Il nome di Camille Claudel è quasi sempre, ingiustamente, associato alla figura del grande scultore Auguste Rodin. Camille ne fu l’amante, la musa e l’allieva ma sarebbe riduttivo ricordarla solo per quello. La sua è una storia di emancipazione, libertà e passione ma anche di estrema sofferenza e ingiustizia, in un’epoca e in un mondo che sono stati crudeli nei confronti di una giovane donna.
Camille nasce nel 1862 a Fère-en-Tardenois, uno sperduto comune della Francia della Belle Époque. È la primogenita di Louis Prosper, un esattore delle tasse, e Louise Cervaux, una donna severa e anafettiva (“che non prendeva mai in braccio i figli”), ci fu un precedente figlio, ma morì dopo 16 giorni dalla nascita.
Insieme alla sorella Louise e al fratello Paul, futuro diplomatico e poeta, trascorre l’infanzia nella regione del Grand Est francese ed è proprio il paesaggio peculiare di questi luoghi che le permette di scoprire quella che sarà la sua grande passione ed il suo più grande problema: la scultura. Camille infatti, ancora bambina, trascorre il tempo a modellare la terra e la roccia delle colline dei boschi insieme al fratello.
La sua passione è costantemente sostenuta dal padre, un uomo spesso assente a causa del lavoro ma profondamente incoraggiante, che le permette di ricevere le prime lezioni di scultura. La madre, invece, una donna arida e concreta, osteggia in tutti i modi la passione della figlia.
Camille un giorno è notata dallo scultore Alfred Boucher che ne sollecita il trasferimento a Parigi e la frequentazione della Accademia Colarossi, per diventare sua allieva. La famiglia si trasferisce e tre anni dopo arriva l’incontro che le cambierà la vita: Boucher la segnala al già famosissimo scultore Auguste Rodin che prende il suo posto nell’Accademia. È il 1884. L’incontro è letale, è l’inizio del sogno ma anche l’inizio della fine.
Rodin è già lo scultore famoso dei salotti parigini, ha 24 anni più di Camille, non è sposato ma è legato a Rose Beuret, una donna che gli ha dato un figlio, quasi della stessa età di Camille.
Tra i due si crea fin da subito una fusione artistica, professionale e amorosa della durata di 15 anni, la loro passione emerge prepotentemente dalle sculture, raffiguranti spesso coppie di amanti nudi e scene di sesso, ma anche dalle loro lettere:
Ci sono momenti in cui francamente credo che ti dimenticherò. Ma poi, in un solo istante, sento la tua terribile potenza. Abbi pietà, crudele. Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti. E no, l’atroce follia. È finita, non lavoro più, divinità famelica, e tuttavia ti amo furiosamente […] Grazie perché devo a te tutta la parte di cielo che ho avuto nella mia vita.
(Rodin)
Dormo completamente nuda per illudermi che lei è con me ma quando mi sveglio non è più la stessa cosa. Un bacio.
(Camille)
Ma Camille ne uscirà devastata emotivamente, professionalmente e socialmente perché la passione travolgente che l’ha soggiogata al suo maestro-amante ha fagocitato ogni ambito della sua vita. Innanzitutto, la sua famiglia prende rigidamente le distanze dalla figlia a causa del suo comportamento licenzioso in quanto legata ad un uomo che, sebbene non sposato, condivide un figlio con un’altra donna (solo il padre continua ad aiutarla mandandole degli aiuti economici, ma in segreto). In secondo luogo, ne risente la sua stessa carriera da scultrice, perché per anni il suo talento e la sua carriera sono oscurati dalla grande ombra dell’uomo che le sta accanto, Auguste Rodin, il grande scultore parigino, l’unico in grado, nel corso dei secoli, di eguagliare Michelangelo, lo scultore del quale si pensò sempre – ed erroneamente- che modificasse e migliorasse le opere di Camille, che quindi non poté mai emanciparsi veramente.
