Mai come durante questa emergenza abbiamo sentito parlare di cambiamento: auspicio e paura. Non sarà mai più come prima. Un mantra. Indubbio che di scioccanti mutamenti ce ne sono stati nella vita quotidiana di tutti in tutto il mondo. E la politica è cambiata? “C’è stato un forte ritorno della politica. Capacità di proporre prospettive post. Non più sopravvivere alla pandemia, ma che tipo di mondo possiamo immaginare dopo il Covid-19. Fino all’estate 2020 eravamo in una situazione a-politica, oggi ci troviamo in una situazione panpolitica, l’opposto. Bisogna vedere se questo è positivo o no”. La risposta, inedita, di Vittorio Emanuele Parsi, politologo, editorialista e accademico - insegna Relazioni internazionali nella Facoltà di Scienze Politiche e nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere ed è direttore dell’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – rilancia il grande tema del “siamo a un bivio”.
Nel maggio del 2020 Parsi è uscito con l’e-book Vulnerabili. Come la pandemia cambierà il mondo una profonda riflessione sulla realtà internazionale sotto shock. In quel momento c’erano ancora molte carte da giocare negli equilibri mondiali, prima fra tutte l’elezione americana. Parsi sosteneva che di fondo, una volta superato lo shock, tutto faceva pensare a un ritorno alla normalità pre-Covid, ma che la durata della pandemia e l’esito delle elezioni americane avrebbero potuto trainare il sistema verso, se non un nuovo rinascimento, almeno una presa di coscienza – vera – che l’assetto occidentale sta implodendo e, allora, la tragedia del Covid-19 avrebbe potuto anche trasformarsi nell’occasione per rilanciare la democrazia, contro gli eccessi della finanza e il rischio di un nuovo autoritarismo. Dopo quasi un anno, lo scenario da lui prospettato nel saggio del maggio scorso resta valido: siamo ancora a un bivio – restaurazione o nuovo rinascimento – ma il radicale spostamento tra a-politica e panpolitica impone un approfondimento, che Parsi affida a un nuovo saggio in continuità col primo fin dal titolo che, all’uso del futuro sostituisce un incoraggiante, forse, gerundio: Vulnerabili. Come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo: la speranza oltre il rancore (in uscita il 23 marzo per Piemme).
Già l’anno scorso sosteneva che un rinascimento è possibile se il cambiamento non riguarda solo la risposta al virus, ma gli stili politici ed economici complessivi degli ultimi 40 anni. Dopo un anno pensa sia possibile?
Si è iniziato a immaginare un futuro, cosa che attiene alla politica. Dall’altra però, la politica è anche competizione per il potere e anche questa è tornata massicciamente nel mondo, perché quando hai una visione del futuro competi nel presente per cercare di controllare il processo decisionale, così da renderla più probabile. C’è stato anche molto discontento, ci si divide su come fare le cose, su quale futuro sia preferibile. È cresciuto il rancore e c’è stato un appannamento della solidarietà. Per alcuni aspetti era inevitabile. Si sono verificati elementi fattuali, come il cambio di presidenza in Usa, che con Joe Biden rimette più al centro la relazione con e tra le democrazie. Questo dà più spazio a un rinnovamento della convergenza d’interessi e valori tra Europa e Usa, per provare a costruire un mondo diverso e migliore di prima. Dall’altra parte vedo molto forti i sintomi di una restaurazione. Riportare tutto com’era, senza tanti cambiamenti. In Italia questo è molto evidente.
Anche sotto la guida del nuovo premier?
Siamo in un paradosso: Draghi è un personaggio di grande capacità che potrebbe spingere affinché il progetto europeo sia radicalmente rinnovato per renderlo più efficace, efficiente e stabile; ma il rischio è che in Italia non si tocchi nulla in termini di equilibri di potere dentro il sistema capitalista del nostro Paese e che, quindi, non ci sia nient’altro che una restaurazione dell’ordine precedente, aggiustando solo un po’ i bulloni che lo tengono insieme. Insomma rivoluzionario in Europa e restauratore in Italia.
L’esempio più evidente?
Il progetto di riforma fiscale: se abbassi l’aliquota (Irpef) massima che è già bassa, questo effetto di disuguaglianza non può essere compensato dall’alzare la quota esente. Se si lascia che quasi i due terzi del flusso che deriva dalle imposte viene da Irpef e Iva, con noti problemi di evasione, cioè che venga da tasse su lavoro e consumi, invece di riequilibrarlo, accrescendo le quote sulla tassazione da capitale e da rendita immobiliare, questo significa che si sta solo consolidando il vecchio sistema. Persino se dovessi lottare contro l’evasione, non sposteresti il carico fiscale dalle persone alle cose.
