È tornato Joe Barbieri, un artista che rappresenta già di suo una nicchia di culto nell'ambito della nostra canzone d'autore. A quattro anni di distanza da Origami, inframezzato da un’ispiratissima deviazione dai suoi originali per celebrare il mito di Billie Holiday, c'è un disco nuovo, dal tratto delicato ed inimitabile. Si chiama Tratto da una storia vera (Microcosmo Dischi/Warner Music) ed è forse il suo album più personale e sincero, realizzato con l'appoggio di una schiera di artisti di altrettanto, fine livello, amici come Tosca e Fabrizio Bosso, fino a nuovi incontri con Carmen Consoli e Jaques Morelenbaum.
Tutti chiamati a sottolineare un tratto di luminosa onestà, cui hanno partecipato con istinto ed entusiasmo: “È vero che questo è un disco che parla di me, ma non ritengo sia tanto più autobiografico rispetto a quanto non lo siano i precedenti. Si tratta di un album che prende vari spunti in rassegna: alcuni vengono dalla mia vita, ma anche da quella delle persone che conosco e con cui mi rapporto. Se devo esprimere un concetto più personale, allora dico che mi sono imposto di smetterla di essere nemico di me stesso. Grazie alla musica sono tornato indietro nel tempo, andando ad abbracciare quel ragazzo timoroso che ha iniziato a fare questo lavoro pieno di dubbi e incertezze. Forse per abbracciarlo e dirgli che in fondo è andata bene.”
Sembra quasi che ti sia cimentato nella ricerca della verità che dal personale ha poi caratterizzato il lato artistico.
La verità è uno scrigno che difficilmente si fa scardinare, nei momenti in cui pare di comprenderne una parte essa muta, proponendo un’altra chiave, tanto da percepire di perderne un tassello altrove. Tuttavia, è a questa ricerca che continuo ad essere devoto, specialmente nel mio percorso di artista tanto che, in quasi trent’anni di strada, per scrivere la mia musica ho quasi sempre attinto principalmente alle mie esperienze personali, oppure alle storie che ho incontrato. E sento il bisogno di continuare a farlo, se possibile con ancor più ostinazione e forza. Anche per questo penso che Tratto da una storia vera sia un disco totale: c’è il passato, il presente ed il futuro. Ci sono le persone con cui ho lavorato, le mie passioni e i cibi che amo.
Questo inedito incontro con il violoncellista Jaques Morelenbaum celebra la tua predilezione per la musica brasiliana.
Me ne sono innamorato da tempo, approfondendola attraverso i grandi nomi che hanno definito quel genere, suscitando il mio interesse verso la MPB. La realtà della musica brasiliana mi fa pensare alla mia Napoli, per quell'accostamento estremamente naturale fra ritmo e melodia. Per un napoletano è quasi inevitabile provare un forte trasporto emotivo per questo genere, a partire da quella sponda che risuona fra la nostra cultura e quella brasiliana per merito di grandi personaggi come Sergio Bardotti. Riguardo a Jaques ho molto apprezzato Casa, il tributo a Jobim realizzato in trio con la moglie Paula e Ryuichi Sakamoto. Una folgorazione che mi ha spinto ad andare indietro nel tempo per riscoprire le meravigliose produzioni condivise assieme a Caetano Veloso.
Mentre Ridi è invece un ispirato strumentale, ti ha suggerito una nuova direzione?
È un ponte verso quello che sto sviluppando e che mi piacerebbe fare in futuro: centellinare le parole, sceglierle, occuparmi di colonne sonore per il cinema, questo tipo di cose.
A proposito di Napoli, come si è delineato nel tempo il tuo ricordo di Pino Daniele?
Per me non è mai stato facile parlare di Pino. Il mio legame con lui continua ad essere molto importante e profondo e va molto al di là del suo ruolo di produttore della mia musica. Lazzari Felici è uno dei suoi tanti capolavori, non c'era la volontà di “includerlo” a priori. Un giorno mi sono ritrovato a suonarla e, quasi senza accorgermene, dal suonarla solo per me sono passato a darle un vestito per il disco. È nato tutto in maniera estremamente spontanea, anche perchè la vera napoletanità viene fuori senza sforzo.
Tornando al disco e ad una collaborazione diventata speciale si può dire che con Tosca hai ormai un feeling assoluto.
Entrambi condividiamo il gusto per la scoperta, la ricerca. Da lei imparo non solo il rigore per questo mestiere, ma l'empatia verso le persone. È generosa, il suo modo di lavorare è fatto di passione e rigore: lo trovo pieno di spunti ed elementi che rappresentano una continua fonte d'ispirazione.
E invece come hai incrociato la tua strada con qualcuno degli amici arrivati per l'occasione, tipo Cammariere e la Consoli?
Con Sergio abbiamo iniziato a ‘frequentarci’ durante il lockdown scoprendo delle affinità, anche Carmen è un'artista speciale: ci eravamo incrociati solo una volta a Catania; poi ho scoperto che conosceva molto bene Maison maravilha, un album cui sono molto legato (che ha pure riportato un grande successo anche all'estero, n.d.a.) e così ho pensato di proporle il duetto di In buone mani, canzone che ho scritto e cantato per mia moglie il giorno in cui ci siamo sposati: è scritta con una tonalità maschile, sulla carta difficilmente condivisibile per una cantante. Eppure lei è stata perfetta.
Il primo singolo estratto invece è Promemoria, ed è stato il tuo modo di tenere a bada il periodo difficilissimo che abbiamo tutti alle spalle.
È stata la canzone che ho scritto all’inizio della pandemia, come gesto di stupore nei confronti di una situazione che nessuno si era mai trovato a vivere prima. È stata la scintilla che mi ha fatto credere che di questi tempi fosse possibile realizzare un nuovo disco. Questa canzone mi ha rivelato la sete di arte che tutti abbiamo e che dopo questa forzata sospensione si è ulteriormente amplificata.