-È da molto tempo che ti aspetto.
-Sì, lo so, hai ragione, ma sono stato molto impegnato. E poi tu non sei facilmente raggiungibile.
-Sai dove sto. Non mi sono mai mosso da qui.
-Sì, ho capito, ma non cominciamo con il piede sbagliato, per favore.
-Va bene. Come stai?
-Mah, insomma! Mi sento stanco, ho sempre mille cose da fare e, di solito, non riesco a farne nemmeno la metà. A lungo andare è frustrante. Non ho il tempo per pensare, per stare vicino a mia moglie, per stare un po' tranquillo. Questa è una cosa che mi manca davvero molto, la tranquillità.
Qui da lui, invece, di tranquillità c’è né fin troppa. Per chi viene da una vita frenetica arrivare qui è come scendere da un treno in corsa. Tutto è fermo. Tutto è silenzio. Si percepisce una strana sensazione; subito si direbbe un senso di monotonia, di staticità, di lentezza, ma piano, piano si capisce che è una immobilità dinamica, una sorta di motore immobile. Un ossimoro. Qualcosa che razionalmente non potrebbe esistere, ma invece è lì, indiscutibilmente esiste.
-Allora? Cosa sono queste cose così importanti che ti tengono occupato?
-Oh, guarda, lasciamo stare, per favore. Sono venuto da te per starmene lontano da tutto questo. Non farmici pensare. Dammi almeno il tempo di riprendermi un attimo. Fammi respirare un po' e poi ne parliamo.
Ci conosciamo da tantissimo tempo. Così tanto che non sono neanche più sicuro di quando fu la prima volta che lo incontrai. Mi ricordo solo che una volta avevamo bigiato scuola, facevamo il liceo artistico nei primi anni ’70. Un casino totale! Erano più i giorni di sciopero o di assemblee che quelli di scuola. Da un lato partecipavo con vero interesse al movimento, dall’altro mi dispiaceva non fare lezione, perché per me disegnare era una necessità.
Quella volta eravamo seduti su di una panchina nel piccolo parco di fronte alla stazione - chissà se esiste ancora - e lui, di punto in bianco, mi disse: “Per vivere come penso sia giusto per me non devo sposarmi ed avere figli”. Così, come se fosse la cosa più naturale e logica del mondo. Chissà da dove gli era venuto questo pensiero e chissà che vita aveva intravisto. Però, in un certo senso, lo capivo, perché per me, per esempio, era altrettanto naturale pensare che non avrei mai fatto il militare, che a quei tempi era ancora obbligatorio. Ed infatti non lo feci. Meglio che non dica come successe, non sono sicuro che certe cose vadano in prescrizione. Capisco, quindi, come si possa sentire che alcune cose nella vita non le faremo mai.
Un altro lontano ricordo che ho delle nostre conversazioni fu una notte, diciamo una mattina, perché stava albeggiando. Era un periodo in cui vivevamo più di notte che di giorno, primissimi anni di università, fine anni ‘70. Non percepii una grande differenza tra l’atmosfera del liceo artistico e quella di architettura. In facoltà c’erano persone che ci vivevano dormendo nei sacchi a pelo e alcuni di loro giravano tra le aule in tuniche bianche con candele accese; c’erano gli esami di gruppo, ai professori si dava del tu - anche perché alcuni di loro erano poco più anziani di noi - e il programma di studi era libero.
Quella mattina eravamo di ritorno dalla solita serata passata in birreria, a mangiare panini buonissimi, bere birra, ascoltare quella musica che all’epoca si definiva rock, musica che in quel periodo veniva definita “non commerciale” e a dialogare con gli amici degli argomenti più disparati, dalla musica alle Brigate Rosse. Usciti dal locale non trovammo più la mia 500. Dopo aver girato un po' per le strade limitrofe la trovammo con il tettuccio di tela tagliato e una siringa sul tappetino del passeggero. L’avevano presa in prestito per farsi una pera. Sulla strada di casa ad un certo punto accostammo e fermammo la macchina. La città era deserta, non un rumore, nessuno per le strade.
Che senso ha tutto questo? Che senso ha la vita che fanno tutti. Svegliati, vai a lavorare, torna a casa e vai a dormire. Per anni, decenni. Fin quando creperai. Intanto il mondo gira, il sole, la vita, la Natura, tutto va avanti al di là di noi. Se guardi tutto da più lontano, come se fossi in orbita a qualche migliaio di chilometri dalla Terra, dove vedi il pianeta e non le forme di vita su di esso; una palla blu che fluttua nel silenzio assoluto. Che importanza ha se farai l’architetto o il pescatore?
