Anche in foto, anche zitta annuncia il brio del suo animo perché l’aspetto la serve a puntino: occhi celesti sfavillanti e capelli biondi che suggeriscono onde perfino quando sono lisci. Valentina Lo Surdo, romana, fu travolta dai suoni da ragazzina, facendo la tastierista Progressive rock degli anni Settanta, poi scoprì la musica classica, lo studio del pianoforte; è conduttrice radiofonica e televisiva, presentatrice di concerti, istruttrice di giovani musicisti in cerca di riconoscimento. Per adesso, basti così. Ah, invece no: Valentina Lo Surdo cammina.
La gente le chiede: “Ma quante cose fai? Come ti identificheresti veramente?”. Forse potrebbe rispondere che fa tutte le cose che albergano in lei e quindi il mosaico è coerente. Anche perché non apprezza i guazzabugli: “Sono capace di parlare di classica con i classici e di rock con i rockettari, ma i ‘mischioni’ non mi sono mai piaciuti, penso confondano le idee di entrambi i mondi musicali che hanno bisogno di un sostegno rigoroso l’uno dell’altro”.
Musica e natura sono i tuoi filoni fondamentali?
Sicuramente sì. La musica e la natura hanno molto in comune. Si pensa che la musica nasca sotto le dita o soffiando o dalle corde vocali. Io ribadisco che la musica nasce dall’ascolto. C’è un bellissimo proverbio, immagino buddista, di certo orientale: “Se cadesse all’improvviso un grande albero in una foresta disabitata produrrebbe rumore?”. Se non ci fossero le orecchie ad ascoltare la musica non avrebbe ragione di essere e, proprio fisicamente, potremmo affermare che non esisterebbe. Riconoscere la bellezza, riuscire a emozionarci ascoltando vuol dire che noi siamo musicisti anche se non abbiamo acquisito l’abilità manuale per suonare.
E quando cammino che faccio? Ascolto. Il cammino riconnette soprattutto con l’ascolto di sé. Si apre un varco spazio-temporale: ti dimentichi di te e sei solo un essere umano con due paia di calzini e di mutande, due magliette, due pantaloni. Punto. Perché sulle spalle noi che siamo donne non possiamo avere più di cinque, sei chili. L’errore madornale è camminare con le cuffiette o parlando al telefono, anche se in migliaia di chilometri mi succede di usare il cellulare.
Dove hai fatto la pellegrina?
La ricerca personale, spirituale per usare una parola un po’ New Age, mi ha sempre portato in luoghi archetipici: gli ashram indiani, le montagne nepalesi, la Cuba di Santiago, il Messico, il Guatemala, l’Egitto, l’Australia degli aborigeni. Questi sono i miei orizzonti, dove mi batte il cuore e in questo momento ne ho una nostalgia incredibile. Non sono religiosa, ma attratta da tutto ciò che ha un’anima, chiamiamola così, un’anima profonda, antica, universale. Il cammino di San Benedetto, fra Umbria e Lazio, da Norcia a Montecassino, per esempio, parla e racconta: a poche manciate di chilometri da casa sei in Nepal. Trevi nel Lazio è fermo al 1700 poi da lì valichi a Subiaco e trovi Santa Scolastica, San Felice.
Dietro lo sguardo azzurro vivace, la voce squillante e la vulcanicità con la quale vivi c’è una malinconia da sconfiggere?
È una bellissima domanda che non ho mai ricevuto se non da chi mi ha amata (uomini della vita e persone amiche che mi sanno guardare negli occhi). Ho la fortuna di avere un carattere facile e basta un raggio di sole perché mi venga il buonumore. Detto questo, ho degli abissi di tristezza che in qualche modo vengono proprio dall’ascolto e ho dovuto imparare a gestirli. Se pensi tanto e scopri che senti non solo per te ma anche per altri sei completamente travolto da emozioni e da questioni filosofiche, esistenzialiste. Mi è successo soprattutto quando ho affrontato le prime gravi morti della mia vita. A quattordici anni, e tutto splendeva, mi sono morti due cugini: una bambina di un anno e un ragazzo di diciotto. In quell’abisso di dolore mi dissi: io non potrei mai avere un figlio.
Non sei madre?
No, ma non dobbiamo mai porci limiti. Se lo sarò o non lo sarò va bene uguale perché ho sempre avuto la sensazione che stiamo vivendo uno dei tanti giri di giostra. In questa danza infinita siamo stati tutto, siamo tutto e saremo tutto quindi sono serena e libera davanti a qualunque ipotesi, ma la reazione di allora fu: accidenti, io non avrò mai figli perché dovessi perderli sarei sopraffatta dal dolore.
