Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Antonella Cinelli, (Teramo, 1973).
La pittura di mimesi è quella pittura che sfida la realtà, volendo rendere l’immagine quasi più vera del vero. La sfida pittorica di Antonella Cinelli da sempre persegue questa ricerca di mimesi, non senza lirismo e raffinatezza. Protagonisti delle sue opere sono gli individui. Donne, uomini, bambine. Sempre ritratti in primo piano rispetto ad una ambientazione sovente neutralizzata da un fondo nero e caravaggesco. I soggetti immortalati dalla Cinelli sono sempre molto vicini allo spettatore e lo spazio della tela non accoglie altro che non sia la loro presenza, in costante dialogo con il mondo reale.
Il protagonista della tela emerge dal buio, oppure, come nei lavori più recenti, veste abiti che si amalgamano coi colori dello sfondo. Colori quasi sempre tenui e chiari. Come se il corpo facesse parte di un tutto che lo avvolge. Nelle ultime creazioni questi abiti sono arricchiti da decorazioni geometriche auree per le quali l’artista utilizza l’ottone, e che appiattiscono il tessuto generando un contrasto netto tra i volumi del volto, il plasticismo anatomico e la piattezza del rigore decorativo. Questa bidimensionalità aurea ha una evidente memoria klimtiana e di quella memoria evoca persino l’eleganza.
Antonella Cinelli, esponente della Nuova Figurazione Italiana, è anche una bravissima illustratrice e fra le altre cose ha ideato “Figurabilia”, un piccolo festival di arte iconica a Bologna, del quale è direttrice artistica. Vive e lavora a Bologna, e questa è la sua voce creativa per voi.
Chi è Antonella?
Difficilissimo definire se stessi! Antonella è una donna che non riesce a vivere giusto per far passare il tempo.
Cosa conservi del tuo sguardo di bambina sul mondo?
Spero l'entusiasmo e la curiosità. Non ho mai smesso di coltivare la convinzione che dietro l’angolo ci sia sempre qualcosa che valga la pena di essere visto e vissuto e devo dire che a volte mi capita di aver ancora ragione.
La realtà supera l’immaginazione?
Forse sì…
Dove cadono le stelle che non vedi?
Le stelle che non vedo cadono in un mondo lontano e perfetto, mondo che appare solo nel sonno per indicarci la strada.
Come nasce la pittrice che sei?
Nasce da una naturale predisposizione per il disegno realista unita ad una cronica timidezza nell’infanzia e che mi ha portata a preferire una forma di espressione che non contemplasse la parola. Diciamo che mi sono aggrappata a ciò che sapevo fare meglio per cercare un modo di stare al mondo. E poi è nata una passione smodata per la pittura figurativa.
Chi è stato il tuo primo “maestro”?
Il mio primo vero maestro, quello che chiamo il mio “papà “ artistico, è stato il prof di scultura del liceo artistico, Piero De Angelis. Il legame è rimasto e si è saldato negli anni.
Il quadro che non hai ancora dipinto.
Quello che mi appaga completamente.
Il tuo lavoro più caro?
Il ciclo delle opere dedicate agli ultimi partigiani ancora in vita. Realizzarlo è stata un’avventura umana e un’esperienza totalizzante!
Come nasce la tua ricerca? Chi sono i soggetti delle tue tele? Quale tecnica adotti?
La mia ricerca gira intorno alla necessità di raccontare le persone che mi circondano. Sono i soggetti che scelgo di ritrarre che mi aprono a nuovi cicli pittorici. Su ognuno tesso una trama diversa. L’umano è ricco di spunti, ogni personalità, ogni vita è un universo a sé stante a cui attingere. La letteratura e la mitologia lo fanno da secoli. La mia è una pittura realista, generalmente progetto un ciclo di opere, studio l’illuminazione a scatto moltissime foto del soggetto scelto, immagini che divengono i miei appunti. Dipingo ad olio e amo sperimentare sia la tecnica, che è in continua evoluzione grazie a prodotti di ultima generazione, che l’aspetto compositivo. Spesso esco dal concetto stesso di quadro per misurarmi con materiali non convenzionali e soluzioni installative diverse.
Credi in Dio?
Sì! Credo in una entità superiore da cui provengo e a cui mi ricongiungerò. Io lo immagino come il Dio Cristiano solo per affetto e nostalgia della mia infanzia, ma non credo che appartenga ad una sola confessione religiosa. La presenza divina permea ogni cultura.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
Amo la letteratura contemporanea sia italiana che estera, mi perdo volentieri nei romanzi storici e nei gialli. Ma sono due saggi i libri che mi hanno illuminata e da cui attingo costantemente: Il ritratto dell’amante di Maurizio Bettini e Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes.
