Il Mahakam, ‘Grande Fiume’, è il secondo fiume del Kalimantan, la parte indonesiana del Borneo, con 960 chilometri di lunghezza (il Kapuas ne misura 1143) e scorre interamente nel distretto di Kutai. Nasce dalla catena montuosa del Muller (1500-2000 m), al confine con il Sarawak, e sfocia con un vasto delta nello stretto di Makassar, 60 km a valle della città di Samarinda. Quest’acqua melmosa, color caffelatte, rappresenta la principale via di comunicazione per l’interno della regione e con i suoi importanti affluenti, come il Kedang Kepala, il Kedang Rantau, il Belayan, il Pahu, il Boh e molti altri, forma una fitta rete fluviale che abbraccia per intero il vasto distretto di Kutai (grande quanto il Portogallo). Regolari servizi pubblici e privati trasportano i passeggeri fin dove è possibile.
Turisticamente, questo è il fiume più navigato d’Indonesia con circa 15.000 visitatori stranieri l’anno in costante aumento. Tra Samarinda e Tenggarong, capoluogo amministrativo della regione situato una quarantina di chilometri a monte, il traffico di kapal (battelli) e imbarcazioni varie, nelle prime ore del giorno, è paragonabile a quello di una normale superstrada durante i fine-settimana. Inoltre, navi mercantili di grosso tonnellaggio attraccano a Samarinda come in un qualsiasi porto marittimo, mentre altre navi attendono il proprio turno ancorate al centro del grande corso d’acqua. Da dicembre a marzo il fiume è generalmente in piena, mentre da luglio a settembre è difficile risalire il Mahakam oltre il capolinea di Long Iram a causa dell’effetto contrario.
I trasporti sul fiume (sungai)
Il fery-sungai, il taxi-sungai, l’express, il river-bus o bis-air, sono tutti genericamente Kapal di linea, cioè barconi, battelli, lance, ecc., spesso identici ma chiamati in modi diversi, che prestano regolare servizio di trasporto merci e passeggeri lungo il Mahakam e relativi affluenti. Sono battelli lunghi 15-20 metri, abilitati al trasporto di 100-200 persone a un costo popolare. Ogni kapal di linea segue una rotta fissa nei giorni prestabiliti. E’ senz’altro preferibile scegliere quello a due piani, perché generalmente più attrezzato ed offre la possibilità di avere un posto letto. Noi siamo saliti sul kepal chiamato Al Mu’minum (destinazione Long Iram), se invece andate a Melak uno tra i migliori è il Karya Utama 77C, entrambi forniti di video Tv e ripostiglio chiuso per i bagagli. Le uniche imbarcazioni capaci di risalire la corrente e le rapide che si incontrano oltre l’estremo capolinea navigabile di Long Bagun, villaggio a monte di Long Iram, sono canoe lunghe circa 12 metri (longboat), dotate di 2-3 motori fuoribordo a benzina, o le più potenti lance cabinate dette speedboat.
Il ketingting è invece il mezzo motorizzato più semplice ed economico del Mahakam: una praticissima piroga di 5-6 metri, comunemente usata dai nativi di tutto il Borneo. L’elica del piccolo motore da 6-20 cavalli, abitualmente montato sui ketingting, è posta all’estremità di un lungo tubo facilmente sollevabile all’occorrenza; può navigare in pochi centimetri d’acqua e si può trasportare in caso di ostacoli naturali, nel superamento di zone in secca o anche per aggirare via terra un gruppo di rapide vorticose. Di contro, ha poca autonomia ed è lento, ma da queste parti nessuno ha fretta. Nelle aree Ulu viene chiamato anche ces ma solitamente quest’ultimo è privo di motore: si tratta di una canoa a pagaie, ottima per brevi spostamenti e per discendere la corrente. Me ne hanno offerta una per US$ 50, trattabili.
