Se ripenso agli anni della mia fanciullezza, quando frequentavo le scuole elementari, non ho ricordi di quando ero in classe e la maestra mi insegnava qualcosa; non ricordo di aver imparato a scrivere o a far di conto. Non ho immagini della maestra che, prendendomi la mano, mi accompagnava nel formare le lettere, per esempio. Tutti i miei ricordi di quel meraviglioso periodo della mia vita riguardano i momenti di relazione che ho vissuto con i maestri e con i compagni di scuola, sia in classe che fuori da essa, e sono davvero tanti. Mi ricordo benissimo i pennini che si usavano allora per scrivere, intingendoli nel calamaio posizionato nell’apposito buco in alto a destra del banco, mi ricordo che ogni tanto bisognava rimettere a posto le due punte di metallo di cui era formato, altrimenti non scriveva, mi ricordo l’odore dell’inchiostro, il colore del banco e delle sedie.
Ma degli insegnamenti della maestra nulla, il vuoto assoluto. Parlo di scuole elementari perché questo è il periodo in cui l’essere umano potrebbe e dovrebbe prendere coscienza di se stesso e del suo ruolo in questa rete d’interrelazioni che è la vita.
Allora penso a quanto riportava Salman Rushdie nel suo libro Joseph Antonquando, durante il discorso di inizio d’anno, il Rettore di Oxford disse che i momenti in cui avrebbero imparato di più non sarebbero stati quelli passati in classe o a studiare sui libri, ma la sera, quando sarebbero andati al pub con i compagni di corso. Quindi, forse, andare a scuola nel senso di entrare in una classe e stare seduto dietro un banco per 5 o 6 ore, non è né l’unico modo di imparare, né forse il migliore.
Alla maggior parte di noi, quando sente pronunciare la parola scuola, vengono in mente le aule, i banchi, le cattedre e le lavagne. Ma il concetto, l’idea di scuola non lo dovremmo identificare con un luogo. La scuola è un mondo intero, è una parte fondamentale della nostra esistenza, è il modo in cui la vita trasmette le esperienze di altri che ci hanno preceduto e che non conosceremo mai direttamente. È il modo di apprendere altro da ciò che ci viene trasmesso attraverso il patrimonio genetico. E non è esclusivo degli essere umani. Al momento, che io sappia, non abbiamo elementi per sapere se c’è un insegnamento che viene trasmesso in modo simile anche nel regno vegetale, ma in quello animale c’è di sicuro. Tutti gli animali imparano, acquisiscono conoscenze, nel corso della loro vita, oltre a ciò che noi definiamo istinto. L’apprendimento è insito in ogni essere vivente, anche se solo noi lo facciamo in scatole di cemento.
L’emergenza sanitaria di questi ultimi mesi ha messo in evidenza tutte le problematiche che la scuola italiana si trascina da decenni, nell’indifferenza - per usare un eufemismo - della nostra classe politica, offrendo a metodologie “alternative” l’occasione non solo di farsi conoscere, ma anche di essere esempi virtuosi che propongono un modo diverso di intendere la scuola, il ruolo dell’insegnante e quindi dell’insegnamento.
Così ho voluto conoscere questi metodi diversi dallo stare seduto in un’aula per ore, annoiandosi facendo finta di leggere libri che instradano la mente dei nostri giovani verso orizzonti orwelliani. Ho così incontrato diverse realtà scolastiche che vanno oltre al concetto di aula, sia in Italia, che in altri Paesi come gli Stati Uniti, l’India e l’Australia. Scuole che utilizzano l’esperienza diretta sul campo per insegnare tutte le materie classiche dalla matematica alle scienze, dal disegno alla letteratura, dalla storia alla geografia, prendendo spunto dalla realtà che circonda gli scolari, dal loro territorio, le loro tradizioni, i mestieri che vengono svolti all’interno della loro comunità. E i bambini apprendono più volentieri e ciò che apprendono si fissa in loro perché non lo fanno tramite un libro, un compito o dei segni sulla lavagna, ma attraverso la loro esperienza diretta.
