Nella sterminata e secolare raccolta di opere letterarie dedicate al viaggio – al viaggio inteso come cronaca diretta e immediata, certamente, ma anche al viaggio soltanto immaginato, sia nel rispetto dei canoni della verosimiglianza che nello scardinamento di queste norme – i filosofi sembrerebbero avere una parte esigua, se non addirittura quasi ininfluente. Le vicende biografiche di Kant, ad esempio, assumono in quest’ottica un valore paradigmatico del rapporto controverso e talvolta apertamente negativo che i filosofi hanno avuto con la pratica del viaggio. Si racconta infatti che il celebre pensatore tedesco non uscì mai dalla provincia di Königsberg, e che nell’unico dei suoi viaggi «non vedeva l’ora di tornare a casa» [1]. D’altronde, che l’unico vero viaggio comunemente accettato dai filosofi sia quello mentale – il viaggio en esprit, per così dire – ce lo conferma un importante testo di Xavier De Maistre, quel Voyage autour de ma chambre che ironizza sui viaggiatori impegnati a percorrere in lungo e in largo la superficie terrestre ignorando le scoperte sensazionali che potrebbero invece compiere circumnavigando semplicemente la propria stanza [2].
A questa regola non scritta ma tradizionalmente consolidata si sottrae tuttavia Hermann Keyserling, non a caso un filosofo lontano da qualsiasi convenzionalismo, un pensatore sui generis che nel 1920 arriverà persino a fondare una scuola di yoga e meditazione con lo scopo di riconciliare l’Oriente e l’Occidente. Qualche tempo prima, esattamente nel 1911, Keyserling si era imbarcato a Genova con l’intento di compiere un viaggio di due anni intorno al mondo, esperienza dalla quale nel 1918 trasse un Diario di viaggio che nel volgere di pochi anni divenne una sorta di best seller (dal 1919 a 1923 si contano nientemeno che sette edizioni). Ma già dalle primissime pagine dell’opera emergono i caratteri peculiari del viaggio di questo filosofo. In primo luogo, non c’è un intento conoscitivo propriamente detto. Il suo itinerario – Genova, Suez, Mar Rosso, Oceano Indiano, India, Cina, Giappone, infine America – è solo un pretesto, poiché non è tanto curioso dell’altrove in quanto altrove, ma il mondo per lui è piuttosto un mezzo per raggiungere l’autorealizzazione: «per l’uomo un giro intorno al mondo rappresenta in ogni senso la via più breve pensabile per giungere alla propria essenza» [p. 374]. Un secondo aspetto che emerge dalla lettura del suo diario è la geografia dello spirito, una concezione nella quale, alle varie parti del mondo, corrispondono momenti o stadi della storia universale, di modo che i luoghi incarnano di volta in volta particolari figure o atteggiamenti spirituali. In quest’ottica, il viaggio di Keyserling è soprattutto un «anelito all’autorealizzazione». Mentre il viaggiatore banale, come egli stesso lo definisce, «vede, vive, esperisce, tanto più diviene superficiale», Keyserling può affermare programmaticamente «niente come un giro intorno al mondo potrà condurmi a me stesso» [p. 37].
La profonda spiritualità di Keyserling pervade il Diario di viaggio di un filosofo, ed è quanto mai evidente nelle approfondite descrizioni degli aspetti e delle pratiche religiose delle popolazioni che vivono nelle località visitate, ma al contempo mostra anche alcune curiose e inaspettate affinità col determinismo geografico positivistico. Quando si tratta infatti di dar ragione del rapporto tra gli uomini e la natura, l’origine delle differenziazioni geografico-culturali viene individuata nei soli fattori ambientali. La differenza tra Buddismo e naturalismo, ad esempio, è ricondotta a quella tra fascia tropicale e paesi nordici, vale a dire alle differenze climatiche; il pensiero indiano alla flora lussureggiante e all’intrico di forme e piante; si dichiara la zona temperata, e non quella tropicale, la «scena di tutte le grandi gesta dello spirito» [p. 63]. Ai Tropici la vita è vegetazione, un modo come un altro per negare all’abitante di quei luoghi una qualche forma di vita interiore. Con diverso accento si parla invece della Cina. A proposito del paesaggio, se ne delinea con ammirazione il suo carattere agrario e con ciò si sottolinea il ruolo dell’uomo che imprime il suo sigillo sulla natura: «Ogni tratto di terreno è coltivato, accuratamente concimato, arato con precisione e competenza, su su fino alle sommità delle colline tondeggianti che, simili a piramidi egizie, scendono verso il basso in artistiche terrazze» [p. 72]. Tuttavia, nonostante le attestazioni di stima, per Keyserling il cinese è «meno individualizzato» rispetto all’uomo europeo, e pertanto «occupa uno stadio naturale inferiore al nostro». Superiorità sul piano spirituale dell’europeo cui si contrappone la superiorità del cinese sul piano della cultura materiale e delle tecniche di produzione e di organizzazione: le manifestazioni della civiltà cinese «sono anch’esse “natura” e non “spirito”» [p. 143].
