Un pensiero che non può essere detto in poche parole non merita d’esser detto.
È una fulminante e provocatoria affermazione contenuta in un vero e proprio manifesto del primo numero della rivoluzionaria rivista fiorentina Lacerba del 1° gennaio del 1913, che scatenerà un programma di “teppismo di avanguardia” senza precedenti, di cui sarà animatore soprattutto Giovanni Papini. Ce lo ricorda Antonio Castronuovo nel suo minuscolo Aforismi del Novecento pubblicato nel 2015 nella collana “Millelire” di Stampa Alternativa. Solo 30 pagine nelle quali Castronuovo ripercorre con invidiabile velocità la storia dell’aforisma italiano del Novecento, facendo lampeggiare alcune geniali intuizioni ironiche e dissacranti di Papini e Soffici, Prezzolini e Maccari, Longanesi e Flaiano, solo per citarne alcuni. Non manca qualche escursione dell’autore in ambiente francese e spagnolo, con uno spazio privilegiato per un autore irresistibile, inspiegabilmente dimenticato, come Ramon Gomez de la Serna, creatore delle geniali greguerrias (come tradurle in Italiano: gazzarre, schiamazzi, baraonde?).
Tutti i numerosissimi “Millelire” (costo rimasto, dopo l’avvento dell’euro, grosso modo quello di un caffè), del resto, hanno questo straordinario pregio: difficilmente superano le 30 o 40 pagine, spaziando in un campo editoriale dove ce n’è per tutti: da Epicuro a Boris Vian, da Sinesio a Bukowski, da Plutarco a Papini. Lo stesso Castronuovo è rimasto implacabilmente fedele al piacere e all’obbligo della brevità con la sua Babbomorto Editore, fatta di plaquette in cui sia il numero delle pagine che la tiratura sono limitatissime, e la cui vera ragion d’essere è il divertimento. Sì, divertimento. Perché, per chissà quale nefasta e diffusa deformazione mentale si tende ad escludere, anche nelle tirate socioculturali di dotti eruditi, che libro e lettura possano procurare esclusivamente divertimento. E il divertimento non ha bisogno di lungaggini, anzi, richiede velocità e brevità.
Ci viene in mente la convinzione di Erri De Luca che ha detto che, siccome lo scrittore è ospite del lettore, deve essere breve, conformemente a quel detto che sostiene che al terzo giorno l’ospite finisce per puzzare. Ma ci tornano alla mente anche le torture delle fluviali e ineludibili letture scolastiche alle quali ci costringevano, spalmandoci su un intero anno scolastico la lettura integrale dei Promessi sposi e obbligandoci alle tragedie dell’Alfieri e a Il giorno del Parini. Ma insieme alle torture ricordiamo, per fortuna, anche le soddisfazioni di scolari quando, oppressi da letture interminabili, ci sentimmo vendicati finalmente dai poeti alessandrini e soprattutto da Callimaco e dal suo indimenticabile “mega biblion mega kakon”: grande libro grande male!
Noi che non apparteniamo alla categoria di coloro che tracannano d’un fiato tutta le Recherche di Proust o l’Ulisse di Joyce e amiamo i piccoli formati, ci sentiamo di sottoscrivere il bisogno d’esser brevi. E a tale proposito, ecco qualche rumorosa e lampeggiante greguerria di Ramon Gomez della Serna.
Le parentesi cadono dalle ciglia dello scrivente.
Il più grande desiderio del segnalibro è smarrirsi tra le pagine come un pesce nella sua vaschetta.
Il libro che schiaccia il fiore tra le pagine lo converte in farfalla.
Era di quelle donne che non smettono mai di chiudere i rubinetti.
Il gufo è la lampada sul comodino da notte del bosco.
Chi si chiede cosa vogliano significare queste frasi, è uno che è stato reso refrattario al divertimento da letture troppo lunghe e impegnative. E, visto che sono giunto al numero di caratteri minimi richiesti per un articolo dalla redazione di questa rivista, saluto il lettore di cui sono stato ospite, per non venir meno al piacere e al bisogno d’esser breve.