I Kapal di linea
Risalire il fiume e raggiungere i villaggi Ulu (quelli più prossimi alla sorgente) richiede una buona scorta di provviste poiché nell’alto Mahakam queste costano almeno il triplo e la loro scelta non sarà così ampia. I rari toko (negozi) della parte superiore del fiume sono generalmente provvisti di sardine in scatola, riso, biscotti, ‘noodles’ (vermicelli), saponette, dentifrici, pile per torce, tegami, articoli in plastica, qualche attrezzo da lavoro e poc’altro. Dopo Tenggarong non esistono banche in grado di cambiare qualsiasi valuta ed è quindi indispensabile partire con le rupie necessarie, evitando possibilmente i grandi tagli difficili da cambiare nell’entroterra. Nei principali centri lungo il percorso si trovano sempre modesti alberghetti e bancarelle dove mangiare, mentre, oltre Long Iram, occorre fare affidamento sulla disponibilità o l’ospitalità degli indigeni: il viaggio richiede senz’altro una certa capacità di adattamento. Di fondamentale importanza sono i disinfettanti tipo clorochina, amuchina, steridrolo e una borraccia, oppure va benissimo filtrare l’acqua con il potabilizzatore h2’0-ok o anche usare le cannucce dotate di filtro incorporato. In alternativa, ingerite solo acqua bollita: fino a cinquant’anni fa i fiumi erano limpidi e le loro acque potabili, ma le tonnellate di detriti derivanti dalla deforestazione hanno conferito ai corsi d’acqua un incancellabile colore melmoso che dissuade ora anche il viaggiatore più intraprendente dal sorseggiarla senza le adeguate precauzioni.
E’ consigliabile iniziare il viaggio da Samarinda anziché da Tenggarong, dove il kapal di linea arriva già carico di gente. Recatevi al molo con un paio d’ore d’anticipo per avere il tempo di scegliere i posti più idonei: cercate di evitare, per quanto vi sarà possibile, la zona del motore diesel (rumorosissimo), quella dei bagni (c’è cattivo odore e un grande andirivieni) e l’area del pranzo (calca di gente). Generalmente il motore, la cucina e la toilette sono concentrati in fondo al barcone, nell’area di poppa. Stendete una stuoia nel punto prescelto e depositatevi accanto i vostri bagagli: nessuno li sposterà o si siederà nel ‘vostro posto’. Quando l’imbarcazione è però affollata bisogna adeguarsi, stringersi e non occupare più spazio di quello che la situazione realmente concede. Non dimenticate di portare con voi qualche regalo non troppo ingombrante (sigarette, quaderni, penne, elastici, cappellini pubblicitari, ecc.) e, possibilmente, un pacchetto di foto tessera con la vostra immagine da distribuire nei villaggi Dayak dell’interno, molto apprezzata, allo scopo di socializzare e sdebitarvi dell’ospitalità.
L’etichetta vuole che, una volta a bordo, ci si tolga le scarpe, ma dipende dalle condizioni dell’imbarcazione e da quanti passeggeri trasporta. Il posto preferito dai viaggiatori stranieri è il tetto del kapal, ideale per godersi il panorama, fare foto ed abbronzarsi: tenete però presente che nelle ore meridiane fa parecchio caldo ed il tetto diventa bollente. Il kapal è normalmente composto da due piani: quello superiore, più confortevole e costoso, può essere un unico dormitorio con tanti materassini al suolo, allineati uno accanto all’altro, oppure si può presentare suddiviso in tante minuscole camerette con letti a castello talmente corti da sembrare concepiti per nani. Anche i soffitti sono di standard asiatico e coloro che hanno una statura superiore al metro e settanta sono costretti a girare col capo chino. Inoltre, la misura delle finestre non permette un’areazione sufficiente e si suda parecchio. Il ponte di coperta è invece completamente aperto ai lati e ben ventilato, ma la gente, spesso in sovrannumero, vi si accalca e si suda ugualmente. Quando il kapal è sprovvisto di panche, come quelli più piccoli a ponte unico, i passeggeri si siedono sul pavimento, ai lati, uno di fronte all’altro, oppure si sistemano sui sacchi delle mercanzie cercando di lasciare libero il passaggio centrale.
Per usare le tandas (latrine) occorre un minimo di pratica e senso di humour: spesso si tratta di una piccola struttura in legno sporgente a poppa, con all’interno un grande foro (o un’asse mancante), praticato nel pavimento a fior d’acqua. Nei kapal più semplici le tandas sono sprovviste di porta (gli indigeni si coprono col sarong) e di tetto; lo spazio di un metro quadrato scarso è recintato da una parete alta fino al petto. In caso di pioggia, bisogna procurarsi un ombrello o qualcosa di simile. Portatevi la carta igienica oppure adeguatevi alle usanze locali sporgendo il fondo schiena fuori dall’imbarcazione in movimento e con la mano sinistra usate l’acqua del fiume. Nella cultura locale, infatti, con la mano destra si saluta, si porgono i regali ed altro ancora, mentre le cose meno nobili sono riservate alla sinistra. Lungo la via, ad ogni attracco, troverete una toilette galleggiante ma spesso la sosta è troppo breve per soddisfare le esigenze di tutti.
