Presidente: “Che tipo di sensazioni ebbe quando Talaat Pascià fu morto? Cosa pensò allora?”.
Imputato: “Sentii una soddisfazione nell'animo”.
Presidente: “E oggi?”.
Imputato: “Ancora oggi sono molto soddisfatto di averlo fatto”.
Presidente: “Nessuno, in condizioni normali, può erigersi a giudice anche quando ha sofferto tanto”.
Il 15 marzo 1921 Talaat Pascià, uomo forte del governo dei Giovani Turchi, già ministro degli interni della Turchia, ritenuto tra i principali responsabili del genocidio armeno, è a Berlino dove si è rifugiato dopo la sconfitta dell’Impero ottomano nella Prima guerra mondiale.
Benché sia stato mostrato uno zelo particolare nello sterminio delle persone in questione, apprendiamo che alcuni vengono mandati in posti sospetti, quali Siria e Gerusalemme. Tale indulgenza è un errore imperdonabile. Il luogo di esilio di questi sobillatori è il nulla.
(Talaat Pascià, 1915)
Cammina, corpulento. Quel giorno del ‘21, lo studente armeno Soghomon Tehlirian, al quale era stata annientata la famiglia, gli spara e lo uccide. Il 2 e 3 giugno successivi, il giovane è processato alla Corte d’Assise del Tribunale di Berlino.
Presidente: “[…] Signori Giurati: "L'imputato Soghomon Tehlirian è colpevole di aver ucciso intenzionalmente il 15 marzo 1921 un uomo, Talaat Pascià?”.
Capo giurato Otto Reinicke: “No. L’imputato non è colpevole” [grande movimento in aula e applausi].
Presidente: “L'imputato è assolto [gran movimento in aula e applausi]. Secondo il verdetto dei giurati l'imputato non è colpevole del reato a lui attribuito. Inoltre, viene reso noto che l'ordine di cattura nei confronti dell'imputato viene revocato”.
Oggi, un secolo dopo, il caso di Soghomon Tehlirian, dichiarato innocente nonostante avesse fatto fuoco, è ripercorso nello spettacolo L’imputato non è colpevole, che Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari hanno tratto dagli atti del processo. Una produzione Compagnia Giardino Chiuso-Fabbrica Europa, interpretata da Annibale Pavone e Sebastiano Geronimo, che si presta molto bene all’adattamento in realtà virtuale, imposta dalla pandemia, perché l’azione scenica si svolge in un'aula di tribunale e lo spettatore è immerso e coinvolto al centro del dibattimento, in un continuo “rimbalzo” tra giudice e imputato. Un’anticipazione è stata messa on line su Vimeo allo scoccare del centenario. In seguito, sarà disponibile, integrale, sulla piattaforma Oculus. L’opera è stata riprodotta e pensata a 360° in virtual reality con il fine di costruire un'esperienza totalmente immersiva grazie al progetto Così remoti, così vicini. Idee per un teatro a distanza promosso da Fondazione Toscana Spettacolo in collaborazione con la Regione Toscana.
“La scelta di mettere in scena gli atti processuali Talaat Pascià è una conseguenza naturale per il nostro gruppo di lavoro che, fin dalla sua nascita, ha sempre creduto in un teatro che volgesse il suo sguardo verso una ricerca di contenuti concreti e ‘necessari’ per la contemporaneità”, spiegano Guicciardini e de Bari. “Tutti i nostri lavori precedenti hanno una matrice chiara, intuitiva e subito comprensibile, coinvolgendo lo spettatore in una narrazione che alimenti il dubbio e non che suggerisca risposte ma, al contrario, lasci sospese domande e inneschi una intima libertà di discernimento della visione scenica. Già in passato il tema della giustizia è stato al centro della nostra ricerca e l’incontro, nel 2018, con la comunità armena ha evidenziato la necessità di raccontare, ancora, un capitolo del sanguinoso Novecento che rischia di essere dimenticato, nel quale sono stati sterminati scientemente dal governo turco circa un milione e mezzo di armeni”.
Tanto più che il capitolo non è chiuso: il Caucaso meridionale è tuttora una polveriera e il 27 settembre del 2020 gli abitanti di Stepanakert, nel Nagorno Karabakh, sconvolti da boati e sirene, si sono resi conto che truppe dell’Azerbaijan, supportate dai turchi, avevano dichiarato una nuova guerra. Il conflitto si è concluso dopo quaranta giorni e migliaia di caduti e, come racconta la trentenne Susanna, intervistata dalla Radiotelevisione svizzera, nel reportage Armenia, la pace perduta di Paolo Tognina: “La guerra è con te. Il tuo inconscio non se ne libera”.
