Un passo famoso di William Blake (…) ci aiuta ad afferrare la potenza del principio di fraternità: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e li ho trovati tutti e tre”. Invero, è nella pratica del dono come gratuità che la persona incontra congiuntamente il proprio io, l’altro e Dio. Viviamo in un’epoca desertica del pensiero, che stenta a concepire la complessità della condizione umana. È un pensiero sbriciolato che fatica a vedere i rapporti fra le tante dimensioni della nostra crisi. Fraternità e amicizia sociale, al modo di vaccino sociale, ci indicano allora la via pervia di uscita dalla cupa situazione dell’esistente.
(Stefano Zamagni)
Riguardo alla sostenibilità, nonostante sia un tema fondamentale di questi anni su cui tanto si discute, continuiamo ad avere una visione unidimensionale e unidirezionale. Poniamo noi stessi al centro di questo tema e ci chiediamo: cosa possiamo fare per essere più sostenibili? Come possiamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente?
Tutte domande legittime, specie alla luce della situazione drammatica che, con i nostri comportamenti in quanto specie dominante su questo pianeta, abbiamo creato. Per essere sostenibili, dovremmo lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Invece, non sappiamo nemmeno se riusciremo a lasciare loro un mondo, questo mondo, l’unico che abbiamo.
Se ribaltassimo il punto di osservazione, ci accorgeremmo che siamo noi, innanzi tutto, a essere sostenuti.
Ci accorgeremmo che non possiamo vivere senza l’ambiente naturale che ci sostiene: senza gli alberi che ci danno ossigeno e riparo e che partecipano al mantenimento di tutto l’ecosistema, senza l’acqua che alimenta il ciclo della vita sulla Terra, senza gli altri esseri viventi e non viventi che appartengono, come noi, alla rete della vita. Tutti elementi che diamo per scontati e che giudichiamo, in qualche modo, eterni e indipendenti dai nostri comportamenti.
Ma non è solo l’ambiente naturale a sostenerci: abbiamo bisogno anche dell’ambiente sociale per capire chi siamo e perché siamo nel mondo, per dare un senso e una direzione alla nostra vita. A cominciare dalla famiglia in cui nasciamo alla comunità di amici che ci accoglie, dall’educazione che riceviamo alle organizzazioni in cui lavoriamo. Non potremmo vivere ed essere felici se non fossimo all’interno di una comunità in cui ci sentiamo accolti e protetti, riconosciuti e apprezzati per ciò che siamo e che facciamo.
Ogni essere vivente è naturalmente sostenuto dall’ecosistema di cui è parte, e rende parallelamente sostenibile l’ecosistema di cui è parte. Un circuito che genera la vita e continua a mantenerla nel tempo, alimentando un equilibrio dinamico che potrebbe durare indefinitamente. Eppure, come esseri umani, pretendiamo una vita che sia al di là di questo circuito che ci sostiene; dimentichiamo le connessioni che ci legano, illudendoci di poterne fare a meno.
È bene abbandonare l’idea - così diffusa - che la sostenibilità sia un’azione unidirezionale, che va da noi verso tutto ciò che va sostenuto: l’ambiente naturale, il vivere sociale, la salute, l’educazione.
Si potrebbe, invece, partire dal provare gratitudine verso ciò che ci sostiene e che ci consente di vivere: dalla bellezza della natura all’amore di chi si prende cura di noi, dalla salute del nostro corpo alla fraternità che ci unisce alle altre persone. Molti di questi aspetti li diamo per scontati, e così ne perdiamo il valore fondamentale che ci consente di essere sostenibili mentre siamo sostenuti, e di provare gioia e gratitudine per ciò che ci è donato senza che nulla venga chiesto in cambio, ma solo di reciprocare, di essere in comune con gli altri e con l’altro da noi. È il momento di abbandonare il vecchio modo di intendere l’essere umano, per accogliere tutte le dimensioni - non solo quella materiale, ma anche quella sociale e relazionale e quella spirituale - che ci consentono di comprendere profondamente come siamo collegati l’uno all’altro e la pienezza dei legami che sostengono la vita in ogni sua forma.
Così, la sostenibilità non è qualcosa verso cui tendere, quanto piuttosto qualcosa da lasciar andare. Più che un fare, dovrebbe essere un non-fare, al fine di abbandonare illusioni errate, rinunciare all’individualismo, separarsi da forme narcisistiche di soddisfacimento di bisogni indotti.
Si potrebbe fare un elenco lunghissimo di ciò che dovremmo lasciar andare: a cominciare dalla nostra visione antropocentrica in cui tutto dovrebbe conformarsi al nostro volere e alle nostre aspettative, al denaro come misura di tutte le cose e perfino delle persone e delle relazioni, alla crescita illimitata della ricchezza, alla moltiplicazione dei bisogni da soddisfare. Lasciar finalmente andare un modello economico, politico e sociale ormai obsoleto, che non lascia spazio alle generazioni future, e che finirà necessariamente con noi. Auguriamoci solo di essere così lungimiranti da riuscire a farlo prima che sia troppo tardi.
La sostenibilità, intesa come prendersi cura, non può che essere condivisa e reciprocante. Solo riconoscendo di essere sostenuti possiamo capirne il valore e l’essenzialità per la nostra vita e restituire, con amorevolezza e riconoscenza, ciò che abbiamo ricevuto in dono dall’ambiente naturale e dall’ambiente sociale.
Il prendersi cura è il fondamento della relazione non solo con l’altro, ma con tutto ciò che ci circonda e che, a sua volta, ci sostiene. La sostenibilità è necessaria e reciprocante, e quindi bi-direzionale.
E la via per questa bi-direzionalità è la fraternità che collega tutti gli esseri umani riconoscendoli uguali, pur nella loro diversità e specificità. È solo attraverso l’altro che possiamo vedere noi stessi e ritrovarci, sentirci eguali eppure diversi, ritrovare la nostra identità ma anche, nel contempo, generare una nuova identità fondata sulla relazione che ci lega e ci fa sentire di partecipare a qualcosa di più grande di noi.
La Rivoluzione Francese ha portato nella nostra cultura tre principi cardine - libertà, uguaglianza, fraternità - e ha aiutato le nostre società a fondarsi, pur tra infinite difficoltà, su due di questi principi, quello della libertà e quello dell’uguaglianza. Ma il principio della fraternità è rimasto escluso dalla nostra visione politica e sociale, come un progetto che riguarda solo la buona volontà di alcuni. Ma uguaglianza e libertà, da sole, non possono bastare per garantire la realizzazione di una vita piena, e il periodo che stiamo vivendo ce lo sta mostrando con efficacia. Senza il terzo principio, quello della fraternità, non riusciamo a superare l’individualismo che sovrasta e governa il nostro pensiero e le nostre azioni e che ci trattiene nell’illusione di essere ognuno di noi, separatamente dagli altri, il centro di volontà che definisce l’azione da compiere.
È il momento di porre la fraternità al centro del nostro pensiero, per renderlo fertile e in grado di concepire la complessità della condizione umana, per affrontare le sfide difficili che stiamo vivendo, non da soli ma come una comunità tutta.