In realtà i critici d’arte hanno sempre notato un evidente cambiamento e miglioramento nelle opere di Rodin a seguito dell’incontro con Camille, e lo stesso scultore ne ha sempre riconosciuto subito il talento, l’unicità e la bramosia di imparare e migliorarsi: “Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che ha trovato è tutto suo”.
Camille inizia a deragliare, non riesce a gestire lo scandalo e la personalità di un uomo così famoso e carismatico: per tutta la durata della loro relazione vive nella falsa illusione di sposarsi, anche per porre fine ai pettegolezzi, interrompe addirittura una gravidanza, e inizia una relazione con Claude Debussy sperando di far ingelosire Rodin, ma è tutto inutile. Debussy però non la dimentica: terrà sempre, sopra il suo pianoforte, una copia de La Valse (una coppia che balla il valzer appassionatamente), opera da lei realizzata per ricordargli la loro relazione.
Camille è una donna indipendente, vive in un appartamento con altre due ragazze e tantissimi gatti, si mantiene, procura e paga i modelli da sola, ma soprattutto svolge un lavoro maschile, che richiede necessariamente prestanza fisica e comodità, eppure lei è costretta a scolpire con la gonna, perché una legge francese proibisce alle donne di indossare i pantaloni.
La famiglia ostile, le norme sociali, lo scandalo amoroso, la fama di Rodin, niente ferma questa donna emancipata e libera, libera nel seguire il proprio cuore e la propria passione. Rodin la racchiuse in queste poche parole: “Camille ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio”.
Fu proprio questo temperamento che la spinse a compiere uno dei passi più faticosi e pesanti che un essere umano possa fare: prendere le distanze dalla persona che si ama. Camille è una donna forte, ed è anche un’artista, e con la scultura l’Age Mur, l’età matura, immortala l’ultimo saluto, che sembra però anche una supplica, al suo primo e unico amore. L’opera, infatti, rappresenta un uomo più anziano portato via da una donna, ed un’altra donna più giovane ai suoi piedi a tendergli ancora la mano, nulla di più esplicito: Rodin ha deciso di sposare Rose e la felicità abbandona per sempre la vita di Camille. Inizia il suo percorso di autoaffermazione: essere riconosciuta per l’artista che è, fuori dall’ombra di Rodin e fuori dagli scandali.
Ma la tenebra che la attende deve ancora palesarsi: è il 1913. Il 3 marzo muore il suo amato padre, una settimana dopo, la madre e la sorella - e forse anche il fratello - decidono di farla rinchiudere in un ospedale psichiatrico per evitare ulteriori comportamenti licenziosi e imbarazzanti.
Un romanzo, un’epopea come l’Iliade e l’Odissea. Ci vorrebbe Omero per raccontarla, sono caduta dentro un baratro, vivo in uno strano mondo. Dal sogno che è stata la mia vita, ora è rimasto solo l’incubo. Da cosa deriva tanta ferocia umana?
Così Camille descrive quella che sarà la negazione della sua libertà.
Sono numerose le lettere che scrive alla madre e al fratello, implorando di essere liberata visto che anche gli stessi medici confermano che non esistano motivi per la sua reclusione, in quanto le riconoscono solo una semplice forma di depressione e anzi ne sollecitano il ritorno a casa:
Mio caro Paul, ho scritto molte volte alla mamma, a Parigi, a Villeneuve, senza riuscire a ottenere una parola di risposta. E anche tu, che sei venuto a trovarmi alla fine di maggio e ti avevo fatto promettere di occuparti di me e di non lasciarmi in un tale abbandono. Com’è possibile che da allora tu non mi abbia scritto una sola volta e non sia più tornato a trovarmi? Credi che mi diverta a passare così i mesi, gli anni, senza nessuna notizia, senza nessuna speranza! Da dove viene tale ferocia? Come fate a voltarvi dall’altra parte? Vorrei proprio saperlo.