Per rinfrescarsi o lavarsi ci si può avvalere della tecnica comunemente utilizzata dai nativi: completamente vestiti, si versano addosso alcuni secchi d’acqua, poi si insaponano la pelle strofinando sotto la camicia e dentro ai pantaloni. Dopo il risciacquo si sfilano abilmente i vestiti coperti da un sarong, si asciugano e si rivestono con abiti asciutti. Quando le medesime operazioni vengono svolte da stranieri, specie se bianchi impacciati o di sesso femminile, non manca mai la folla di curiosi che segue divertita ogni movimento. Non preoccupatevene più di tanto: dopo un paio di esibizioni acquisterete la disinvoltura tipica della gente del posto. Se il kapal non è provvisto di warung (cucina) o non sono comunque previsti pasti a bordo, solitamente si sosta per la colazione in un orario che varia dalle 6 alle 9, per il pranzo dalle 13 alle 15 e per la cena dalle 19 alle 22.
Durante le soste ai villaggi un esercito di kaki lima, venditori ambulanti di tutte le età, assaltano i kapal per proporre cibi cotti, uova bollite, frutta, dolcetti fatti in casa, bibite locali piuttosto disgustose, caffè e poc’altro. Nei prodotti confezionati controllate l’etichetta con le date perché spesso sono scaduti. Qui si mangia solo per alleviare la fame, la cucina lungo il Mahakam non è speciale, anzi. Anche durante la navigazione, piccole barche allestite come toko galleggianti accostano i battelli in transito per vendere ai passeggeri alimenti precotti, frutta, verdura e qualche oggetto. Questi intrepidi ambulanti del fiume svolgono un perpetuo pellegrinaggio da un villaggio all’altro e, al pari di un gazzettino, tengono informate le varie comunità su ciò che accade nella regione. I kapal di linea risalgono il Mahakam ad una velocità che varia dai 10 ai 12 chilometri l’ora, soste incluse, mentre nel senso inverso, aiutati dalla corrente, impiegano circa due terzi del tempo. Lungo il tragitto i kapal sostano ovunque sia richiesto, nei frequenti moli galleggianti, accanto a rive abitate ma anche in punti del fiume apparentemente isolati, lontani da tutto. L’attracco, con relativo sbarco ed imbarco di persone, bagagli, sacchi, pacchi e anche animali da cortile, non dura più di un minuto. La tecnica di avvicinamento consiste nel superare il molo per una ventina di metri e lasciare che la corrente trascini il battello di poppa fino alla banchina. Un assistente salta per primo sulla zattera ondeggiante e trattiene il kapal con una cima, mentre si sale e si scende con grande agilità e maestria.
Il sole tramonta sempre attorno alle 18-18.30 e subito cala il buio pesto della notte. Durante la navigazione notturna è spesso difficile distinguere il fiume dai contorni delle sponde; abili timonieri zigzagano tra ombre e fondali bassi dimostrando di conoscere ogni metro del Mahakam a memoria, aiutati da un’apprezzabile vista felina. La stanchezza avvolge l’imbarcazione al pari di una nube di gas nervino, uno dopo l’altro, i passeggeri si accasciano al suolo e in breve si forma un unico intreccio formato da decine di braccia e di gambe sovrapposte in cerca di uno spazio extra dove poter dormire più rilassati. I bimbi più piccoli vengono completamente avvolti nel sarong, legati da una striscia di tessuto, da cui sporge solo il viso, ed appesi come salami alla trave del kapal il quale, ondeggiando, li dondola beati nel sonno. Constaterete come i bambini crescono sereni anche senza pannolini e accessori vari.