Guardiamo a come si è entrati nella crisi di governo: quello che vedo è un indebolimento ulteriore della politica e dei partiti a cui si lasciano fare i teatrini sui sottosegretari. Rischia di rinfocolare l’idea che la democrazia e la politica non funzioneranno mai. E allora serve l’expertise tecnico. Questo è reazionario e non democratico.
In che senso?
Ottenere che il consenso vada in direzioni socialmente proficue e non a caso, è il problema che si pone dal 1789. Se poi la risoluzione della questione è non votare, screditiamo il sistema e teniamo in palmo di mano tutto il resto, ossia i pesi economici e non politici, questo non è un buon viatico per la modernizzazione democratica del sistema. Ogni volta che si è in crisi ragioniamo con soluzioni che non prevedono consenso. Sono passati vent’anni tra il governo Ciampi e quello Monti. Dieci tra quello Monti e quello Draghi. Ne passeranno cinque tra quello Draghi e il prossimo? Partiti deboli e personali significa democrazia debole, significa che i “molti” sono nelle mani dei “pochi” e che solo gli interessi di questi ultimi sono tutelati.
Italia in controtendenza.
Nelle istituzioni europee c’è una spinta verso il cambiamento delle politiche macroeconomiche, dall’austerità all’espansione, mettere in campo anche l’obiettivo della piena occupazione e non solo la lotta all’inflazione. Da noi abbiamo un premier il cui consigliere economico (Giavazzi) propone l’austerità espansiva. D’altra parte, è un paradosso tutto italiano: non riuscire mai a sfruttare quello che viene dall’esterno per trasformare la struttura interna del Paese che infatti non è cambiato mai: i padroni del vapore, la borghesia del potere, sono passati indenni in tutta la storia d’Italia. Grave poi l’annichilimento di qualsiasi posizionamento progressista oltre che progressivo. Nell’ultimo anno il punto è stato far fuori qualunque possibilità di schieramento politico, rozzo e contraddittorio ma almeno alternativo al “There is no alternative!”. Un appiattimento che non è su tutto lo spartito delle note, ma sulle note dominanti.
Cina, America, Russia: equilibri oggi?
La Cina è forte economicamente, sono cresciuti anche nel 2020, ma è debole dal punto di vista normativo. Difficile la leadership mondiale di un governo che butta fuori del parlamento di Hong Kong parlamentari all’opposizione, nega di avere avuto un virus eccetera. Su questo la Cina è sfidata e incalzata dall’amministrazione democratica americana: vuole o no assorbire i valori della democrazia? I cinesi sono nervosi e sulla leadership mondiale dicono: “non parliamo di politica, ma di soldi”. Sono chiamati a decidere che cosa diventare. Se affermano anche i valori della democrazia, cercando di farli stare insieme all’economia di mercato capitalista, può esserci spazio per l’emersione d’idee nuove. Anche in un sistema multipolare e multilaterale, il tema della leadership e della sua natura resta cruciale.
La trasformazione inclusiva del liberalismo Settecentesco è legata proprio allo spazio che si crea tra sistema economico e sistema politico, nel momento in cui affermi anche l’importanza dei valori politici inclusivi. È lì che si è costruito quel delicato rapporto tra democrazia e mercato che ha segnato lo zenith della modernità politica.
La Russia è in fortissima crisi politica, alle prese con la costruzione del successore di Putin: prima o poi è destinato a ritirarsi e, avendo bruciato tutti gli sfidanti, non ci sono più neanche i delfini. È da circa 25 anni al potere, dopo di lui chi garantirà gli equilibri economici della Russia? Lo vedremo nei prossimi dieci anni in cui c’è un rischio di disordine molto forte. È come nel Padrino: quando il capo cosca s’indebolisce ed esce di scena, le famiglie non si fidano più e si fanno guerra.
Il peso dell’Europa?
Se riuscirà a istituzionalizzare e rendere permanenti i cambiamenti di approccio, obiettivi, regole avvenuti durante l’emergenza, potrà avere un ruolo di peso. Se ci riuscirà dipende dall’equipaggio e chi è al timone. I Paesi grossi hanno interesse a farlo: Germania, Francia, Spagna, Italia. I piccoli no, sono opportunisti in senso tecnico. In Germania cambierà la leadership e qui restiamo a vedere, la Francia ha un leader impopolare. Questo potrebbe dare a Draghi l’opportunità di essere una guida in Europa e per l’Europa, ma bisogna vedere che guida sarà per l’Italia. Al momento sospendo il giudizio. Il nostro vecchio continente è come su una barca a vela che decide di cambiare le mura, di spostare il fiocco a destra o a sinistra andando di bolina. La crisi ha indebolito la portanza delle vele e quindi è possibile fare questa operazione grazie al rallentamento. Se si cambia lato, si avrà un vento fresco e portante, altrimenti torneremo dal lato dove abbiamo tentato la virata senza riuscirci. E andremo con il refolo di vento che ci porta sempre più sbandati fino a quando dovremo fermarci perché non ce ne sarà più.