Il sole è giovane ogni giorno.
(Eraclito, fr. A 89)
Sorge sul mar la luna, ruotan le stelle in cielo
Ma sulle nostre luci steso è un funereo velo.(Belgrado Pedrini, Il Galeone)
Il Caos non c’era una volta, un tempo fa.
Il Caos è qui e ora. Il Caos è ciò che è
e il Caos è ciò che sarà.(Alexandr Dugin, Platonismo politico)
Da ragazzo avevo anch’io l’A cerchiata disegnata con il pennarello nero sullo zaino Invicta. Devo dire che tale segno da una parte mi affascinava ma dall’altra mi turbava, mi disturbava. Me lo aveva disegnato l’amico Giovanni Rossi, il primo anarchico che conobbi. Per molti anni l’unico. Un ragazzo intelligente, creativo, pallido, ma nel contempo sorprendente. Aveva un qualcosa di inquietante. La sua lucidità spiazzava. La sua contestazione radicale e spontanea di ogni istituzione e credo mi inquietava. Uno spirito imprevedibile, fluido, non classificabile. Non era il suo il solito naturale ribellismo adolescenziale ma possedeva l’asprezza lucida e mite della consapevolezza. Era uno di noi, nessun segno apparente. Era il tempo dei paninari. Nessuna moda in lui però attecchiva veramente. Gli scivolava sopra. Era uno di noi ma era nel contempo del tutto differente nel suo libero pensiero. Oggi è il cantante e guida di un gruppo rock molto interessante: gli Ufo Mammut.
Da adolescente ero troppo idealista e tutto preso da “eroici furori” e proiezioni ideali e immaginali per comprendere l’istanza vitale dell’Anarchia. Mi sembrava solo un qualcosa di distruttivo, irrazionale, utopistico. La mia tensione simbolica era tutta sul “costruire”. Non mi accorgevo, come poi mi accorsi, che il Sistema social-borghese era come un modo di pensare e di vivere che avrebbe come un invisibile virus vampirizzato le nostre energie giovanili e fatto di tutto per “normalizzarle”. C’erano comunque i Clash, i Sex Pistols. Mi piacevano gli Iron Maiden. Un senso di ribellione e di disordine interiore residuava comunque nel mio spirito e mai mi lasciò. L’impressione di essere antropologicamente un “non adattabile”, refrattario ad ogni classificazione categoriale, curiosamente permaneva.
Da fuori ovviamente difficilmente vieni capito. Sembri incontentabile, sempre insoddisfatto, esagerato, eccessivamente sognatore oppure eccessivamente moralista o perfezionista. Solo chi condivide con te la medesima inquietudine creativa può comprenderti, dall’interno. Ora che leggo che Alexandr Dugin nella sua opera Platonismo politico parla della necessità di costruire una “filosofia del Kaos” e ora che scopro che l’A cerchiata è la visualizzazione di una frase di Proudhon apparentemente paradossale: “l’ordine è anarchia”, dove il cerchio indica “l’ordine” capite che dentro di me qualcosa si smuove e si risveglia con stupore.
Devo dire che nel frattempo avevo avuto la fortuna di ascoltare e di incontrare alcune volte dal vivo uno spirito veramente e spontaneamente anarchico e creativo: Silvano Agosti. Un poeta, un fanciullo mai cresciuto, un ribelle, un essere umano consapevole e vivo. Non poco. Un bene prezioso per chiunque ascolti la sua voce. Silvano (nomen/omen) è un virus vitale che mostra a tutti in evidenza quello che tutti sappiamo: che l’attuale modello culturale-sociale-politico è un modello da penitenziario. La mia passione per i simboli mi spinge quindi a meditare filosoficamente sul segno dell’A cerchiata. E la passione del filosofo russo Alexandr Dugin per la filosofia di Eraclito accende anch’essa nuovi stimoli. Il filosofo russo recupera in pienezza il concetto di Kaos dal mito greco, come, quindi, qualcosa non di archeologico-nostalgico ma di vivo e di permanente.
Il Kaos quale dimensione fresca, giovane. Un Aiòn eternamente giovane. Il Kaos quale unica auto-evidenza ammissibile e possibile. Nel mito greco infatti Kaos indica l’Origine perdurante delle cose. È il Mito del Mito greco; il Racconto dell’Origine. Molte sono le declinazioni del racconto, con toni talvolta omerici oppure orfici o pelasgici. Le fonti sono disperse e frammentarie: brevi brani nell’Iliade, in Apollonio Rodio, Igino, Esiodo, Apollodoro, Pausania e pochi altri. Lavorio di ritessitura di piccoli frammenti. Unica deità pacifica post-Kaos (anche se Kaos non cessa, non svanisce): Oceano, padre degli dei successivi. Ma sempre abbiamo all’inizio un Inizio dove compare la Notte e un Uovo, dal cui spezzarsi escono tutti gli elementi: i sette Titani.
