Molto spesso noi esseri umani usiamo il linguaggio articolato con questo scopo, cioè per mentire, per dire bugie e quindi ingannare il prossimo che parla la nostra stessa lingua e con la stessa padronanza. Si può ingannare con le bugie anche quando parliamo un’altra lingua o quando il nostro interlocutore parla una lingua che non è la nostra ma che conosciamo molto bene. In sostanza si possono dire bugie in tutte le lingue del mondo.

Per convincerci di questo è necessario risalire alla nozione di atto linguistico proposta da un gruppo di filosofi del linguaggio dell’Università di Cambridge, negli anni ’60, in primo luogo da John Austin e poi dai suoi allievi tra i quali il più noto è certamente stato John Searle (sarebbe meglio dire “è” in quanto Searle, nonostante la sua veneranda età, ora vive felicemente in California). Searle approfondì le indagini sulle relazioni dinamiche delle interazioni verbali tra gli individui e giunse alla conclusione che esistono delle modalità linguistiche o “atti linguistici”1. Gli atti linguistici fondamentalmente sono tre, ma quello più importante, ai nostri fini, è l’atto perlocutorio, cioè ciò che si fa nel dire qualcosa, come ci rivolgiamo al prossimo, quando ci si attiva affinché si produca degli effetti voluti su chi ci ascolta, in sostanza quando si vuole istigare o persuadere qualcuno a intendere certe cose, generalmente false, piuttosto che altre. Questo capita spesso quando vogliamo nascondere con le parole, cioè con le bugie, le nostre vere intenzioni. L’atto linguistico dipende quindi dal contesto in cui due interlocutori si relazionano, per esempio, in un’amicizia che in realtà non è amicizia, in un rapporto tra datore di lavoro e dipendente o in qualsiasi altra circostanza. Per fare un esempio quotidiano, prendiamo la pubblicità ingannevole, in cui il pubblicista vuole farci credere che un prodotto ha delle qualità che in realtà non ha e nessuno, per esempio, un comitato etico o qualcosa di simile, gli impedisce di dirlo o lo smentisce.

Anche gli animali dicono bugie

Anche gli animali “dicono bugie”. Certo, non parlano, però pensano e quindi possono ingannare con il pensiero e poi con l’azione. Allora sembra che l’inganno più che un comportamento estemporaneo sia legato a qualche strategia comportamentale che aiuta a trarre il massimo dagli altri, l’importante è non esagerare, non tirare troppo la corda.

Dunque, gli animali ingannano, ma lo fanno per necessità. Non lo fanno sempre, ma lo fanno, soprattutto quando viene messa in pericolo la loro vita. Un esempio per tutti potrebbe essere quello dell’uccello che di fronte ad un cacciatore che ha già sparato sbagliando il colpo si finge ferito e poi scappa al suo avvicinarsi facendolo restare con un palmo di naso e impossibilitato a prendere la mira per un secondo sparo perché non ha più il tempo per farlo. Questo è un inganno a fin di bene.

Ora la domanda è, che cosa c’entra tutto questo con l’inganno verbale? C’entra in quanto gli uomini oltre ad avere tutti gli strumenti che hanno gli animali per ingannare, cioè pensiero e azione, possono usare anche le parole. Con l’uso del linguaggio articolato ciò che cambia è solo lo strumento che viene utilizzato per ingannare, ma la finalità è sempre la stessa.

Per capire come si sia evoluto l’inganno dobbiamo partire dalle necessità indispensabili per superare le difficoltà della vita, soprattutto quelle più critiche. Sembra assurdo, ma per sopravvivere, a volte, è necessario dire qualche bugia. È così che il bambino inizia a dirle, forse inconsapevolmente, l’importante è che non siano inverosimili, altrimenti l’adulto a cui sono rivolte, generalmente il padre, la madre, la maestra o un tutore si accorgerebbe immediatamente di quali siano le vere intenzioni del bambino. Si dicono bugie per evitare una punizione, per scaricare le proprie colpe su qualcun altro, magari su un fratellino più piccolo o su un compagno di scuola. Bisogna fingersi bravi quando in realtà si è sleali. Insomma, ci sono molte ragioni per dire bugie. Al contrario di quanto si possa credere, un bambino piccolo ma intelligente può distinguere molto bene una bugia dalla verità. Il bambino quando ancora non conosce bene la propria lingua e non sa ancora parlare con proprietà di linguaggio, sa bene che cosa significhi istigare qualcuno a pensare una cosa piuttosto che un’altra, a confondere il vero dal falso per proprio tornaconto. Un bambino sa nascondere molto bene le sue intenzioni reali. Però il bambino quando diventa adulto continua a dire bugie, non sempre, ma lo fa, e questo succede a ognuno di noi.

Noi adulti sappiamo molto bene nascondere le nostre intenzioni linguistiche, come nel caso, per esempio, in cui formalmente ci complimentiamo con qualche collega per avere ricevuto un premio o un avanzamento di carriera che noi credevamo, in verità, non meritasse, ma ci complimentiamo lo stesso. Sappiamo coscientemente di non potergli dire quello che realmente pensiamo perché sarebbe veramente imbarazzante, controproducente e svantaggioso. Nella vita affrontiamo quotidianamente situazioni di questo genere.