Mamma, se tu mi concedessi soltanto la stanza della Signora Régnier e la cucina, potresti chiudere il resto della casa. Non farei assolutamente nulla di riprovevole. Ho sofferto troppo.
Questa lettera invece è indirizzata al dottore per richiedere la propria liberazione:
Signor dottore forse voi non vi ricorderete della vostra ex-paziente e vicina, Camille, che fu portata via da casa sua il 13 marzo 1913 e condotta in manicomio, da dove, forse, non uscirà mai più. Sono cinque anni, tra poco sei, che subisco questo terribile martirio […] Per quanto riguarda la mia famiglia non c’è niente da fare: sotto l’influenza di persone malvagie, mia madre, mio fratello e mia sorella non ascoltano che le calunnie da cui sono stata investita […] Mi si rimprovera (crimine spaventoso) di aver vissuto da sola, di passare la mia vita con dei gatti, di avere manie di persecuzione! È a causa di queste accuse che sono incarcerata come un criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e delle comodità più elementari […] Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano […] Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca mai di prigione. Vi prego di non scrivermi qui e di non dire che vi ho scritto, perché vi sto scrivendo in segreto contro i regolamenti dello stabilimento e se si venisse a sapere mi troverei nei guai!
Nemmeno la morte della madre (che mai andò a trovarla) induce il fratello a Paul a riportare la sorella a casa, proprio quel Paul Claudel, noto diplomatico, che aveva sempre trovato, per descrivere a sorella, parole intense e piene di ammirazione:
Mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria, ed inoltre un’energia, un’immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta a un fallimento completo… Questa splendida giovane, nel fulgore trionfale della bellezza e del genio, fronte superba, sovrastante due occhi magnifici, di quel blu così raro da trovare altrove se non nei romanzi, quella grande bocca più fiera che sensuale, quel ciuffo potente di capelli castani, il castano puro, che gli inglesi chiamano auburn, che le cadeva fino ai reni, Un’aria impressionante di coraggio, di franchezza, di superiorità, di allegria. Di qualcuno che ha ricevuto molto, e lo sa.
E Rodin in tutto questo? Dopo la reclusione forzata abbandona la scena e abbandona Camille. Continua a vivere della gloria della propria fama e non aiuta Camille né la va a trovare. Esiste però una testimonianza in una lettera dell’artista Eugène Blot a Camille, nella quale si parla proprio di lui:
Un giorno era venuto a farmi visita, l’ho visto improvvisamente impietrirsi davanti a quel ritratto [l’Age Mur, l’opera che Camille realizzò quando Rodin decise di sposare Rose, nella quale ha rappresentato se stessa come una donna implorante], contemplarlo, accarezzare dolcemente il metallo e piangere. Sì, piangere. Come un bambino. Sono passati quindici anni da quando è morto. In realtà non ha amato che lei, Camille, oggi posso dirglielo. Tutto il resto – quelle avventure pietose, quella ridicola vita mondana, lui che in fondo restava un uomo del popolo – era lo sfogo di una natura eccessiva. Oh! so bene, Camille, che lui l’ha abbandonata, non cerco di giustificarlo. Lei ha troppo sofferto per causa sua.
Camille non uscirà più dall’ospedale psichiatrico. Dopo 30 anni di reclusione forzata, all’età di 78 anni, il 19 ottobre 1943, la grande artista e grande donna Camille Claudel muore di denutrizione, lei che è stata la prima donna scultrice ad affermarsi grazie al proprio talento, una donna indipendente ed emancipata che ha avuto il coraggio di seguire il proprio cuore ed il proprio istinto senza piegarsi alla volontà di altri o alle rigide norme della società, una donna ribelle che ha subìto più del dovuto il peso delle conseguenze delle sue azioni, una donna terribilmente sola ma anche profondamente intelligente e sensibile, viene gettata, nell’indifferenza più totale, in una fossa comune, alla presenza solamente del personale dell’ospedale.