Dal prevalere di Urano segue la ribellione di Kronos e poi quella di Zeus, il cui dominio appare spesso insidiato. Apollo, Ade, Poseidone, sottilmente lo stesso Hermes e Dioniso, per non parlare della rivolta dei Giganti. Insomma: il regime di Zeus non è regime tranquillo. Eraclito pone limiti al “regime di Zeus” (fr. A118) con il segno astrale dell’Orsa, dominio di Oceano, come pure distingue nettamente fra gli “svegli”, per i quali il mondo è unico (=omologazione) e i sapienti che sono “dormienti” e nel loro sonno creano ciascuno un proprio mondo (fr. A99).
Il Potere contiene in se stesso il germe della sua dissoluzione. Anarchia significa restare dentro l’Uovo. Abitare il vero unico ordine: l’armonia, che vive in assenza della violenza del potere. Sussiste un rapporto inversamente proporzionale fra armonia/ordine naturale e potere. Un Uovo che si spezza, e continua a spezzarsi, ma pure vive quale Unità viva, per sempre. Anarchia è rifiutare il predominio di un Titano sugli altri, che sia Urano o Kronos o Zeus, ma abitare il Centro, il Punto, lo Zero, cioè l’Origine degli elementi. Il segno dell’Uovo tornerà spesso nel Mito: il berretto frigio, il copricapo dei Dioscuri e di Odisseo come pure il berretto di Hermes sono tutti derivazioni dell’Uovo spezzato.
Il Rito quale tentativo di ricomporre l’Uovo. Dugin più volte recupera un’immagine forte usata da Renè Guenon: quella appunto dell’Uovo cosmico che prima della Modernità era aperto verso l’Alto e, dopo, resta aperto solo verso il Basso. Anarchia è abitare l’Uovo, “vivere nel mezzo”. Un Uovo spezzato nel mezzo, sorgivo, scaturente, ma ancora unito. Non lasciare la fonte. Le bandiere dell’Anarchia sono a-iconiche, nere come la Notte greca da cui emerge Eros e Gea. Eurinome avanza danzando e danzando fa apparire la natura.
Dugin sostiene che il Logos produce divisioni e procede per divisioni, mentre il Kaos è inclusivo e contiene in se anche il Logos come il Mare i pesci. Anche in Genesi Dio crea per divisione, separando luce da luce, acqua da acqua. Un Dio che crea sì dal nulla ma crea “insieme a” e“da”una sorta di “prima creatura” che compare prima di ogni altra e addirittura prima della creazione della stessa luce: Kaos stesso, quale terra nera e informe, pre-forme. Ecco la Parola di Dio: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen.1,2).
Simili immagini di fecondazione ierogamica compaiono nel Mito greco dove il Vento del Nord accompagna l’emergere di Eurinome e di Ofione, segni di Aiòn. C’è un solo tempo, una sola stagione, allusa dall’aspetto multiforme di Eros Phanete per gli Orfici: leone, ariete, serpente, toro. Al Kronos del perenne conflitto, che è la dimensione del potere, Anarchia contrappone il Saturno pacifico e contadino delle messi che abita il suo Lazio (termine greco, da: lanthano), cioè la dimensione del nascondimento, del “non dicibile” originario. La Notte orfica, valorizzata da Dugin nella sua opera Soggetto Radicale, è il pre-forma formante, l’Origine magmatica e sorgiva, la Madre eroica, cioè la maieuta di Eros, la Luce sottile che tutto pervade, il Fondo dell’apparire delle cose. Il Cerchio del segno più celebre dell’Anarchia è questa Materia, questo Olos a cui attingere direttamente vita e creatività. Anarchia ci ricorda che nell’edenica Arcadia, occulta, vive ancora l’Età aurea, incessante e unica.
Una sorta di teologia negativa sembra permanere implicitamente nel Nulla di Stirner, anche se lui lo scrive con la n minuscola. La sacralità amniotica dell’Indifferenziato spontaneo. Ecco allora che l’Unico di Stirner, l’Anarca di Junger (da: Il Trattato del ribelle) e il Soggetto Radicale di Dugin con la sua mistica del Popolo-Dio, pericolosamente tendono ad allinearsi in una sola viva unità danzante. Se Anarchia rifiuta l’archè in quanto verticalizzazione e sequenzializzazione del potere e dell’oppressione che l’accompagna, Anarchia sembra abitare Archè quale Kaos, quale armonia fra circonferenza e centro in senso pre-declinatorio.
Andrebbe oggi recuperato il pensiero-movimento anarchico-nichilista russo, con la sua aura mistico-apocalittica, con la sua tensione escatologica all’annullamento divino di ogni potenza umana (1Cor. 15,24). Questo spaventa ma pure affascina di Anarchia: un qualcosa di abissale, che dà che le vertigini aleggia dentro il Cerchio attraversato (e fecondato) dalla freccia dell’A. C’è un punto di tangenza fra l’infinito durare del Cerchio e l’A della Direzione: è il kairòs del gesto, dell’atto creativo e liberatorio. La scelta, il focus, la tangenza non contraddice l’indifferenziato del cerchio ma lo qualifica, lo attiva, lo mette in moto.