La scoperta più importante della mia vita, la scoperta di come si deve affrontare la fine è stata quattro anni fa con la morte di mio padre. Non voglio fare la maestra perché siamo sempre alle elementari quando ci colpisce qualcosa di così forte. Papà aveva 66 anni, ed era meraviglioso: è stato malato perciò ci siamo potuti preparare. Il fatto stupendo, lo dico in termini entusiastici che possono sembrare quasi paradossali, è che ho vissuto la sua morte completamente dedita a lui che viveva il processo epocale della sua esistenza. Con mio fratello di quasi dodici anni più giovane e che, quindi, ha perso il papà da ragazzo, lo abbiamo accompagnato con totale amore e dedizione, non mostravamo una traccia di sofferenza. Se a qualcuno veniva da piangere io lo pregavo di andare non in un’altra stanza, ma otto case più in là perché papà fosse avvolto dalla luce, dalla gioia. Era per dirgli: papà vai, puoi andare.
Abbiamo tutti gli strumenti per sopportare gli abissi di tristezza. Penso all’antica formula alchemica: “Tanto più in alto quando più in basso”. Dobbiamo solo amare.
Con l’amore hai sconfitto la paura?
Sì, la paura di perdere le persone amate è andata via, anche se a me stessa non nascondo le mie tristezze. Il dono più grande della mia vita è che ho imparato a guardare la morte negli occhi e per me è urgente condividerlo con gli altri. Incoraggio a dire tutto, ad amare, a concentrarsi sulla persona che sta sostenendo la prova ineludibile. È molto meno spaventoso di quello che la nostra educazione cattolica faccia sembrare, per quanto ci sia la resurrezione nel nostro DNA, con l’immensa ombra del funerale. Non dico di festeggiare, ma di stare in silenzio, in lode, mangiare insieme, ricordare e ringraziare.
Non è certo una lagna la tua vita professionale. La conduzione di Radio3?
Sono 15 anni che conduco programmi per la RAI. Radio 3, RAI 5, RAI International. Radio3 è qualcosa di inestirpabile dal mio cuore, è la luce, le sono devota e grata, perché mi ha dato la possibilità di portare il mio modo di pensare la musica a tanta più gente ed è un mondo a sé di un livello di una qualità specialissimi.
Non sono una dipendente, vengo chiamata a periodi e va bene perché non sono tipo da posto fisso. Le conduzioni a macchia di leopardo (tre settimane di Primo Movimento, poi Qui comincia, un po’ di Suona l’una, qualche Wikimusic o Tre soldi) mi fanno sentire sempre il piacere di tornare, il dovere e il gusto di confermare il risultato. Mi sento ancora come nel 2006 quando ho fatto un provino su consiglio di Stefano Catucci, conduttore dei Concerti del Quirinale che mi aveva visto presentare un concerto. Ne ho presentati ottocento dal 2000 al 2010! Dopo un ottimo liceo avevo deciso di non fare l’università che per me avrebbe voluto dire rimandare l’indipendenza. E mi sono iscritta a una spettacolare scuola di due anni (dal ’95 al ’97), l’Accademia di giornalismo e critica musicale di Gianfranco Salvatore. A 24 anni ho creato Mrs. Philharmonica, società di organizzazione di eventi musicali, grazie ad Albertina Marinelli che mi disse: “Tu fai la creativa, io faccio tutto quello che serve per tenere in piedi la baracca”. Il focus non era guadagnare, ma fare spettacoli belli e avvicinare nuovi pubblici. Li ho presentato tutti, quei concerti, dialogando sul palco con i musicisti. E mi notò Catucci.
Che si fa con l’arrivo dell’estate?
Presenterò il Festival Puccini a Torre del Lago che comincia il 23 luglio. Poi: chiunque può venire con me. Amo tanto l’hashtag #cammina con me. Le prime due settimane di luglio in Friuli faccio il Cammino celeste con l’appoggio dei due festival I suoni dei luoghi e il Mittelfest perché la sera ci sono i concerti. È un bel modo di conoscersi camminare insieme, il mio preferito.
Un accenno alle tue lezioni?
Tengo corsi che danno l’opportunità di inserimento professionale per i musicisti che vogliono essere attivi oltre ad aspettare di essere chiamati, L’arte del successo. Il mio braccio destro è Salvatore Frega, compositore di 31 anni, che ha studiato all’Accademia Santa Cecilia con Ivan Fedele, collabora con Giorgio Battistelli, dirige l’Accademia musicale della Versilia, scuola con 2800 studenti, e ha 52.000 followers su Instagram. Un imprenditore della musica.
Fine dell’accenno. I ragazzi di Lo Surdo e Frega hanno fondato l’Orchestra Sinfonica della Versilia. E potrebbero darci il la per un’altra storia.