Lo scenario mozzafiato della valle di Nyafunze nel Kivu sud, tra Mushinga e Kaziba nella Repubblica Democratica del Congo, in Everything Merges with the Night del 2005, fotografato con una pellicola sensibile ai raggi infrarossi appare come un dipinto irreale e straniante. La foresta pluviale dell’Ecuador, invece, nelle opere ottenute con una torcia a luce ultravioletta ed esposizioni multiple, assume colorazioni tra il rosso, il viola e l’arancio e, tra bagliori e riflessi cangianti restituisce una flora da fondali sottomarini.
Ma niente è come sembra e la prima mostra antologica di Richard Mosse intitolata Displaced e presentata alla Fondazione MAST di Bologna, fino a settembre, lo dimostra ampiamente. Come sottolinea il curatore Urs Stahel: “I conflitti umani sono il tema intorno al quale ruota tutta l’opera di Richard Mosse. Fin dalle prime fotografie, nella Striscia di Gaza, in Kosovo, a Sarajevo, sul confine tra USA e Messico e in Iraq, l’artista irlandese si muove lungo le linee di faglia dei conflitti: non si addentra nei luoghi caldi, evita le zone dove si combatte, piuttosto ne cattura le atmosfere, i tratti sostanziali, le circostanze e gli effetti”.
Una vasta esposizione con 77 fotografie di grande formato, inclusi i lavori più recenti della serie Tristes Tropiques (2020), realizzati nell’Amazzonia brasiliana e anche due monumentali video installazioni immersive, The Eclave (2013) e Incoming (2017), un video wall a 16 canali Grid (Moria) e il video Quick (2010). Nel percorso scorre un’incredibile galleria di immagini dove le tecniche utilizzate dal fotografo irlandese attinte dalle strumentazioni di uso militare come raggi infrarossi stravolgono la portata documentaria e restituiscono allo sguardo scenografie strabilianti e mondi capovolti.
“A partire da Infra (2010-2105) grande lavoro sugli infiniti, intensi, devastanti focolai di guerra nella Repubblica Democratica del Congo, Mosse esplora il rapporto tra fotografia documentaria convenzionale e arte concettuale. Il punto di partenza formale della serie è il colore. L’artista si serve di una pellicola sensibile ai raggi infrarossi che trasforma il paesaggio da verde intenso a rosso rosato, originariamente sviluppata da Kodak in collaborazione con l’esercito americano per individuare i nemici in aree a visibilità ridotta” spiega Stahel. E il risultato è la lussureggiante foresta pluviale congolese trasfigurata in uno splendido paesaggio surreale nei toni del rosa e del rosso. E come ha dichiarato l’artista irlandese al British Journal of Photography: “Volevo inserire questa tecnologia in una situazione critica per sovvertire le convenzioni tipiche di narrazioni mediatiche ormai cristallizzate e mettere in discussione la modalità in cui siamo autorizzati a dare forma a questo conflitto dimenticato…volevo testare questa tecnologia di ricognizione militare, usarla in maniera riflessiva per scardinare criteri rappresentativi della fotografia di guerra”.
“In Heat Maps (2016-2018), un monumentale progetto sul tema delle migrazioni, Mosse utilizza invece una termocamera, cioè uno strumento che cattura le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi. Ciò che vediamo non sono i riflessi registrati dalla luce visibile, ma mappe di calore, le cosiddette heat maps. Si tratta di una tecnologia che permette ai militari di vedere o meglio individuare un essere umano fino a 30km di distanza, di giorno come di notte” continua Urs Stahel. E tra le immagini di questa serie, spicca l’area portuale di Skaramangas, località nota per l’enorme cantiere navale oltre che per il campo profughi con 3mila rifugiati.
Tra il 2018 e il 2019 l’artista comincia a esplorare la foresta pluviale amazzonica. “Con la torcia scandaglia il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore e, alterando lo spettro cromatico, trasforma questi primi piani in uno spettacolo pirotecnico di colori fluorescenti e scintillanti che ha dell’incredibile” osserva Stahel e “nella serie Ultra l’artista realizza affascinanti fotografie della foresta con l’ausilio di una torcia a luce ultravioletta e di esposizioni multiple: immagini scintillanti in cui magici riflessi cangianti viola sono stemperati da tocchi di verde argenteo e bagliori metallici rosso cardinale e rosso carminio. Mosse cattura la bellezza preziosa, insostituibile di questo ecosistema attraverso una rappresentazione minuziosa e ravvicinata delle piante e degli insetti che lo abitano. In un’epoca in cui i fragili equilibri della foresta pluviale sono gravemente minacciati dalla pressione demografica, dagli incendi e della deforestazione, dagli allevamenti intensivi di bestiame, dalle piantagioni di palma da olio, dalle miniere illegali e da altre infrastrutture costruite dall’uomo, l’artista indaga la complessità del suo bioma, le relazioni simbiotiche e le interdipendenze”.
Per la prima volta la Fondazione MAST presenta un’ampia selezione dell’opera di Richard Mosse, inclusi i lavori più recenti della serie Tristes Tropiques (2020) realizzati nell’Amazzonia brasiliana. Oltre a questo straordinario scenario fotografico, la mostra propone anche il grande video wall Grid (Moria) (2017) e, al Livello 0, al pianterreno, due imponenti videoinstallazioni immersive, The Enclave (2013) e Incoming (2017), e il video Quick (2010).
Per il curatore “Richard Mosse è estremamente determinato a rilanciare la fotografia documentaria, facendola uscire dal vicolo cieco in cui è stata rinchiusa” e riflettendo sul significato della mostra aggiunge: “L’artista è riuscito a coniugare sapientemente spettacolarità, contesto, contenuto e concettualità, concretezza e metafora, osservazione e riflessione. Il risultato delle sue indagini sono immagini di grande effetto, mai spettacolarizzate o accusatorie”.