Orazio Riminaldi, chi era costui? Cappello piumato su una folta capigliatura che lascia uscire sulla fronte un ciuffo ribelle, naso piccolo e baffetti sopra una bocca carnosa, sguardo diretto e penetrante verso l'osservatore. C'è qualcosa di sfrontato in quell'immagine con cui il pittore si descrive nel 1620. Un baldo giovanotto di 27 anni, fiero e pronto a sfidare le mille difficoltà che aspettavano un artista del secolo appena iniziato. Qualche anno più tardi, ormai passata la trentina, qualche ruga e capello bianco sembrano rendere più stanco un volto che però mantiene quella sicurezza di sé, ostentata nella sua prima gioventù. È così che lo ritroviamo confuso tra i protagonisti e gli spettatori della Vestizione di Santa Bona, destinato all'altare della chiesa di san Martino a Pisa, secondo un vezzo caro ai pittori che spesso amavano immortalarsi nelle loro opere, soprattutto quando queste si offrivano agli occhi di chi poteva riconoscere le loro “gesta”.
A Pisa, infatti, Riminaldi era nato e a Pisa era stato richiamato da Roma - dove ormai si muoveva con disinvoltura e successo nell'affollata scena artistica del post Caravaggio - per dipingere la grande cupola del Duomo in fase di restauro dopo il rovinoso incendio del 1595. E sempre a Pisa l'artista morì dipingendo quella cupola il 10 dicembre del 1630, vittima di un'epidemia di peste che dilagava in tutta Europa e che, mentre appena sfiorava Roma, decimò invece la popolazione del Granducato di Toscana.
Questo e poco altro conosciamo di Orazio Riminaldi, personaggio rimasto nascosto nelle pieghe della storia insieme al suo percorso artistico, confinato a un caravaggismo di terzo livello e rimasto sconosciuto al grande pubblico. Etichette e semplificazioni hanno amplificato lo sfortunato destino di una vita troppo breve, interrotta improvvisamente a soli 37 anni, offuscando il suo nome fino quasi a dimenticarlo.
C'è voluto il restauro della grande cupola del Duomo nella Piazza dei Miracoli di Pisa, oltre 330 metri quadrati di superficie pittorica a 48 metri di altezza, per scoprire nuovamente un artista coperto dalla polvere del tempo e dagli inganni della storia, eppure allora tanto apprezzato da essere scelto dai vertici dell'Opera della Primaziale per decorare il suo massimo monumento.
Ma non solo L'Assunta portata in cielo dagli angeli, oggi eliminato lo sporco accumulato da decenni sui suoi colori, è nuovamente luminosa e visibile dal basso. Il frutto dell'intervento, costato 2 milioni di euro e 592 giorni di lavoro, ha anche permesso di ritrovare il suo autore, quell'Orazio Riminaldi morto di peste bubbonica proprio mentre stava completando la sua opera più importante, ma che lasciava un'eredità altrettanto significativa e pregiata. L'hanno ricercata Perluigi Carofano e Riccardo Lattuada portando a Pisa opere provenienti da collezioni pubbliche e private con cui si è ricostruito il percorso artistico del maestro pisano e l'ambiente in cui si forgia il suo elegantissimo linguaggio.
“Riminaldi è da sempre considerato un pittore esclusivamente caravaggesco. In realtà è stato un artista colto, aperto agli stimoli culturali provenienti da un ambiente in continua evoluzione, come quello di Roma. La “circolar parete” del Duomo di Pisa, uno dei raggiungimenti più alti del primo Barocco in Italia, dimostra proprio la profondità dell'elaborazione delle diverse esperienze artistiche con cui Riminaldi era venuto in contatto e il suo ruolo nel passaggio dal caravaggismo al Barocco”, sottolineano Riccardo Lattuada e Pierluigi Carofalo mostrando i volti ricchi di pathos, l'eleganza del disegno, le armonie e le delicatezze delle immagini, la luce morbida, diversa da quella caravaggesca, che invece è diretta e spesso portatrice di contrasti drammatici.
La vita e la carriera di Riminaldi, per quanto avvolti nell'ombra, si intersecano comunque con il famoso episodio dello stupro, vero o presunto, di Agostino Tassi nei confronti di Artemisia, figlia di Orazio Gentileschi, e con il conseguente processo che tenne banco a Roma per mesi. Fatto è che Gentileschi, anch'egli pisano, si trovò a dover cercare un marito per la figlia violentata e suo fratello Aurelio Lomi, pittore, come tutti gli altri protagonisti della vicenda, si spostò da Pisa allo Stato Pontificio per dargli una mano a risolvere la scabrosa situazione. Riminaldi, che si era formato proprio nell'atelier pisano del Lomi, lo seguì intorno al 1615.