Molte scuole sono concepite con questa metodologia, a mio avviso, più naturale d’apprendimento. Certo, questo comporta un impegno e una responsabilità diversi da parte dell’insegnante, perché non si deve accontentare di spiegare la lezione e di far studiare dalla pagina tot alla pagina tot. Deve prepararsi quasi quotidianamente la lezione che deve essere tagliata su misura per la sua classe, se non addirittura per ogni studente. Un esempio di questo modo di intendere la scuola ce l’offre lo splendido sceneggiato del 1972 Diario di un maestro di Vittorio De Seta, che vi invito a guardare.
Queste diverse metodologie d’insegnamento hanno in comune lo sviluppo della parte dell’essere umano meno apprezzata da questa nostra società: la parte irrazionale ed emotiva.
Da bambini la nostra non è di certo una mente razionale. Viene educata a esserlo. E questo non è un male assoluto, se la razionalità non prende il sopravvento sull’altra parte e, soprattutto, se quest’ultima non viene addirittura imbavagliata e azzittita. I bambini, anzi, andrebbero incoraggiati a sviluppare quella parte di sé che definiamo istintiva, intuitiva. E che i bambini questa loro parte la sanno usare bene, senza che nessuno gliel’abbia mai insegnato lo sanno benissimo gli insegnanti innamorati di quella che dovrebbe essere la loro passione, anziché un mestiere. Perché i bambini sentono se l’insegnante è partecipe o meno. Capiscono se l’insegnante è lì perché deve essere lì o perché vuole esserlo. I bambini “sentono”, non è meraviglioso questo? Ma poi, crescendo, questo sentire lo perdono instradati dalle convenzioni, dall’educazione e dai voleri di una società retrograda e per niente funzionale alla vita, come tutti ormai ci stiamo rendendo conto.
Non dico che quando nasciamo siamo in una condizione idilliaca, perfetta e che man mano che cresciamo non facciamo altro che inanellare un errore dietro l’altro. Quello che sto dicendo è che c’è una forte componente di noi stessi ben presente al momento della nostra nascita – ma anche prima – e che il nostro modo di interpretare la realtà attuale disconosce e, in alcuni casi, colpevolizza o ridicolizza e per questo ce ne dimentichiamo, la releghiamo nelle stanze buie della nostra mente.
Nel corso dei secoli la nostra mente ha preferito crearsi dei binari sui quali instradarsi e che le hanno permesso di sentirsi sicura, indirizzata verso un qualche fine, dove potesse procedere senza troppi scossoni. Oggi, però, la scienza stessa sta facendo vacillare queste nostre pseudo certezze, sta facendo deragliare il nostro treno mentale. Ma noi restiamo ancora legati ai vecchi schemi. Ricordiamoci che la fisica quantistica nasce agli inizi del ‘900, più di cento anni fa.
Per citare solo pochi, ma credo chiarificanti, esempi:
Nell'ambito della realtà le cui condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere è piuttosto rimesso al gioco del caso.
(Werner K. Heisenberg)
Nella psicologia sperimentale e nella ricerca clinica, ci sono prove schiaccianti che gli atteggiamenti degli sperimentatori possono influenzare il risultato degli esperimenti.
(Robert Rosenthal)
Nella misura in cui le proposizioni matematiche si riferiscono alla realtà, esse non sono certe; e nella misura in cui esse sono certe, non si riferiscono alla realtà.
(Albert Einstein)
L'effettiva rivoluzione avvenuta con la teoria di Einstein (...) fu l'abbandono dell'idea secondo la quale il sistema di coordinate spazio-temporali ha un significato obiettivo come entità fisica indipendente. Al posto di questa idea, la teoria della relatività suggerisce che le coordinate spazio e tempo sono soltanto elementi di un linguaggio che viene usato da un osservatore per descrivere il suo ambiente.
