I primi secoli dell’era cristiana furono testimoni della genesi di un nuovo modello di femminilità eroica, costruito su un paradigma “pedagogico” di santità; per i Padri della Chiesa, colei che sceglieva di abbracciare la vita ascetica e che acquisiva con le proprie doti intellettuali o spirituali una forza morale pari a quella di un uomo poteva addirittura essere chiamata vir. Rifiutando ogni vezzo femminile e abbracciando un proposito di castità perpetua, a una donna era concesso di superare l’inferiorità fisica e morale attribuita al suo sesso per farsi “uomo nello spirito”, così come era accaduto a Perpetua, giovane martire che in un sogno annunciatore del suo imminente martirio, mentre già si trovava nell’arena esposta alla furia delle belve feroci scopriva in sé un coraggio tale da portarla a esclamare: “Fui spogliata, e divenni maschio!”.
La scelta della vita religiosa spesso celava il desiderio di affrancarsi dal gioco del controllo famigliare. Il matrimonio poteva rivelarsi per una donna una schiavitù amara, relegandola a una condizione di sudditanza e di controllo vigilato; non era libera di uscire di casa non accompagnata, e mostrandosi troppo in pubblico poteva suscitare riprovazione ed essere additata. Una vergine consacrata invece procedeva a testa alta in mezzo alla folla e non solo non si attirava biasimo per la propria autonomia, ma per modestia e autorevolezza suscitava ammirazione, esprimendo libertà, sicurezza, coraggio.
Molte delle biografie delle prime sante cristiane, seppure avvolte nella leggenda, ci illuminano su questo nascente immaginario di un femminile eroico, quasi rivoluzionario, nel quale tante vocazioni successive avrebbero trovato ispirazione. Le martiri erano giovani donne indipendenti e audaci, insofferenti alla sottomissione che le regole sociali imponevano loro. Rifiutavano i matrimoni imposti dai genitori rivendicando il diritto a una scelta libera; spesso si tagliavano i capelli e indossavano abiti maschili per muoversi più liberamente nel mondo, trasformandosi in mulieres viriles. Alcune non esitarono a compiere gesti eclatanti, come Agata, che provocatoriamente si presentò al processo vestita come una schiava, per asserire la propria condizione di serva di Cristo, o come Lucia, che resistette senza cedimenti alle pressioni dei suoi persecutori, reggendo con grande sicurezza il contraddittorio giuridico e sopportando coraggiosamente torture e prigionia; spesso vennero condannate al rogo, esattamente come molti secoli più tardi accadde alle tante donne accusate di stregoneria.
Tecla, discepola di san Paolo, arrivò a somministrarsi autonomamente il battesimo. E proprio lei avrebbe infranto le regole che gli scritti paolini imponevano alle donne: vestì abiti maschili e predicò in pubblico, come un uomo, venendo meno alla celebre esortazione al silenzio femminile. Venne processata, condannata e gettata in pasto alle belve nell’arena, ma queste, invece di attaccarla e straziarne le carni, si fecero mansuete intorno a lei, che in quel frangente apparve splendida come Artemide “Signora delle Fiere”.
L’accostamento fra Tecla e Artemide rappresenta un singolare elemento di raccordo culturale, nel quale è possibile trovare traccia di stratificazioni precristiane antichissime. In Tecla emergono infatti tratti fortemente artemidei: il taglio dei capelli e il travestimento maschile, l’epiteto di parthénos, solitamente attribuito alle sacerdotesse della dea, il potere di ammansire le belve nell’episodio dell’arena. Di questa dea Tecla celebra la scelta di una castità intesa come integrità, indipendenza, completezza, esprimendo una femminilità radicale, non addomesticata. Come la dea arciera, fanciulle come Tecla sembrano concentrarsi intensamente sugli obiettivi, sui valori, sulle missioni che si impongono al loro cuore, perseguendole strenuamente, fino al sacrificio della loro stessa vita.
Il topos del camuffamento in vesti da uomo, che gli studiosi riconducono al cosiddetto “complesso di Artemide”, inaugura uno schema che avrebbe goduto di numerosissime rivisitazioni, soprattutto nei racconti legati alla nascita degli ordini monastici femminili, riproponendo un’aneddotica di successo già in epoca classica, quella del travestimento come espediente escogitato dalle donne per accedere a ruoli o professioni a loro precluse: un fil rouge che nei secoli avrebbe accomunato vicende appassionanti, caratterizzate da consapevoli gesti di ribellione a un modello patriarcale nemico dell’emancipazione femminile.
L’esempio delle martiri mantiene in vita la memoria dello spirito indomito delle antiche amazzoni, che occultavano o mutilavano una mammella sacrificandola ai valori della guerra; si tratta tuttavia di una mutilazione e di una belligeranza che qualora intese come metafora acquisiscono un significato profondo. Questi esempi di militanza femminile sarebbero nel tempo diventati guida e ispirazione per tante giovani donne di epoca medievale e moderna, animate da eccezionale spirito di ribellione, di indipendenza e autodeterminazione. Di quel principio eroico si sarebbe nutrita Giovanna d’Arco, che fu chiamata Pulzella, parthénos come Artemide, vergine come può essere vergine una foresta, e che, come questa dea, si armò, di spada invece che di arco e faretra. Più di mille anni dopo Tecla, Giovanna si spogliò delle vesti femminili e prese abiti da cavaliere, secondo i suoi carnefici dimentica della dignità che si addiceva al suo sesso e incurante di ogni verecondia e femminile pudore. Fu questa una delle colpe che le furono più caparbiamente addebitate.
Item tu dixisti... tu hai pure detto che per ordine di Dio hai portato e tuttora porti vesti da uomo e i capelli tagliati corti sopra le orecchie, nulla lasciando sulla tua persona che rivelar o dimostrar possa il sesso femminile. Quanto a questo articolo i dotti ritengono che tu bestemmi Dio e ti rendi sospetta di eresia.