Trenta conflitti che coinvolgono almeno sessanta Stati (Terza guerra mondiale a pezzi per dirla con Francesco). La guerra al virus. Coinvolto il militare e il paramilitare (Protezione Civile). Figliuolo logista. Programma il “come se”.
E se diventassimo alleati anziché nemici? Meno F35 e più Canadair per prevenire gli incendi estivi. Dissesto idrogeologico e genio militare.
Ottobre 1993, colpo di stato in Burundi. L’esercito uccide il presidente Melchior Ndandaye democraticamente eletto. Il problema, a certe latitudini, è proprio la “democrazia imposta” con il multipartitismo e la finta libertà di stampa e di opinione. Non funziona. Ci si divide su base etnica. E scoppia il conflitto. La minoranza tutsi che ha la maggioranza nell’esercito si scaglia contro la maggioranza hutu: centinaia di migliaia di morti: sfollati e rifugiati nei Paesi vicini.
Il personale delle ONG (Organizzazioni Non Governative) presenti in Rwanda viene reclutato da Caritas per i primi soccorsi: tende, trasferimento di acqua potabile con autobotti, calce per seppellire i morti in fosse comuni. Arrivavano infatti in condizioni stremate in Rwanda e non tutti ce la facevano; morivano soprattutto coloro che avevano un tenore di vita agiato mentre i poveri di un solo pasto al giorno campavano al di là e al di qua del confine. L’arrivo di 350k persone suddivise in 25 campi profughi improvvisati significava il caos. E nel caos morivano decine di persone giorno. Le ONG presenti tentavano di svuotare il mare con una paletta in attesa delle OING (Organizzazioni Internazionali Non Governative) del calibro di Croce Rossa, MSF, Oxfam. Arrivarono dopo un paio di settimane non prima di aver sistemato i propri quartier generali nella capitale Kigali e non dopo aver organizzato un incontro/festa con chi comanda. Cosa necessaria per farsi dare tutti i lasciapassare necessari, sia per sdoganare che per raggiungere i campi profughi.
Finalmente arrivano sul campo. Ricordo Patrick a petto nudo e pantaloni militari incontrare “il governo” del campo: sì, perché in ogni campo s’era formato una sorta di governo non eletto fatto di boss del campo. Bisognava avere il consenso di chi comanda il campo prima di agire. Poi fu pianificato il campo con una sorta di PRG. Somigliava al campo militare romano con le strade che lo attraversavano a croce. Luoghi di culto, scuole, e mercato occupavano un quadrante del campo. Ogni tenda fatiscente fatta di foglie di banano doveva distare 4 metri dalle vicine tende e tutte venivano ricoperte da un telo fornito dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Una batteria di bagni per gli uomini e una per le donne veniva costruita con trivelle perforatrici a un chilometro dal campo: chi defecava fuori la tenda gli veniva bruciata la tenda. A quest’ordine io non ci credevo e il giorno seguente Patrick inaugurò la giornata con l’accendino; un bimbo l’aveva fatta fuori la tenda e i genitori non sono stati sufficientemente tempestivi per impedirlo. Io, allora molto giovane, ne ero sconvolto ma lo staff di MSF mi aiutò a comprendere che il colera sarebbe stato peggio del grande massacro che era oltreconfine dove, peraltro, le capanne bruciavano e non sempre la gente che le abitavano riusciva a scappare.
Nella gestione dell’emergenza provai la gerarchia, l’ordine indiscutibile, la gestione paramilitare del tutto. Nelle riunioni tra le diverse organizzazioni in sede ONU non v’erano questioni da discutere ma ordini da ricevere. Il “chi fa che cosa ed entro quando”. Figuratevi per un pacifista community based come il sottoscritto che sovvertimento di valori.
Ancora più interessante l’arrivo di Oxfam International. Tra le OING arrivò per ultima al confine con il Burundi perché assieme allo staff logistico arrivarono anche le condotte di acqua potabile e fognarie e la corrente elettrica. I campi pianificati da MSF erano pronti per divenire cittadelle in muratura (con mattoni di argilla essiccata) in quanto il rientro dei profughi in patria non era affatto immediato e la città improvvisata diventava definitiva; l’emergenza normalità. Il “come se” dovesse durare a lungo.
Molti pacifisti ed amici in Italia hanno vissuto l’arrivo del generale Figliuolo in sostituzione del tecnico Arcuri come un’invasione di campo del militare nel civile. In condizioni normali è esattamente così ma in guerra e in emergenza è bene, al fine della salute pubblica, ricorrere alle forze armate; ai logisti di professione. A coloro che il “come se” arrivasse domani.
La differenza tra i due è sostanzialmente questa. Il primo organizzò i centri vaccinali in funzione degli stock di vaccini mentre il secondo decuplicò i centri vaccinali e gli staff in funzione dei vaccini che dovremmo avere in condizioni ottimali. Non importa se, ad oggi, non vi sono. Non è compito del logista l'approvvigionamento ma della contrattazione politica del premier.
Il cambio di paradigma sta nel considerare le Forze Armate come alleate e non più come avversarie. Forse riusciremo ad avere meno improduttivi F35 e più Canadair per affrontare gli incendi estivi; forse riusciremo, assieme al Genio militare, a mettere in sicurezza il nostro territorio dal dissesto idrogeologico, forse.