(Mendel Sachs)
Nel 1929 Heisenberg trascorse un po' di tempo in India come ospite del celebre poeta indiano Rabindranath Tagore, con il quale ebbe lunghe conversazioni sulla scienza e la filosofia indiana. Questa introduzione al pensiero indiano ha portato Heisenberg grande conforto, mi ha detto. Cominciò a vedere che il riconoscimento della relatività, dell'interconnessione e dell'impermanenza come aspetti fondamentali della realtà fisica, che erano stati così difficili per se stesso e per i suoi compagni fisici, era la base stessa delle tradizioni spirituali indiane. "Dopo queste conversazioni con Tagore," disse, "alcune delle idee che sembravano così folli improvvisamente avevano molto più senso. Questo è stato un grande aiuto per me”.
(F. Capra, Uncommon Wisdom, p. 43)
La mia tesi principale è che gli approcci di fisici e mistici, anche se all'inizio sembrano molto diversi, condividono alcune caratteristiche importanti. Per cominciare, il loro metodo è completamente empirico. I fisici traggono le loro conoscenze dagli esperimenti; i mistici da intuizioni meditative. Entrambe sono osservazioni e in entrambi i campi queste osservazioni sono riconosciute come l'unica fonte di conoscenza. Gli oggetti di osservazione sono ovviamente molto diversi nei due casi. I mistici guardano all'interno ed esplorano la loro coscienza a vari livelli, compresi i fenomeni fisici associati all'incarnazione della mente. I fisici, al contrario, iniziano la loro indagine sulla natura essenziale delle cose studiando il mondo materiale. Esplorando regni sempre più profondi della materia, diventano consapevoli dell'unità essenziale dei fenomeni naturali. Inoltre, si rendono conto che loro stessi e la loro coscienza sono parte integrante di questa unità. Così, il mistico e il fisico arrivano alla stessa conclusione; uno partendo dal regno interiore, l'altro dal mondo esterno. L'armonia tra le loro opinioni conferma l'antica saggezza indiana che Brahman, la realtà finale, è identica ad Atman, la realtà all'interno. Un'altra importante somiglianza tra le vie del fisico e del mistico è il fatto che le loro osservazioni avvengono in regni inaccessibili ai sensi ordinari. Nella fisica moderna, questi sono i regni del mondo atomico e subatomico; nel misticismo, sono stati di coscienza non ordinari in cui il mondo sensoriale quotidiano è trasceso. In entrambi i casi, l'accesso a questi livelli di esperienza non ordinari è possibile solo dopo lunghi anni di formazione all'interno di una disciplina rigorosa, e in entrambi i campi gli "esperti" affermano che le loro osservazioni spesso sfidano le espressioni nel linguaggio ordinario.
(Capra al 40th Anniversary Mystics and Scientists Conference Horsley Park, Surrey, 7-9 April 2017)
E noi utilizziamo ancora i vecchi parametri, da allora superati. Quanto ancora ci vogliamo tenere abbarbicati alle nostre stampelle esistenziali? Quando impareremo a camminare? Quando lasceremo liberi i nostri figli di essere ciò che sono?
“I vostri figli sono povere, sfortunate vittime delle bugie in cui credete. La vostra ignoranza è una peste che mantiene i giovani lontani dalla verità che meritano”, scriveva F. Zappa nel 1968!
La scuola non è solo l’istituzione morente che conosciamo; ci sono tantissime realtà in Italia e in tutto il mondo che concepiscono il rapporto tra insegnante e discente in modo olistico e che non pretendono di inculcare in loro nozioni, molte volte assurdamente superate. Diamo voce a queste realtà. La società del futuro passa necessariamente dalla scuola. Noi adulti siamo ormai in questa condizione, dove il razionale, il misurabile ha preso il sopravvento soffocando l’istintivo, il naturale. Ma perché non aiutare i nostri piccoli evitandogli gli strazi di una vita dicotomica?
Possiamo e dobbiamo assolutamente farlo, se abbiamo a cuore il bene, non solo dei nostri figli, ma del mondo intero, appunto di tutte le generazioni future. Perché è di questo che stiamo parlando, della sopravvivenza dell’essere umano e dell’intero sistema vita.