimetri, il risultato è un contenitore estremamente leggero e sottile.
Prima della cottura per ridurne la porosità, il vaso viene ingobbiato sulla parete esterna con ocra rossa o argilla bianca locale, detta maùsh contenente caolino e proveniente da una zona collinare nei pressi del fiume Ucayali. Dopo un ulteriore levigatura, su questa base bianca vengono dipinti o incisi motivi geometrici ricchi di significati, gli stessi motivi decorativi oltre che sulla ceramica vengono eseguiti su molti materiali, come tessuto legno ed altro. In occasione di importati cerimonie per la comunità vengono utilizzati per adornare il viso e altre parti del corpo.
I motivi geometrici per le artiste Shipibo sono una traccia grafica di una melodia codificata, una rappresentazione simbolica della loro visione del cosmo. La linea principale nonché il motivo centrale utilizzata nel disegno shipibo, rappresenta Ronin l'anaconda primordiale che in base alla cosmogonia amazzonica diede origine all'Universo, traducendo in un canto i motivi presenti sulla propria pelle. Infatti, il serpente cosmico è considerato fonte di tutti i disegni e viene raffigurato in tutte le possibili varianti di linee associabili al manto della sua pelle. Per dipingere, si utilizzano materiali naturali come i pigmenti inorganici, ossidi di ferro o ematite, applicati con pennelli costruiti con ciocche di capelli o fuscelli di legno. Nonostante le somiglianze, ogni vaso ha una decorazione diversa e per questo e da considerarsi un “unicum”. La cottura dei vasi viene eseguita solitamente al centro di un fuoco a cielo aperto. Dopo la cottura, la ceramica è impermeabilizzata e rivestita con resine naturali di alberi locali che assumono l’aspetto lucido di una vernice trasparente.
Da tempo affrontate la conservazione dei beni polimaterici sviluppando metodologie tecnicamente non convenzionali, questo processo innovativo coinvolge musei e laboratori di restauro di tutto il mondo, sviluppando un dibattito sulla conservazione non solo esclusivamente sotto il profilo tecnico ma ponendo degli interrogativi rilevanti dal punto di vista etico e culturale?
Sì, la nostra esperienza all'interno del laboratorio ci suggerisce ormai da tempo di occuparci anche del valore culturale degli oggetti che custodiamo, sotteso alla straordinaria complessità dei beni polimaterici, abbiamo compreso infatti che la conservazione dei beni materiali non può prescindere dalla tutela del valore immateriale intangibile che essi rappresentano. La necessità di interpretare i codici e linguaggi che hanno ispirato la realizzazione del materiale indigeno si è dunque resa cruciale tanto ai fini del restauro che in ultimo ai fini dell'esposizione di questi oggetti all'interno del museo. Coinvolgiamo direttamente curatori, restauratori e le comunità di provenienza delle opere, impegnandoli a ricercare soluzioni operative ispirate al rispetto e alla comprensione di tutte le culture. Alla base di questo lavoro, risiede la consapevolezza dell'opportunità di avviare una riflessione rivolta alla valorizzazione delle culture indigene, l'obiettivo è quello di condividere l'esperienza della conservazione per favorire la funzione educativa del museo come luogo di dialogo interculturale, crocevia di una molteplicità di storie di punti di vista.