Salute e sicurezza. Le due parole sono diventate un sintagma cristallizzato, un’unione stabile tra sostantivi fissati in questa forma, ripetuti quasi passivamente da chi parla o scrive. Come se la salute fosse un’espressione della sicurezza e la sicurezza una declinazione delle salute. La lingua, del resto, è lo strumento più potente per realizzare le cose. Salute e sicurezza sono una coppia di innamorati che si guarda negli occhi e in quello sguardo prova l’emozione di somigliarsi un po’. Non è così solo in italiano: a Parigi si parla di santé et sécurité au travail, al lavoro, a Londra di health and safety, a Berlino di Gesundheit und Sicherheit, ovunque le leggi accostano i due termini e li rendono produttori di significati e di senso.
La salute è un po’ salvezza
La salute è una condizione di benessere fisico e psichico. Questo sostantivo ha un antenato nella parola latina salus che in una frase, quando assumeva la funzione di complemento oggetto, diventava salūtem ed è proprio da quell’accusativo che è derivata la nostra salute.
Salus, formazione latina di origine indoeuropea, indicava non solo l’integrità fisica ma anche la salvezza, l’incolumità. In questo la parola salute è affine all’aggettivo latino salvus, ‘salvo’, ‘incolume’.
Che nella salute si annidi un po’ di salvezza è un’idea affascinante, quasi che nell’essere sani diventiamo anche salvi. Acquisiamo così una visione trascendente da noi, laddove la salvezza fa riverberare irradiazioni di concetti elevati: liberazione, riparo, protezione, ma anche redenzione e grazia.
La salvezza appartiene etimologicamente alla stessa famiglia della solidità, laddove il salvo è parente del solido, cioè del compatto, del fermo, del consistente. Salvus e solĭdus possiedono DNA linguistico in comune, da scoprire ogni giorno in quell’incessante desiderio di ricerca che pervade chi non si accontenta della superficie delle cose e delle parole.
Ma non ci basta, possiamo cercare altri tratti somatici simili, nel girotondo che compiono i termini quando giocano tra loro nelle piazze intitolate ai medesimi antenati. Proseguendo di parentela in parentela, scorgiamo così i legami tra la salute, la salvezza, la solidità, l’essere sodi e l’essere saldi, cioè forti, robusti, resistenti, stabili. Anche il sodo e il saldo sono quindi salutisti e salvifici.
Per essere in salute abbiamo inoltre bisogno di restare integri, non scissi, non separati: una parola del greco antico ci spiega il perché. Questa parola è hólos, che voleva dire ‘intero’, ‘tutto’ e che ha legami etimologici con salus. Quel tutto lo ritroviamo nell’aggettivo italiano olistico, derivato di olismo, tesi secondo cui il tutto non è riducibile alla somma delle parti.
La nostra salute, che è anche la nostra salvezza, sta nel riconoscerci quindi come un tutto complesso, articolato, non scindibile, non separabile, in cui corpo, mente e spirito dialogano tra loro incessantemente. Tutto è unito, tutto è congiunto, tutto è intessuto, tutto è insieme trama e ordito nella tela della nostra vita.
La salute è un bel saluto
Affine a salute è il saluto. Salutare vuol dire augurare l’altrui salute. Nel buon giorno si annida l’auspicio del benessere altrui: che il giorno ti sia buono, come lo vuoi tu, nel modo e con l’intensità che tu desideri. Ma ancora di più nei saluti che si usano in montagna, quando ci si incontra sui sentieri o sulle vie d’alta quota. Lì il saluto diventa “salve” oppure “sani” e ancora di più è evidente il legame con la salute come auspicio.
Salve atque vale era il modo di salutarsi a Roma antica. Vale, forma imperativa di valēre: stai bene, stai sano, resta in salute. In salve atque vale dunque ritroviamo una ridondanza, una ripetizione che rafforza il concetto, resta in salute e restaci per davvero.
Ancora oggi in Spagna vale è la forma più utilizzata per dare il benvenuto a una persona: ‘vogliti bene’, amico mio, amica mia.