Scegli 3 delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.
Sono ciò che manca, 2002.
Si tratta del mio lavoro di esordio! È un trittico composto da due autoritratti pittorici in canottiera rossa e al centro una terza tavola con la stessa canottiera indurita nella resina sulla forma del mio corpo.Psyché, 2010.
Si tratta di una installazione pittorica nata da un ritratto commissionato. L’installazione si compone di una tela ritraente il volto di una bambina, una gabbia al posto dell’abito e sotto di essa una tela raffigurante le gambe dello stesso soggetto, il tutto montato a colonna. Dalla gabbia vi è una fuoriuscita di farfalle in resina blu scura che invadono lo spazio. Questa installazione racconta la trasformazione del corpo femminile nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza.Esfoliazioni # 4, 2021.
Questo è un quadro a olio dell’ultima serie. Vi è ritratta una figura femminile che si copre il volto con i capelli. Il corpo è seminudo, fuoriesce e contrasta con l’abito definito solo da un decoro in oro che si perde nello sfondo. L’iridescenza dorata dei decori trasforma l’abito in una corazza metallica.
Il momento migliore per dipingere?
Dalle 15.00 alle 3 di notte.
Il momento peggiore per dipingere?
Al mattino, impossibile io non ci riesco.
Che musica ascolti quando dipingi?
Non ascolto musica, mi distrae troppo. Riesco a volte solo con Bach. Ascoltare la musica presuppone l’utilizzo dello stesso emisfero del cervello che sovrintende la creatività e io mi disperdo. Per concentrarmi ho bisogno invece di ascoltare dei dialoghi, meglio ancora dei film completi. Anestetizzo così la mia parte logica facendole seguire una trama e l’altra parte di me entra in uno stato di coscienza alterata che mi porta alla massima concentrazione, annullo i pensieri e divengo solo sguardo e pennello. Sono capace di andare avanti per ore.
Il museo italiano dove vorresti restare chiusa a chiave per una notte?
I musei di San Domenico di Forlì durante le mostre temporanee, mostre che sono talmente interessanti e ben fatte (non a caso continuano a vincere premi internazionali) che ti fanno davvero venire voglia di nasconderti per passarci la notte e gustare in solitudine e calma le opere.
Un artista del passato del qual avresti voluto essere allieva?
John William Waterhouse.
La frase più fastidiosa che ti sei sentita dire da un gallerista?
Una frase sessista. Ero giovane e mi muovevo alla ricerca delle prime collaborazioni, da un gallerista noto e blasonato di Milano mi fu detto che essendo donna era svantaggioso puntare su di me, dato che ad un certo punto avrei voluto fare un figlio abbandonando la carriera. Ho una figlia di 9 anni e sono ancora qui!
Un’affermazione decisamente infelice, oltre che sessista! Invece, qual è stata la frase meno limpida che ti sei sentita dire da un altro artista?
La relazione coi colleghi è forse la parte più bella e interessante di questo lavoro, perciò faccio fatica a rispondere. Ma potrei citare un certo atteggiamento scostante e superiore di alcuni artisti (per fortuna pochi), non pittori e non figurativi, che guardano dall’alto in basso chi si sporca ancora di colore e si occupa di figurazione.
Anche questo tipo di atteggiamento che descrivi è decisamente infelice e frutto di una mentalità che si finge emancipata, ma che in realtà è, a mio avviso, piuttosto limitata. Dimmi invece qual è l’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei voluto realizzarla io!”?
Sogni di Vittorio Corcos.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Sono tanti gli artisti che avrei voluto essere ma nessuno in particolare, forse vorrei davvero essere solo me stessa e nelle condizioni di dare il meglio di me.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Chiuso, miope, esterofilo.
In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?
Ho avuto la fortuna di cimentarmi con l’illustrazione e devo dire che mi è piaciuto molto!
Work in progress e progetti per il futuro.
Sono nel pieno del lavoro e dell’elaborazione del mio ultimo ciclo pittorico, perciò vivo una sorta di febbre creativa che ha qualcosa di maniacale, quasi ossessivo. Però ho anche momenti di lucidità e lavoro alla nuova edizione di Figurabilia, il piccolo festival di arte iconica che si svolge tra gennaio e febbraio a Bologna. Festival di cui sono ideatrice e direttrice artistica, sostenuto da un meraviglioso gruppo di colleghe. Spero che quest’anno si possa fare!
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
“Chi cerca trova, chi non trova inventa, chi inventa trova!”.