Dov’è scritto che si deve vivere tutti allo stesso modo? Per ora, nonostante i nostri politici, siamo ancora liberi di fare quello che vogliamo. Puoi decidere di andare a vivere dove vuoi e come vuoi. Il pianeta è grande e di possibilità ce ne sono milioni. Sei libero e puoi fare quello che vuoi, secondo i canoni di quello che questo sistema definisce “legale” o meno, che è diverso dal senso di giustizia.
Fu come un’intuizione, credo, non saprei come meglio descriverla. Fino ad un attimo prima non ci avevo mai pensato, ma una volta espressi, questi pensieri mi sembravano lampanti, chiari, assolutamente veri. L’errore è dare per scontato alcune cose, semplicemente perché “così fan tutti”.
Di momenti simili ne passammo molti altri nel corso degli anni, come quando la mia ragazza dell’epoca mi lasciò ed io ero distrutto e me ne stavo appoggiato allo stipite della porta totalmente assente ed apatico, mi disse: “Cosa fai? Stai dritto non ti appoggiare, stai in piedi da solo!”. Ebbe l’effetto di anni di terapia. Mi fece capire in un attimo che la vita con i suoi eventi (o problemi, se vogliamo continuare a vederli così) andava affrontata, non subita. Certo il periodo storico aiutava molto. Si era immersi in un ambiente musicale epico, che aiutava e influiva molto sul modo d’affrontare la vita, di petto, a fronte alta, senza compromessi.
-Oi, sveglia! A cosa stai pensando? È da quando sei qui che ti vedo alquanto assente.
-Sì, hai ragione. Ma come ti dicevo, sono stanco, stanco di scrivere, di fare riunioni, di partecipare a manifestazioni e conferenze. Sono stanco! Sembra che tutto questo non porti a nulla. Anni fa bastava che qualcuno trovasse una qualsiasi ragione, anche piccola, come il riscaldamento che non funzionava nelle aule, per esempio, per indire uno sciopero, che avrebbe generato un’assemblea di istituto, che a sua volta avrebbe attirato l’attenzione di artisti vari (quante volte è venuto Guccini a suonare da noi!), che avrebbero attirato l’attenzione dei media e, come per miracolo, il riscaldamento avrebbe ripreso a funzionare. Oggi si fanno articoli, assemblee, Zoom e chi più ne ha più ne metta, ma non succede assolutamente niente!
-Basterebbe dire NO.
-Cosa intendi?
-Dico che tutto ciò è sicuramente lodevole e anche giusto, dal mio punto di vista. Tutti gli sforzi che alcuni stanno facendo in questi anni sono assolutamente lodevoli e necessari, da un certo punto di vista.
Ma, in realtà, sarebbe molto semplice cambiare le cose nel giro di pochi giorni. Quanto pensi che durerebbe questa società se tutti, per una settimana o due, dicessero no, non compreremo più i vostri prodotti fatti con materie prime inquinanti e dannose per la nostra salute. Non continueremo a violentare la Natura, a stravolgere la vita su questo pianeta solo per gli interessi miopi di alcuni di voi, non utilizzeremo più l’energia elettrica per questo periodo, non faremo più funzionare i nostri ristoranti, non laveremo e stireremo più, non faremo decollare gli aerei, non faremo partire i treni, non starò più a sentire i vostri falsi notiziari. Basta! Fermiamo tutto.
Noi siamo le persone, la cosiddetta massa, il popolo e grazie a noi voi siete lì, grazie a noi avete un ruolo importante, di governo, grazie a noi le vostre industrie sono diventate enormi, con fatturati superiori al PIL di intere nazioni. E se noi diciamo NO, voi non contate più nulla.
Non riesco a dargli torto. Anche questa volta sento che ha ragione, che se tutti fossimo uniti e convinti a dire NO, basterebbe davvero qualche giorno e tutto il castello di carte crollerebbe miseramente.
Non so se prima o poi il popolo sarà sufficientemente esausto da riuscire a dire no. Per adesso e da almeno trent’anni, io dico NO! E se l’abbiamo fatto io e mia moglie, vuol dire che lo può fare chiunque. Basta volerlo.
Basta dire NO!