La salute come integrità
In inglese salute si dice health e anche qui risuona l’idea del tutto, della totalità, dell’insieme, dell’interezza contrapposte alla parzialità, alla lacerazione, alla separazione. To heal, a Londra, significa guarire. In inglese antico, hælþ, da cui deriva health, voleva dire ‘interezza’, ‘integrità’ ed è evidente la vicinanza etimologica con wholeness, che significa appunto ‘interezza’.
Ancora una volta la salute ci riconduce all’armonia delle parti, integrate in un tutto che si tiene insieme. La congiunzione è, etimologicamente, yoga.
In francese la salute è santé, parente di sanità, dal latino sanĭtas, sanitatem, derivato di sānus, che voleva dire ‘sano’ e ancora una volta ‘incorrotto’, ‘integro’. In tedesco per esprimere la salute si utilizza il sostantivo Gesundheit. Questa parola deriva da una radice protogermanica sunda-, la stessa che ha generato nella lingua inglese l’aggettivo sound. Attenzione, l’aggettivo, non il sostantivo sound, ‘suono’. Quell’aggettivo significa ‘libero da difetti’, ‘integro’, ‘completo di tutti gli organi e le facoltà’, ‘sano’ appunto. In inglese antico questo aggettivo era gesund, in olandese gezond, in tedesco antico gisunt.
Salute come forza, robustezza, vigore
La parola salute riverbera in noi in forme diverse. Ciascuna persona le attribuisce significati diversi a seconda dei momenti del transito terrestre che sta compiendo.
Talvolta la salute è forza e richiama l’idea dell’energia e della potenza. Forte, in latino fortis, risale probabilmente alla radice indoeuropea dher- da cui deriva anche fĭrmus, che voleva dire ‘stabile’, ‘saldo’, ‘fermo’. Quella fermezza e di conseguenza anche quella forza si confrontano col sanscrito dharma ‘legge, ordine costituito’, e propriamente ‘ciò che è fissato’. Il dharma nella filosofia buddista è il dovere morale, la legge universale ma anche l’insegnamento del Buddha. La persona che segue il proprio dharma si comporta quindi in modo congruente con ciò che l’ordine universale ha previsto e stabilito.
Salute è talvolta robustezza che - molto semplicemente – significa la caratteristica di possedere la scorza dura, la tempra per non farsi abbattere ai primi colpi della vita, la capacità di resistere ai venti quando soffiano impetuosi. Antenato della robustezza è un albero, la quercia, che in latino si chiamava robur, da cui in italiano è derivato il rovere. Da quel robustus latino, che propriamente significava ‘di legno duro’, ‘di legno compatto come quello della quercia’, si sono originati in italiano l’aggettivo robusto e il sostantivo robustezza.
Salute per qualcuno è sinonimo di vigore, altra parola interessante, di quelle che ci consentono una breve passeggiata nel giardino fiorito dai significati colorati. Il latino vigor deriva dal verbo vigēre, che significava ‘essere forte, robusto, vivace’ e anche ‘essere potente, in auge’.
Il participio presente vigente, spesso detto di una legge o di un decreto, ha appunto questo significato, ‘ciò che vige’, ‘ciò che è in vigore’. Quando pensiamo al Decreto Legislativo 81 del 2008, che è vigente e che è il testo di riferimento per la salute e la sicurezza in ambiente di lavoro, possiamo ricordarci di questo: è vigente, dispiega il suo vigore, laddove talvolta il vigore è sinonimo di salute.
La sicurezza senza preoccupazioni
Essere in sicurezza vuol dire essere in una condizione che ci rende e ci fa sentire esenti da pericoli o che ci dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli.
Nella parola sicurezza troviamo l’idea di tranquillità, di assenza di preoccupazioni. Già, perché sicuro ha come antenato il latino sēcūrus, aggettivo composto di se(d)-, particella che indica una separazione o una privazione, e cūra, ‘preoccupazione’. La cura era al tempo di Cesare e Cicerone sia la cura, la terapia, il trattamento finalizzato a far star bene, sia il patema, la preoccupazione, l’inquietudine.