Dire bugie lo facciamo con tutti, persino con i nostri parenti più stretti. Non tanto per gli adulti, ma per gli adolescenti, dire bugie a volte è un’ossessione. Gli adolescenti le dicono per evitare che i genitori sappiano chi frequentano, dove vanno durante il tempo libero e che cosa combinano a scuola. Gli adolescenti vogliono nascondere ad ogni modo e a tutti, inclusi ai loro genitori, la loro vita privata, ma per farlo spesso devono dire bugie anche se non ci sarebbe niente di male a frequentare gli amici che scelgono loro e non quelli desiderati dai genitori, mentre è naturale che vogliano nascondere ai famigliari un brutto voto avuto a scuola. In tutti questi casi, comunque, ciò che si evidenzia non è tanto il nascondimento dei loro stati emozionali che le bugie naturalmente suscitano (però con un po’ di esperienza, si impara presto a nasconderli), ma del linguaggio verbale che le nascondono. Infatti le bugie si raccontano o, se vogliamo, si recitano con le parole. Gli adolescenti generalmente sono bravi a farlo. Nonostante tutto questo sia, ovviamente, da biasimare, le bugie diventano una sorta di palestra preparatoria per affrontare la vita in cui per sopravvivere spesso bisogna dirle.

Evoluzione della bugia

Non sarebbe meglio dire sempre la verità, invece delle bugie? Teoricamente sì, ma nella realtà, in alcune circostanze, bisogna nascondere la verità o non svelarla nella sua interezza. Dire mezze verità, in alcuni casi, conviene. C’è una spiegazione scientifica o meglio evoluzionistica sulla necessità di dire le bugie o, se non si usano le parole, di manifestare dei comportamenti ingannevoli, come capita spesso di vedere negli animali? Sembrerebbe proprio di sì; vediamo il perché. In un certo senso, una spiegazione l’abbiamo anticipata nell’ultima frase del paragrafo precedente, cioè dire bugie per un bambino o un adolescente, bugie naturalmente non esagerate o inverosimili, a volte dette a fin di bene, diventa una strategia importante per affrontare le difficoltà nella vita. Una spiegazione di questo genere sembrerebbe diseducativa se non immorale; a molte persone infatti dire bugie rimorde la coscienza, ma la verità è che la vita funziona in questo modo ed è stato sempre così, sin dal momento che noi Homo sapiens siamo apparsi sulla faccia della Terra circa 150-200mila anni fa: infatti, non è che i nostri antenati apparsi molto prima di noi siano stati molto diversi. Per capire meglio ciò che si vuole sostenere, riferiamoci ad alcuni comportamenti molto singolari che sono stati osservati nei babbuini, soprattutto quelli della specie Papio hamadryas2. Questi animali sono molto intelligenti e vivono in gruppi allargati, estremamente gerarchizzati e con regole sociali molto ferree.

I babbuini non parlano, ma, in un certo senso, “dicono” bugie anche loro. L’apice lo raggiungono durante la riproduzione, un’attività importantissima per questa specie e per tutte le altre specie animali. Nei babbuini è chiaro a tutti i membri del gruppo chi sia il capo e chi siano i subordinati, chi abbia libero accesso alle femmine in calore e chi no, chi deve stare in disparte e guardare gli altri durante le attività sessuali, in sostanza chi deve rimanere a bocca asciutta e chi no. Ma non è sempre così, infatti, in questa specie la bugia (in questo caso sarebbe meglio dire il sotterfugio) ha assunto un ruolo importantissimo e necessario. Con il sotterfugio, se ben architettato, si possono stabilire degli accoppiamenti non consentiti ai maschi sottomessi con delle femmine che addirittura costituiscono l’harem del maschio dominante. Bene, qualcuno potrebbe dire che questo fa parte della sociologia di queste scimmie, ma ciò non basterebbe per spiegare che questi sotterfugi perpetrati dai sottomessi permettono accoppiamenti illeciti che hanno una importante funzione adattativa ed evoluzionistica nella specie. In sostanza, tutte le femmine del gruppo devono avere l’opportunità di non perdere il proprio ovulo che deve essere comunque fecondato, se da un maschio dominante tanto meglio, ma se capita va bene anche da un maschio sottomesso.

Se questo non fosse possibile molte femmine correrebbero il rischio di perdere l’ovulo e quindi di non rimanere incinte, il che sarebbe molto grave per il mantenimento del gruppo e conseguentemente per la specie. Ogni specie deve andare avanti e prosperare. In questi casi, come fa il maschio sottomesso a evitare di essere punito dal maschio dominante, a evitare che venga malmenato o addirittura allontanato definitivamente dal gruppo? Lo fa, appunto, con un sotterfugio, nascondendo la sua relazione non consentita al maschio dominante, senza destare tanti sospetti, invitando la femmina, che desidera essere fecondata ad ogni modo, in disparte, per avere un rapporto sicuro e lontano da occhi indiscreti, soprattutto quelli del leader. In conclusione, i sotterfugi rilevati in questi animali sono sorprendentemente molto simili a quelli umani, tanto che ulteriori chiarimenti per spiegarli sarebbero inutili. Il linguaggio verbale, soprattutto la modalità con cui si è evoluto, ha reso solo più complessa la rete delle nostre relazioni sessuali e sentimentali rispetto a quella degli altri animali3.

Notes

1 Searle, J. R. 1969. Speech Acts: An Essay in the Philosophy of Language. Cambridge, Cambridge University Press (tr. it. Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 1976).
2 Byrne, R. 1995. The thinking ape. Oxford, Oxford University Press.
3 Tartabini, A. & Giusti, F. 2006. Origine ed evoluzione del linguaggio. Napoli, Liguori Editore.