L’imputato non è colpevole riguarda quindi anche il presente e, soprattutto, dicono Guicciardini e de Bari, pone un quesito fondamentale per le nostre coscienze:
Quale giustizia è giusta? Quella dei codici, delle norme e delle leggi scritte o quella di un’umanità ‘universale’, una giustizia intima, che nasce dall’anima? L’omicidio di Talaat Pascià per mano di Soghomon Tehlirian, catturato con la pistola fumante, processato e assolto dal tribunale tedesco, cerca di ristabilire quanto meno un'idea plausibile di giustizia ‘giusta’, affinché la storia non diventi una farsa totale.
Un’altra frase di Talaat Pascià, il morto ammazzato, quando era il progettista del genocidio armeno:
Apprendiamo che i bambini piccoli delle note persone cacciate dalle regioni di Sivas, Mamuret ul-Aziz, Diyarbakir ed Erzurum, sono stati adottati da famiglie musulmane come orfani perché senza mezzi a causa della morte dei loro genitori o presi a servizio. Vi esortiamo a rintracciare tutti questi bambini e a mandarli nel luogo del loro esilio.
Oltre che per vendicare l’uccisione di padre, madre e fratelli, perciò, Soghomon Tehlirian, avrebbe agito anche a nome del suo popolo, nell’ambito del piano Nemesis, ideato per costringere l’opinione pubblica e gli stati di tutto il mondo a prendere atto dell’eliminazione turca degli armeni.
In L’imputato non è colpevole, impersonato dall’attore Sebastiano Geronimo, Tehlirian dice al presidente, affidato al volto e alla voce di Annibale Pavone:
Io non mi ritengo colpevole perché la mia coscienza è tranquilla. Ho ucciso un uomo, ma non sono stato un assassino.
Secondo la ricostruzione di Fulvio Cortese per i Documenti del Corriere della Sera, Talaat era l’obiettivo numero uno di Nemesis.
E, se si dà credito alle memorie di Shahan Natalie, il responsabile dell’intera operazione, a Tehlirian sarebbe stato dato il compito di lasciarsi catturare in modo plateale per fare in modo che il processo che avrebbe sicuramente dovuto affrontare diventasse, come oggi si direbbe, un processo mediatico […]. Presto proprio grazie al clamore del caso di cui è stato protagonista Soghomon Tehlirian si comincerà a riflettere sulle peculiarità delle azioni di repressione e di sterminio del genere di quelle commesse a danno della popolazione di etnia armena dal governo dei Giovani Turchi. E si comincerà a farlo proprio dal punto di vista giuridico.
Pour toi Arménie cantò Charles Aznavour, irresistibile armeno di Francia, che nella fase più crudele della prima guerra del Nagorno Karabakh (1992-1994) istituì un ponte aereo con il quale per mesi mise a disposizione dei profughi un volo diretto da Yerevan a Parigi una volta alla settimana. “Pour toi Arménie” perché la lontananza non stempera la partecipazione al dolore per chi muore, per i poveri, i mutilati e per la distruzione di monumenti preziosi. L’architetto Ludwig Naroyan, portavoce della comunità armena del Canton Ticino, intervistato alla Radiotelevisione svizzera, da Paolo Tognina dichiara di essere stato sorpreso dall’ultima guerra scoppiata nel 2020 e racconta di essere impegnato, con altri intellettuali armeni, per coinvolgere l’Unesco nella protezione di chiese risalenti al quarto, quinto, sesto secolo. È in pericolo anche il monastero dove crebbe l’inventore dell’alfabeto armeno (404 d.C). Impresa ardua in quanto al momento il governo azero non sembra intenzionato a fare entrare l’Unesco nei propri confini. Naroyan cita gli interessi economici internazionali legati al gas e al petrolio di quell’area. Poi conclude con un sorriso senza accenno di vittimismo, semmai lievemente ironico e profetico. Del petrolio, lascia intendere, forse fra cinquant’anni non importerà più niente a nessuno, mentre:
Gli armeni sono sempre stati spazzati via. Ma mai del tutto.