La storia della cooperazione italiana è la nostra storia. Noi siamo cambiati assieme a lei. In meglio. Proviamo a fare un excursus e troveremo, anche nel lessico del legislatore, l'evoluzione positiva.
La prima legge che pose un minimo di attenzione “ai Sud” fu la legge Pedini del 1966 che permise una sorta di servizio civile nei “Paesi in via di sviluppo” in alternativa al servizio militare. Fu una legge coraggiosa che ruppe il monopolio della caserma sui giovani. Legge poco conosciuta; scusate: poco divulgata. Ma fu comunque importante in quanto fu istituita a soli 25 anni dall'uomo coloniale, imperiale, che cantava “viva il Duce e viva il Re” e che gasava i neri nel Corno d'Africa.
Le pressioni internazionali affinché le agenzie ONU avessero da parte degli Stati il dovuto per operare fu insistente tant'è che fu introdotto un meccanismo “do ut des” che andava a premiare gli Stati più generosi verso la Comunità Internazionale (e ciò spiega come mai l'Italia si sta alternando con la piccola Olanda nel seggio dei 15 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU dove passano le relazioni – contatti, contratti, contanti – più impegnativi al mondo). Fu quindi istituita la n. 1222 del 1971 che permise che l'80% dei fondi andasse al multilateralismo (ONU) e un 20% alla cooperazione tecnica. Il sottosviluppo degli altri era dato da mancanza di know how: “Loro non sanno e quindi non fanno”. Negli anni '70 vi fu un vero e proprio boom degli CFP (Centri di Formazione Professionale) in Italia e in Europa e l'importanza cadeva più sul saper fare che sul sapere o saper essere. I fondi della 1222 erano contesi tra 2 ministeri: Tesoro e MAE in una sorta di bizantinismo concorrenziale che è tipico del bel paese. La risposta paradossale a tutto questo tecnicismo è che l'Africa rispose più con licei che con CFP tant'è che oggi scarseggia di tecnici per riammodernare le 54 capitali coloniali che cadono per l'età.
Ma la “cooperazione allo sviluppo” come la intendiamo oggi nacque grazie ai digiuni di Marco Pannella che s'intrecciavano con l'auspicio di Papa Giovanni Paolo II e il monito di Pertini che auspicò di “svuotare gli arsenali e riempire i granai”. I radicali resero noto che l'Africa da esportatrice di derrate alimentari diventò importatrice, a causa delle monoculture. Non solo di derrate ma soprattutto di armi. Fu quindi istituita la n. 38/79 per la cooperazione internazionale allo sviluppo e si decise che il MAE era il ministero di competenza. Si sono scritti intere enciclopedie sul concetto di sviluppo unidirezionale che era proprio dell'occidente: “Io sviluppo te”. Il cooperante era l'esportatore di sviluppo; una sorta di premessa all'esportatore di democrazia che tanti danni fece negli anni '90 in Medio Oriente e nel Maghreb. Si videro centinaia di ONG e migliaia di cooperanti “salvatori del mondo” che percorrevano, in auto, le strade dei Sud del mondo. Alcuni assomigliavano più ai nostri navigator (tutor del reddito di cittadinanza) mentre altri erano forti delle loro competenze tecniche e desiderosi di trasmetterle “whatever it takes”. Eravamo anni luce distanti dal “lentius profundius suavius” che arrivò solo con l'ecologia di Alexander Langer.
Ma la TV di Stato era ormai entrata in tutte le case e gli italiani obbedivano al pentapartito che non trascurava, su raccomandazione d'Oltretevere, un'attenzione ai Sud del mondo e alle grandi carestie.
L'unità inedita tra Marco Pannella e Flaminio Piccoli contro la “fame nel mondo” istituì la n. 73 del 1985, con il fondo (denominato Fondo aiuti italiani) per la realizzazione di programmi integrati plurisettoriali in una o più aree sottosviluppate caratterizzate da emergenza endemica e da alti tassi di mortalità. La legge prevedeva anche l'istituzione di un sottosegretariato in capo al Ministero degli Esteri incaricato di gestire il fondo. Primo sottosegretario fu il socialista Francesco Forte.
Ma fu solo con la 49 del 1987 che la cooperazione internazionale diventò “parte integrante della politica estera”. Per la prima volta si parlò di “cooperazione decentrata”, di “sviluppo endogeno” seguito da una DGCS (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE), di “crediti d'aiuto” preposti dal Ministero al Tesoro. A fine anni '80 l'Italia andava economicamente a gonfie vele e poteva permettersi forti “relazioni internazionali” non solo diplomatiche. Le ONG (organizzazioni non governative) riconosciute e che quindi avevano superato l'esame statuale potevano attingere a un fondo cospicuo che, nel 1989, fu pari allo 0,41% del PIL. Fu istituito il CICS (Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo). Le ONG che tendevano a moltiplicarsi si divisero in tre filoni tipo bandiera italiana; CIPSI (verdi), FOCSIV (bianchi), COCIS (rossi). Furono anni interessanti che conobbero con “tangentopoli” anche la corruzione e le risorse precipitarono allo 0,11% nel 1997. Si scoprì un'autostrada fantasma in Bangladesh che faceva il paio con malfunzionanti impianti d'irrigazione in Senegal fino alla fantomatica metropolitana di Lima. Era la cooperazione internazionale che aveva aperto all'industria pro grandi opere che venne messa sotto accusa e non tanto quella delle ONG. Ma nella confusione furono sottratte risorse a tutti. Alle ONG vennero inoltre sottratte risorse (308 mln di euro) che son servite per la guerra in Iraq come descrisse Emanuela Citterio su Vita.
Insomma, tutte queste ingerenze politico-partitiche non andavano bene e tutti reclamavano, per anni solo a parole in un'infinita convegnistica, che serviva una legge ad hoc che istituisse un'agenzia autonoma. Arrivò con il governo Renzi e fu istituita la 125 del 2014. Il MAE diventò MAECI (Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale) con un viceministro delegato per legge. Vengono riconosciuti i CCP (Corpi Civili di Pace) e lo SVE (Servizio Volontario Europeo) per dare opportunità oltre lo SCU (Servizio Civile Universale). Venne introdotta la sussidiarietà e potenzialmente riconosciuti altri soggetti di cooperazione internazionale come, per esempio, il commercio equo e solidale.
Purtroppo permane un retroterra culturale non facile da dissodare e permane la parola “aiuto” che viene citata più volte nella legge ma sarà solo con la pandemia che si comprenderà l'importanza delle relazioni internazionali e della necessità di non lasciare nessuno indietro. Ne va della nostra incolumità.