Esattamente 60 anni fa, il 18 marzo 1965, veniva lanciata dalla base di Baikonur nel Kazakistan, la missione Voskhod 2, destinata a entrare nella storia dell’esplorazione spaziale. A bordo della capsula sovietica c’erano due cosmonauti: Pavel Belyaev, il comandante della missione, e Aleksey Leonov, l’uomo incaricato di compiere la prima attività extraveicolare (EVA) della storia, quella che sarebbe passata alla memoria come la prima “passeggiata spaziale”.
Oggi, andare nello spazio ci sembra relativamente semplice. Solo pochi mesi fa, per la prima volta, due astronauti non professionisti hanno svolto un’attività extraveicolare durante la missione Polaris Dawn, segnando l’inizio di una nuova era nell’esplorazione spaziale privata. Questo progresso, tuttavia, rischia di offuscare le difficoltà e le paure affrontate nei primi anni pionieristici dell’esplorazione dello spazio.
Negli anni ‘60, le incognite legate ai voli spaziali erano enormi. In un’epoca segnata dalla Guerra Fredda, la corsa per il predominio nello spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica era all’apice. Dopo il successo dello Sputnik (1957) e del volo di Yuri Gagarin (1961), l’URSS era in testa e voleva dimostrare ancora una volta la sua supremazia tecnologica con un’impresa mai tentata prima: far uscire un uomo nel vuoto dello spazio.
Quando Leonov e Belyaev tentarono l’impresa, il mondo seguiva le gesta spaziali con il fiato sospeso. Le missioni di quei tempi erano imprese straordinarie, seguite da milioni di persone incollate a radio e TV per ascoltare le prodezze di quelli che venivano considerati veri e propri “eroi” dello spazio.
L'obiettivo della Voskhod 2 era chiaro, ma i rischi erano elevatissimi, soprattutto considerando l'assenza di esperienze pregresse su cui basarsi. Per questo motivo il programma di addestramento per Leonov e Belyaev fu intenso e severo. I cosmonauti dovettero affrontare prove estenuanti per simulare le condizioni dello spazio, tra cui test in centrifuga per sopportare le accelerazioni del lancio e del rientro, esercizi in camere a vuoto per verificare la resistenza dello scafandro e allenamenti fisici estremi per sopravvivere in condizioni avverse in caso di atterraggio fuori rotta. Leonov fu scelto per la sua incredibile resistenza fisica e mentale, nonché per le sue capacità tecniche e la sua prontezza di riflessi.
Per consentire a Leonov di uscire nello spazio senza compromettere la pressurizzazione della piccola astronave, il veicolo Voskhod 2 era dotato di una camera di equilibrio gonfiabile chiamata "Volga". Dopo aver raggiunto l'orbita terrestre la camera venne gonfiata, permettendo a Leonov di entrarvi. Chiuso il portello dal lato di Belyaev, il cosmonauta si preparò all’evento storico. Agguantò con forza la maniglia superiore per aprire il portellone esterno, si affacciò dal bordo, e infine uscì avventurandosi nel vuoto cosmico.
L’uscita durò appena 12 minuti, ma fu un momento epocale. Leonov, agganciato alla navicella con un cavo di sicurezza lungo 5,35 metri, fluttuò nel vuoto, godendo di una vista senza precedenti della Terra dallo spazio. Tuttavia, la missione non fu priva di pericoli: il suo scafandro, sottoposto alla pressione del vuoto spaziale, si gonfiò oltre il previsto, rendendogli difficoltoso tornare nella camera di equilibrio. Per poter rientrare, Leonov dovette ridurre la pressione del suo scafandro a un livello rischioso, riuscendo infine a infilarsi nell'apertura con grande fatica. È però corretto riportare che dal resoconto del suo volo disponibile online, diminuire la pressurizzazione dello scafandro era una prova prevista per valutare la sua funzionalità, e la pressione minima utilizzabile per missioni reali nello Spazio.
I problemi non finirono con il successo della passeggiata spaziale. Durante il ritorno, il sistema automatico di orientamento della capsula fallì, costringendo Belyaev a effettuare una manovra manuale per garantire il rientro sicuro nell'atmosfera terrestre. Il modulo atterrò fuori rotta, finendo in un fitto bosco innevato al centro degli Urali, costringendo i cosmonauti a sopravvivere tra temperature gelide e lupi per due giorni, fino all'arrivo della prima squadra di recupero, che era stata dotata di sci da fondo, in quanto impossibile prelevarli direttamente con un elicottero nel fitto degli alberi dov’era incastrata.