Ancora oggi in contesti letterari la cura assume il significato più simile al latino di pensiero molesto, di affanno, di preoccupazione.
Non ti curar di loro ma guarda e passa molti pensano che abbia scritto Dante nella Commedia. Laddove il curarsi significherebbe preoccuparsi. In realtà le parole del maestro Virgilio, che risponde alla domanda del poeta su chi siano gli ignavi, cioè i pusillanimi sono queste (Inferno, 3, 49-51):
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
Quella cura nel senso di preoccupazione è un ricordo errato collettivo, una citazione ripetuta nel tempo. Durante Alighieri detto Dante aveva scritto di non ragionarci, noi ricordiamo non curarci di loro, sbagliamo sapendo di sbagliare.
In Ugo Foscolo, nel sonetto In morte del fratello Giovanni, scritto nel 1801, le cure sono proprio le preoccupazioni (versi 9-11).
Sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
Le secrete cure sono gli intimi affanni “che sconvolsero la tua vita come una tempesta”. Ecco, la sicurezza è proprio questo, la limitazione degli affanni, delle preoccupazioni, siano queste intime o siano manifeste e palesi a tutti e tutte. Preoccupazioni che vengono limitate ma non eliminate del tutto.
Ci aiuta a comprendere meglio la situazione, a mettere i puntini sulle i, a evitare le conclusioni assolute Salman Rashdie, l’autore di Versetti satanici, uno scrittore che della mancanza di sicurezza se ne intende per essere stato minacciato dagli estremisti islamici. Scrive l’intellettuale indiano: “Non esiste una cosa come la sicurezza perfetta, solo diversi livelli di insicurezza”.
Sicuri cioè avversi alle calamità
Essere sicuri vuol dunque avere poche preoccupazioni o comunque essere in grado di comprenderle e di contenerle.
Sicurezza è sinonimo di fiducia, di certezza e di convincimento, parola emersa nella lingua italiana solo nel diciottesimo secolo e quindi relativamente recente. Convincere è un prestito dalla lingua latina, convincĕre si diceva anche nell’antica Roma, nel senso di ‘dimostrare in modo vincente’. Del resto per essere sicuri bisogna vincere, vincere sui pericoli, vincere sulle disattenzioni, vincere sulle mancanze.
Sicurezza è sinonimo di protezione, dal verbo latino tĕgĕre, ‘coprire’ con il prefisso pro-, perché nell’essere sicuri la casa della nostra vita ha un tetto più robusto e tegole meglio disposte, laddove tetto e tegola sono parole con lo stesso DNA di protezione.
Sicurezza vuol dire anche incolumità e per noi è quella particella in- iniziale che dà sollievo, perché nega la parte successiva del sostantivo che contiene la stessa radice di calamità. Essere incolumi significa quindi schivare le calamità, cioè le sventure e le disgrazie.
Safety si dice in inglese, dal francese antico sauf, parente di salvo e quindi di salute.
Tra antincendio e primo soccorso
Per garantire la salute e la sicurezza, la formazione delle persone nelle organizzazioni svolge un ruolo essenziale. Tanti sono i corsi che vengono erogati. Tra questi i corsi rivolti alle squadre di emergenza, i corsi antincendio e i corsi di primo soccorso.
L’incendio è il divampare di un fuoco violento e distruttivo. La parola incendiare deriva dal verbo latino candēre che significava ‘bruciare’. Incendio è così parente di incenso, la resina destinata a bruciare per diffondere il suo profumo intenso nell’aria, ed è partente anche di candela, il cilindro di cera che illumina e splende quando brucia lo stoppino al suo interno.
Quando ragioniamo di soccorso pensiamo al portare aiuto, all’assistere. In prima istanza, però, soccorrere è un correre da sotto, un venire in aiuto proprio perché avvengono azioni a supporto, un sovvenire, laddove il venire è un venire di corsa, da sotto, per portare più in su, per andare più in alto. Come a volte, in realtà spesso, le parole consentono di fare.