Da Samarinda a Long Iram i kapal viaggiano in continuazione per ventiquattro ore al giorno, mentre nel tratto successivo, che porta all’estremo capolinea di Long Bagun, il fiume diventa più impegnativo e la navigazione avviene solo con la luce del giorno. Al tramonto una miriade di luci si accende lungo le sponde della parte bassa del Mahakam; un piccolo faro d’automobile, montato sulla cabina di pilotaggio, illumina il molo durante le operazioni d’attracco notturne e viene utilizzato anche per la perlustrazione del fiume in cerca di pericolosi tronchi galleggianti. Nella lenta risalita, il Mahakam gradatamente si spopola e gli alberi ricoprono di radici le rive del grande corso d’acqua. Una volta giunti a destinazione si paga al momento di scendere: preparate l’importo esatto per evitare piccoli equivoci proprio quando tutti hanno fretta di mettere i piedi a terra.
Le tappe fondamentali
Tanjung Isui (230 km da Samarinda), villaggio abitato dai Dayak Benuaq situato all’estremità meridionale del lago Jempang, è la meta turistica più nota e visitata del Mahakam. Da qui, l’antica longhouse ricostruita di Mancong dista soltanto 8 chilometri. Viene chiamato Medio-Mahakam il tratto di fiume corrispondente ai 253 km che da Muara Pahu conducono a Long Bagun (583 km dalla foce), un villaggio poco a valle delle grandi rapide. Dopo Tanjung Isui, la località maggiormente reclamizzata dai tour operator, c’è la foresta di orchidee di Kersik Luway, distante solo pochi chilometri dal villaggio di Melak (385 km dalla foce). Diverse agenzie viaggi organizzano confortevoli e veloci escursioni in battello (10-12 passeggeri) o motoscafo (4-6 passeggeri) da Samarinda. In quest’area estremamente interessante, popolata da un’alta percentuale di Dayak Tanjung animisti, si trovano le prime vere lamin (caselunghe) ancora abitate del Mahakam.
Continuando a risalire il fiume si giunge a Long Iram (470 km dalla foce), per buona parte dell’anno unico capolinea dei kapal in servizio regolare lungo il Mahakam. Solo una esigua percentuale di viaggiatori si avventura oltre Long Iram. Gli insediamenti che seguono, fino alle sorgenti del Mahakam e degli innumerevoli affluenti, appartengono alle diverse etnie Dayak Ulu, molte delle quali migrate negli anni della konfrontasi (confronto bellico tra Indonesia e Malesia del 1963-66) dalle aree più remote e impervie della regione. Con la definizione Ulu si indicano tutte quelle popolazioni che vivono più prossime alle sorgenti dei fiumi o comunque nei territori centrali del Borneo. Lo stesso termine dagli abitanti della costa viene utilizzato scioccamente anche in senso dispregiativo per indicare persone molto arretrate: primitive o più precisamente “ritardate”. Nel 1978 il Mahakam è stato aperto al turismo, con esso anche la civiltà dei consumi ha iniziato la sua lenta ed inesorabile marcia e solo nelle aree più interne il fiume conserva pressoché intatte le proprie splendide tradizioni.
Solo quando il livello dell’acqua lo consente, alcuni battelli fanno capolinea a Long Bagun; il periodo migliore per viaggiare nelle aree Ulu è, solitamente, da metà settembre a metà gennaio; in febbraio e marzo piove parecchio ed i corsi d’acqua potrebbero essere troppo carichi mentre da metà giugno a fine agosto le parti alte dei fiumi sono spesso in secca (condizioni ideali invece per i trekking) ma, salvo eccezioni, a Long Iram ci si arriva ugualmente. In dicembre e gennaio il cielo è spesso carico di nuvole minacciose e gli acquazzoni sono all’ordine del giorno; in compenso l’aria è più fresca e si riesce a viaggiare bene ugualmente. Al di là di ogni considerazione climatica stagionale e statistica, nel Kalimantan non esistono le stagioni determinate dai monsoni come a Giava: periodi secchi e piogge torrenziali possono arrivare in qualsiasi momento. La nebbia dell’alba si dissolve col primo sole; se invece la giornata è grigia, la densa foschia avvolge il paesaggio per alcune ore. Da Long Iram a Long Bagun (114 km) il fiume, a tratti, inizia a cambiare aspetto stringendosi tra colline e foresta, quest’ultima sempre più compromessa dalla miriade di campi base per la raccolta del legname. Lente chiatte cariche di tronchi seguono la corrente dirette nei cantieri di deforestazione e nelle segherie più a valle. L’impressionante dirupo in pietra calcarea, che scende a strapiombo sul fiume da un’altezza di 70-80 metri, indica che Long Bagun è ormai prossimo.