Oggi Anarchia mi sembra emergere quale unico pensiero significativo e in primo luogo in quanto istanza radicalmente anti-ideologica e anti-sistemica. Il fatto che Anarchia non proponga-imponga alcuna visione costruttiva se un tempo mi sembrava un deficit oggi mi appare con chiarezza una virtù e un valore. La differenza sostanziale fra rivoluzione e ribellione è proprio questa: la rivoluzione è la sostituzione di un potere con un'altra classe egemonica mentre la ribellione-insurrezione non restringe la libertà che sceglie e rivendica nel momento in cui la dilata.
Anarchia è pensiero in movimento, cioè pensiero non scisso da istanze vitali.
Se la mente umana sta involvendo in unica oppressiva catena di montaggio il pensiero oggi Anarchia quale idea-limite è già per sua natura necessaria e attuale e implicitamente presupposta e richiamata da tutti. E se fosse Anarchia il migliore Nomos, cioè il riportare all’unità originaria: canto, nutrimento e governo, cioè tutti i significati del termine indoeuropeo-greco nemein?
Lo stesso pensiero-vita sperimentale di Nietzsche non si fonda sul concetto di auto-nomìa quale “darsi legge”, cioè: autogovernarsi? Non uscire dal Centro, cioè dalla Vita nella sua pulsante interezza.
Prima che apparisse Anarchia con il Discorso sulla servitù volontaria di Etienne de la Boètie, c’era Gorgia con la sua radicale istanza anti-egemonica e c’era la stessa Repubblica di Platone e il pensiero apocalittico-visionario di Gioacchino da Fiore. Con il procedere della Modernità si sono moltiplicati anche i pensatori-visionari critici che hanno iniziato a preoccuparsi della tendenza egemonista inclusa nella stessa Modernità e hanno allora iniziato a inventarsi mondi alternativi: Erasmo, Tommaso Moro, Campanella, Telesio e molti altri.
Se quindi Anarchia cresce come un fiore selvatico nel campo della Modernità (quale ideologia) possiamo dire che Anarchia è anche l’istanza vitale più radicale nello smascherare la democrazia stessa quale forma mascherata di egemonia elitaria e repressivo-alienante. Anarchia ci insegna che il “potere del demos” non è garanzia di libertà e di progresso perché demos non è il popolo in libertà e spontaneità ma indica, in greco, un popolo confinato in un territorio assegnato, un popolo cioè già organizzato dal potere. Piuttosto Anarchia è amica e condizione di una possibile e desiderata: lao-crazia, cioè l’autogoverno di un laos quale “popolo che combatte” o “popolo non altrimenti qualificato” (meglio: spesso il qualificare è meccanismo di controllo). Il concetto di “sovranità” non viene declinato da Anarchia ma lo si coglie in una sorta di perenne “sovranità costituente/mai costituita”, cioè auto-sovranità policentrica. “Demos” deriva dal verbo demo, cioè: fabbrico, e indica quindi l’origine federale-borghese-commerciale della democrazia attico-ateniese. Anarchia impedisce all’istanza di reale democrazia di cristallizzarsi in senso egemonico e, quindi, è Anarchia il sale della democrazia sostanziale, intesa in senso non etimologico ma valoriale-partecipativo.
Implicitamente Anarchia rifiuta il cristallizzarsi del decorso storico del tempo, quindi rinvia ad uno status a-temporale, edenico, arcadico, saturnino.
L’immediatezza ontica di chi si raccoglie in cerchio attorno al fuoco.
Non è questa anche la visione di Eraclito, per il quale il Principio, l’Archè è Polemos, visto non quale meccanismo di potere ma quale Fuoco vitale che anima ogni dialettica e processualità?
Anarchia quindi appare quale paradosso vitale, necessario e attuale in quanto se in apparenza si pone solo quale istanza di distruzione e di negazione vela in realtà una sua luce quale luce di unità. Come dal distanziarsi delle corde nella lira e nell’arco si genera armonia, suono e proiezione, come ricorda Eraclito nel frammento A4 e A8. E così il postulato vitale dell’Olos, perchè l’umanità è una, rinvia all’antagonismo naturale e complementare di una “polarità zero”, come in un’irradiazione globulare oltre e dentro il confine. Se esiste un Centro deve esistere una Circonferenza, confine-limite vivificante.
E viceversa.
Anarchia è centro-unità e confine in uno stesso spaziotempo. Un “centro diffuso”, possiamo abbozzare.
Anarchia non livella nulla, né distrugge il reale, ma riconosce ai singoli e al popolo quella libertà che le istituzioni di potere gli hanno usurpato e che hanno alienato in una recita, in una serie di simulacri, di idoli e di processi tanatologici e necrofili.
Eurinome, dea che esce da Kaos, nome parlante, è la mia prima più ampia legge. L’A che vive dentro il Cerchio, compasso demiurgico, arca, casa sull’albero, altalena, bilancia, freccia-serpente, appare come la Folgore di Eraclito. Che il Grande Sonno, che crea mondi, si svegli.