Questo salvataggio imprevisto fu una ulteriore sfida risolta con successo dalle autorità sovietiche, che oltre a dover individuare il punto esatto della discesa, riuscì a salvare gli astronauti recuperandoli in un ambiente ostile e remoto.
Nonostante le difficoltà, la missione Voskhod 2 si concluse con successo e divenne una pietra miliare nella storia dell’astronautica. Aleksey Leonov entrò nella leggenda come il primo uomo a camminare nello spazio, un'esperienza che aprì la strada a future attività extraveicolari, fondamentali per le missioni spaziali odierne, comprese quelle sulla Stazione Spaziale Internazionale e le future missioni su Marte.
Dopo il successo della missione, Leonov continuò la sua carriera di cosmonauta. Fu scelto come primo russo a scendere sulla Luna, incarico poi sfumato con la cancellazione del programma lunare umano russo, e in seguito selezionato per comandare la missione Apollo-Soyuz, la prima collaborazione spaziale tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nel 1975. Questo evento rappresentò un segnale di distensione tra le due superpotenze, dimostrando che la scienza e l'esplorazione spaziale potevano unire i popoli al di là delle rivalità politiche.
Aleksey Leonov, però, non è stato solo un cosmonauta, ma anche un artista capace di raccontare l’universo con pennelli e colori. La sua passione per l’arte nacque ben prima della sua carriera spaziale quando, da bambino, amava disegnare paesaggi e ritratti. Fu la passeggiata nello spazio però a trasformare la sua arte, dandole una nuova dimensione e una prospettiva unica.
Durante la missione del 1965, portò con sé un piccolo set di matite colorate e, una volta rientrato nella capsula, realizzò il primo disegno fatto nello spazio, raffigurando la curvatura terrestre con le tonalità dell’alba cosmica. Questo gesto, apparentemente semplice, segnò la nascita di un nuovo modo di raccontare l’universo: non solo con immagini fotografiche, ma con la sensibilità artistica di chi lo aveva vissuto in prima persona. Nel 1975, ripeté l’esperienza durante la missione Apollo-Soyuz, portando nuovamente con sé matite e fogli. A bordo riuscì a “catturare” il blu profondo della Terra vista dal vuoto cosmico, oltre a eseguire splendidi ritratti dei propri compagni di volo.
Dopo il ritiro dal programma spaziale, Leonov si dedicò intensamente alla pittura, diventando un vero e proprio artista del cosmo. Oltre alle scene spaziali vissute sulla Voskhod 2 e il programma Apollo-Soyuz, Leonov ha dedicato quadri a Gagarin e ad altre esplorazioni spaziali russe. Ma le sue visioni sono andate ben oltre il reale, spaziando in immagini futuristiche come colonie su Marte, astronauti esploratori, paesaggi extraterrestri. Un modo del tutto particolare di trasmettere all’osservatore quel senso di meraviglia e solitudine dello spazio infinito che, molto probabilmente Leonov aveva percepito mentre fluttuava nello spazio sopra alla Terra. Uno stile il suo che mescola realismo e immaginazione, combinando dettagli tecnici con una vena poetica, dove i colori vivaci e le pennellate morbide restituiscono l’immensità del cosmo e l’emozione dell’esplorazione.
Leonov, ultimo eroe dell’avventura spaziale degli anni ’60, è scomparso nel 2019. Durante la sua lunga carriera di artista ha collaborato con molti altri maestri della pittura, fra i quali Andrey Sokolov, un altro russo specializzato in temi spaziali. Insieme hanno creato numerose opere esposte in vari musei e pubblicate in libri e riviste di astronomia. Le loro tele sono oggi conservate nel Museo della Cosmonautica di Mosca e in collezioni private di tutto il mondo.
Oggi, la più grande eredità di Leonov è la sua vena artistica. Con il suo talento, ci ha mostrato che lo spazio non è solo una frontiera tecnologica, ma anche un’esperienza profondamente intima e umana. Ed è per questo che le sue opere, vivaci e suggestive, continuano a ispirare scienziati e artisti, fondendo la precisione dell’ingegnere con la sensibilità del pittore.