In America, invece, Keyserling respira finalmente aria di casa. Qui può riappropriarsi della propria identità culturale, del proprio «vissuto di occidentale» [p. 285]. Una riacquisizione di sé che nasce anche dal contrasto con i paesaggi e le pratiche culturali “altre” con le quali Keyserling si è confrontato nel suo viaggio. Il clima della California, a differenza di quello dei tropici, spinge «alla formazione di individualità» [p. 287], sia che si tratti di alberi (contrapposizione con l’intrico della vegetazione della giungla tropicale) che di individui (individualità come sinonimo di tensione interiore). Ma in America l’umanità è dipendente dal contesto fisico. Anche per Keyserling, come lo era già cento anni prima per Hegel, l’America è insieme un mondo ancora giovane e il paese del futuro. La descrizione del paesaggio americano offre lo spunto per enunciare la differenza tra la via occidentale e quella orientale nel rapportarsi con la natura. La civiltà orientale si inserisce in essa, laddove quella occidentale preferisce trasformarla: «Mentre il treno mi trasporta attraverso i frutteti della California, non posso fare a meno di pensare alle parole di Meng-tzu: anziché procurarsi buoni attrezzi agricoli è meglio attendere il tempo favorevole. Se gli americani avessero pensato in questo modo, la California, che è oggi il giardino della terra, sarebbe rimasta un deserto, poiché a ciò l’aveva destinata la natura» [p. 299]. Ma di questa trasformazione della natura Keyserling non nasconde però gli aspetti più devastanti e deturpanti: l’impoverimento degli ecosistemi e delle specie, il livellamento e l’omologazione delle pratiche umane e dei paesaggi. E tutte queste dinamiche sono tanto più evidenti in America, perché qui le caratteristiche (e le contraddizioni) distintive dell’Occidente trovano la loro espressione più compiuta, estrema ed evidente [p. 300].
Da questi pochi esempi risulta palese che per Keyserling il discorso geografico, apparentemente semplice e lineare, è in realtà un percorso difficile, tutto in salita, pieno di deviazioni e di ostacoli. E questo vale anche per il filosofo che confidi eccessivamente nella purezza del proprio sguardo: al termine del proprio giro del mondo, Keyserling deve ammettere che, nonostante l’obiettivo del suo viaggio fosse non la cognizione esteriore del mondo ma la propria metamorfosi interiore, ognuno di noi è legato al mondo in maniera tale che nessuno può staccarsi del tutto da esso. E, pertanto, chi giunge alla propria meta senza apparenti giri viziosi, l’ha raggiunta solo in apparenza. Come a dire che non è mai una linea retta quella che unisce due punti, proprio perché ogni viaggio che non si svolga sulla carta deve fare i conti con la superficie della terra.
Hermann Graf Keyserling (1880 – 1946) è stato un filosofo e naturalista estone naturalizzato tedesco. Nacuqe a Kõnnu, un villaggio del comune di Kaisma nella contea di Pärnumaa. Dopo aver concluso gli studi alle università di Dorpat, Heidelberg e Vienna, intraprese un lunghissimo viaggio intorno al mondo. I suoi interessi furono indirizzati verso le scienze naturali e la filosofia e prima della Grande Guerra era conosciuto come studioso di geologia e come popolare saggista. Dopo la Rivoluzione Russa, nel 1920 fondò a Darmstadt la Gesellschaft für Freie Philosophie (Società per la libera filosofia). Tra le sue opere, oltre al Diario di viaggio di un filosofo: Cina, Giappone, America (1918), si ricordano Conoscenza creatrice (1921), Immortalità (1920), Filosofia come arte (1920) e Presagi di un mondo nuovo (1926).
Note:
[1] BOROWSKI L.E, Descrizione della vita e del carattere di Immanuel Kant, in BOROWSKI L.E., JACHMANN R.B., WASIANSKI E.A.C., La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, Bari, 1969, p. 53.
[2] Cfr. DE MAISTRE X., Voyage autour de ma chambre, Lausanne, 1795.
[3] KEYSERLING H., Diario di viaggio di un filosofo. Cina, Giappone, America, Vicenza, 1998.