Questa storia è accaduta non molto tempo fa.
Lo so che il tempo è diventato una cosa molto relativa, e soprattutto sembra essere una dipendenza emotiva di chi lo vive, quando non è una variabile fisica o matematica, variabili che ultimamente cominciano a scomparire perché non so se lo avete notato ma ultimamente dalle formule che descrivono alcuni fenomeni fisici il tempo è addirittura scomparso, come se non esistesse, eppure per alcuni di noi è così importante, per cui, per darvi qualche elemento in più e collocare questa storia temporalmente, dirò che è accaduta una sera di primavera, prima che tutti fossimo privati di tante nostre libertà dalla pandemia.
Provate a immaginare allora un uomo che ha già superato molte boe nella navigazione della vita, potremmo dire usando una metafora scacchistica che ha passato il medio gioco, e si appresta a delle mosse, delle manovre, che lo porteranno a solcare mari da cui probabilmente non tornerà più indietro e che di cose singolari ne ha viste tante, e non accoglie ogni elemento con faciloneria, anzi, ha ormai vestito un certo scetticismo di cui forse a volte sarebbe bello liberarsi, per poter vivere pienamente l'inatteso e lo sconosciuto e forse anche l'inspiegabile, senza pregiudizio alcuno.
La storia è raccontata in prima persona singolare per rendere più concreta la sensazione che ciò che troverete in questa breve narrazione sia frutto di una mia riflessione legata al momento in cui tutto accadde, e al contempo possa apparire come frutto di una nostra conversazione semplice e intima, come se io fossi accanto a ognuno di voi e vi dicessi con tono colloquiale, tra amici, quello che passava nella mia testa proprio in quella sera, una sera come tante altre che a un certo punto ha preso una strada inaspettata, una strada che mi ha fatto pensare che ci siano molte cose che chiamiamo coincidenze, che abbiano una spiegazione celata nel tempo e nello spazio e che ogni tanto facciano capolino da dietro una tenda oscura e spessa, come se da un palcoscenico qualcuna di queste cose volesse occhieggiare di tra i lembi del sipario, un po' per curiosità sincera e un po' per il piacere di stupirci con una fugace misteriosa apparizione.
Ricordo distintamente l'emozione che mi colse quando accadde ciò che sto per raccontarvi, e ricordo l'inatteso stupore che a fatica trattenni perché sentivo impellente il bisogno di comunicare a qualcuno ciò che era accaduto, perché sempre è forte il desiderio di condividere con altri ciò che di eccezionale si è vissuto e io avevo voglia di gridare: “Fermi tutti! Sapete cosa mi è successo?! Cosa mi sta succedendo proprio ora?!”, ma non lo feci, però dentro di me fremevo...
Sono solo a casa, mia moglie e mia figlia minore sono all'estero a trovare la parte olandese della famiglia. Capisco dalle luci e dalla temperatura che si avvicina una sera di primavera bella e fresca e cresce in me la voglia di seguire l'attrazione di quella luce calante, di quella frescura, ma come se non fossero già quelle cose bastanti a giustificare una uscita consulto gli spettacoli in programma nella zona di Ravenna, ho voglia di andare a spasso, ho voglia di vedere qualcosa di nuovo. Fu così che scoprii, allargando il cerchio da Ravenna ai paesi vicini, che Ascanio Celestini interpretava uno spettacolo al teatro di Comacchio. Parto immediatamente ma prima raccolgo lo zainetto con la macchina fotografica e il binocolo 7x40 grandangolare, che potendo inquadrare un'ampia fetta di cielo mi permette di osservare le costellazioni. Sono fatto così, ho sempre bisogno di strumenti per potere affrontare un paesaggio, un cielo stellato, una macchia lontana, una pausa solitaria, e così ho quasi sempre con me una macchina fotografica, un binocolo, o un libro per i momenti di attesa. La strada è deserta fino a Comacchio, sono tutti a cena, e rammento una cosa che mi disse una persona olandese a me cara tanti anni prima: “Se vuoi invadere l'Italia devi farlo all'ora di pranzo, o di cena, non si accorgono di nulla, sono tutti a tavola.”
E sono tutti a tavola anche a Comacchio che, bellissima, mi appare desolata e silenziosa.
Ho quasi un’ora di tempo. Passo a teatro per ritirare il biglietto che avevo acquistato on-line, saluto, e mi allontano per trovare un posto verso le valli che mi permetta di osservare il cielo, nero come l’inchiostro, privo di luna, un firmamento di stelle che mi ricorda la più bella poesia d’amore che sia mai stata scritta: “Co vignivo de tu...” di Biagio Marin, “Quando venivo da te piovevano stelle...”
Camminando guardo in su, devo stare attento a non finire in uno dei canali di Comacchio, dove l’acqua immobile sembra cielo rovesciato. Salgo pochi gradini ampi e bassi di un ponte con una bassa balaustra in mattoni rossi. La piccola città è tutta per me... lampioni accesi che si specchiano e qualche finestra illuminata. Dall’altro lato del canale un uomo è accompagnato da un cagnolino minuscolo e tondo. Mi siedo sulla balaustra e prendo il binocolo, la macchina fotografica l’ho già al collo. Rivolgo lo sguardo oltre la fine del canale, dove scompaiono anche le poche luci dei lampioni inghiottite dal buio immobile delle valli.
Dove finisce il nostro mondo comincia il cielo e là c’è Orione, meravigliosa clessidra nello spazio, con la spada di luci infinitamente lontane ma presenti e tremolanti, sotto la cintura.
Scorro col binocolo il buio stellare e nel silenzio totale sono felice.
È un peccato essere soli in certi momenti indimenticabili e in questo particolare attimo mi ritrovo a pensare che potrei essere davvero il solo a rivolgere l'occhio in quella direzione e anche nell’antichità non videro ciò che vedo io ora, le costellazioni non sono più le stesse, si sono spostate, come fossero scivolate da un lato.
Scatto alcune foto, chi ama le cose deve sempre compiere dei furti, e io sono così, sono un ladro di immagini.
A teatro sono uno dei primi a cercare il proprio posto. Scopro che a Comacchio vanno a teatro con tutta la calma del mondo, dovrebbe cominciare ora lo spettacolo, sono le nove in punto ma i posti vuoti sono tanti, mancano molti spettatori, quelli che ci sono chiacchierano in piedi come se l’attore dovesse ancora partire da Roma.
Io sono impaziente.
Penso al cielo e alla precessione degli equinozi, allo spostamento delle costellazioni. I posti liberi ora scompaiono rapidamente, si acquieta il brusio e si abbassano le luci. Lo spettacolo si chiama Laika, come il primo cane nello spazio.
Compare Ascanio Celestini che a me piace sempre per quella sua aria un po’ disordinata, casuale, come se fosse capitato lì per uno scherzo del destino... guarda verso il pubblico e pronuncia le sue prime parole: “lestelesocaùte...”, non capisco, lui a volte farfuglia e pronuncia a bassa voce alcune parole arrotolate, raggomitolate, come se non fossero separate... “llestlesonaute...” ... e va avanti ancora: “lestlesonspostat... le stell son cadute, le stelle son scivolate!” E quelle furono le prime parole del suo spettacolo.