Quando arrivò nelle strette strade tra via Margutta e via della Scrofa, dove si condensava gran parte dell'universo artistico dell'epoca in un brulicare di laboratori artigianali in cui i pittori si alternavano a fabbri e falegnami mescolandosi a locande, osterie e bordelli, Riminaldi entrò subito a lavorare nella bottega del famoso Gentileschi. Caravaggio era scomparso già da 5 anni, trovato morto sulla spiaggia di Porto Ercole, ma aveva lasciato Roma ben 9 anni prima. Un'altra storia artistica stava cominciando e passava attraverso i nascenti segni barocchi del francese Simon Vouet e il classicismo dei maestri emiliani come Guido Reni e Guercino.
L'esposizione allestita nelle stanze dell'opera della Primaziale di Pisa è una mostra ricca e colta, in cui si individua l'intersecarsi delle varie correnti artistiche e si studiano quelle influenze che hanno portato Riminaldi, tra i primi, ad una evoluzione verso uno stile più moderno che adesso gli fa superare il difficile esame della critica e lo inserisce tra i pionieri di un nuovo linguaggio.
Ma per godere la mostra non è importante vedere l'influenza di Guido Reni o le sollecitazioni di Gentileschi e quelle caravaggesche. Una lunga sequenza di capolavori accompagna il visitatore passando dalle tematiche sacre a quelle profane e mitologiche e questa basta da sola per un affascinante viaggio nella bellezza. Un’elegante Proserpina dalla pelle di porcellana e dallo sguardo più attonito che spaventato viene rapita da un Plutone barbuto. L'armonia della composizione si unisce alla morbidezza del panneggio mentre l'ultimo squarcio di luce si sofferma sul piede nudo di lei che fuoriesce dalle vesti, forse ancora più sensuale della profonda scollatura. Di fronte, in un'altra tela gigantesca, Abramo sta per vibrare il colpo mortale sul figlio Isacco quando l'angelo gli ferma la mano. Il ritmo quasi melodico del racconto insieme all'intensità dello sguardo di Abramo ne alleggeriscono la drammaticità, mentre il busto nudo del giovane dal perfetto incarnato emerge dalle ombre in un cono di luce.
In un'altra stanza la teatrale Vestizione di Santa Bona riporta l'attenzione sulle sontuose e colorate vesti indossate da donne e prelati. Alcuni esempi di stoffe sono in mostra a dimostrazione della tradizione serica delle città toscane. Riminaldi era figlio di tintori lucchesi e fin da piccolo aveva conosciuto la preziosità di certi tessuti. Anche per questo nei suoi quadri, come in quelli del Lomi, c'è sempre un forte interesse verso gli abiti pregiati. Che erano però assenti nella vita popolare quotidiana e prerogativa soltanto dei ricchi.
Dolci Madonne, santi emaciati, personaggi più o meno noti di storie sacre o profane usciti dalle mani di Guercino, Reni, Bronzino, Vouet e molti altri artisti che costellavano il panorama artistico seicentesco fanno da cornice a un ritrovato Riminaldi che in quell'ambiente stava crescendo. Certo, difficile pensare che nella maestria di chi ha dipinto scene tanto sublimi potessero nascondersi spesso più vizi che virtù. Eppure, l'universo artistico di quegli anni a Roma, e non solo, è stato teatro di risse e violenze.
Agostino Tassi era un criminale da galera e lo stupro di Artemisia non è stato che uno dei suoi molti misfatti. Orazio Gentileschi era un uomo violento. Si sa che Aurelio Lomi picchiava la moglie, la quale fuggì e si rifugiò a Firenze per scampare alle percosse del marito. Lo stesso Caravaggio fu più volte arrestato per ribalderie varie fino a dover scappare da Roma dopo aver commesso un omicidio.
Della vita di Riminaldi nell'Urbe niente invece si conosce. Non sembra essere stato sposato ed avere avuto figli. Né appare come protagonista di risse o baruffe varie. Ma di certo non era persona docile, né quella sicurezza sfoggiata nello sguardo del suo autoritratto era solo ostentazione, se è vero ciò che sappiamo dall'unico aneddoto giunto fino a noi attraverso il racconto del suo primo, anonimo, biografo. Si dice, infatti che i preti di Santa Maria della Rotonda, chiesa a cui era intitolato il Pantheon di Roma, si rifiutassero di onorare il promesso pagamento al pittore per una grande tela raffigurante la decapitazione di Santa Cecilia. “Dovremmo essere pagati noi”, sentenziò il Capitolo, “perché diamo agli artisti la possibilità di essere conosciuti”. Riminaldi non ci pensò neanche ad accettare il sopruso, ma non la fece troppo lunga. Con belle parole e con la scusa di dover fare dei ritocchi si portò via l'opera e due giorni dopo consegnò ai prelati una copia dipinta in fretta e furia, rispondendo alla protervia non con la forza ma con l'inganno. Né le proteste dei potenti preti, né gli sbirri, né i tribunali ebbero mai la meglio sul fiero Orazio che nel 1627, quando venne chiamato a dipingere la Cupola del Duomo, portò l'opera a Pisa. Collocata prima nella chiesa di Santa Caterina, la grande tela fu poi acquistata dai Medici per la loro collezione privata e ora è a Firenze, esposta a Palazzo Pitti.