Quando osserviamo i grandi manifesti pubblicitari, abituati come siamo a vederli dappertutto, sul muri dei palazzi, in metropolitana, sui mezzi pubblici e nei luoghi più impensati, il nostro occhio si posa magari distrattamente su di essi, dandolo come un fatto scontato che ci siano, forse non ricorda che la sua origine affonda nel passato, alla fine dell'800, quando un giovane pittore, alcolizzato e colpito da una grave disabilità motoria, li dipingeva perchè fossero distribuiti in tutta la “Ville Lumière”, Parigi. E lo faceva per la necessità di procurarsi l'alcol che tanto amava, poiché la sua nobile e antica famiglia, al fine di proteggerlo, per lui che ne abusava, dalla micidiale bevanda, lo privava dei mezzi economici.
Era nato ad Albi nei Pirenei nel 1864, primo figlio del conte Alphonse e della contessa Adèle Tapié de Céleyran. I suoi genitori erano cugini primi ed erano stati compagni d'infanzia, uniti ben presto in un matrimonio combinato per preservare i patrimoni. La loro nobiltà vantava illustri antenati, addirittura dei reali ed i loro possedimenti comprendevano castelli, tenute, appartamenti a Parigi.
Henri era un bambino grazioso, dal carattere allegro, veniva chiamato “petit bijoux”, gioiellino, ed era coccolato e viziato da uno stuolo di zie, cugini e parenti vari. Poiché in famiglia si educavano le nuove generazioni alle arti equestri, come a quelle letterarie e artistiche, ebbe un'ottima educazione da parte dello zio Charles, che gli insegnò i rudimenti del disegno. Anche il padre amava l'arte ed era uno scultore, con uno studio a Parigi, ma era uno spirito libertino, per cui la contessa Adéle, quando Henri ebbe quattro anni, decise di separarsi: il piccolo ne sofferse molto, soprattutto, perché all'età di otto anni la mamma decise di trasferirsi con lui a Parigi, abbandonando il luogo in cui era cresciuto così felice.
Da sempre Henri amava disegnare, ma l'essere stato colpito, all'età di tredici anni, da una grave malformazione ossea, causata dai troppi matrimoni tra consanguinei, che gli procurò ripetute fratture alle gambe, lo costrinse per anni all'immobilità per cui dedicò molto tempo al disegno e alla pittura. Le sue gambe non crebbero normalmente, mentre il resto del corpo era normale, raggiunse a stento il metro e mezzo di statura e fu costretto ad appoggiarsi ad una stampella per camminare.
Henri non si perse d'animo, continuò a studiare, superando a 17 anni la maturità, dopo un precedente insuccesso.
A questo punto i genitori, consapevoli dei limiti che la sua disabilità poneva, assecondarono la sua volontà di proseguire gli studi nel campo delle arti.
Il suo primo maestro era stato Princeteau, ma poi frequentò l'atelier di Bonnat e quindi quello di Cormon, fu allievo di Cabanel, direttore dell'Académie des Beaux Arts, in vista dell'esame di ammissione. Henri frequentò l'Académie, ma non terminò i corsi, spinto dall'interesse per le Avanguardie, tra cui gli Impressionisti, che ormai si andavano affermando.
E ispirati a loro sono i dipinti di quegli anni, anche se se ne staccò quasi subito a contatto con i Nabis, le nuove avanguardie, a cui guardavano Gauguin e Van Gogh, che divenne amico di Henri, il quale nel frattempo si era trasferito presso gli amici Grénier, la cui moglie, Lily, fu ammirata e ritratta dall'artista.
Questa coppia di giovani amici lo iniziò a frequentare i locali notturni di Montmartre, ove si recavano i borghesi in cerca di emozioni a buon mercato, di musica stordente, di ballerine improvvisate, ma disponibili, piene di vita e di animalesco entusiasmo. Anche l'alcol, a quei tempi il micidiale assenzio, veniva consumato in grande quantità: Henri ne fu quasi subito vittima, il suo motto era “bere poco, ma sovente”, per cui trascorreva le sue serate nei vari locali parigini, se ne contavano più di 2500. Il giovane conte aveva sempre cura, fin dall'adolescenza, di annotare sull'inseparabile taccuino l'espressione di un viso, di un gesto, dello scatto di una gamba, mentre beveva e offriva generosamente da bere agli amici presenti.
Lui, un ragazzo che non osava guardare una donna del suo ceto sociale, ritenendosi inadeguato, nel demi-monde si sentiva accolto ed addirittura apprezzato come giullare, anche per la sua disponibilità economica. E frequentava, come molti borghesi, i bordelli di lusso, dove ben presto fu contagiato dalla sifilide, regalatagli dalla prostituta Rosa la Rossa, malattia che cercò di curare, ma che insieme all'alcol lo indebolì progressivamente.
La vivace vita notturna non gli impediva di disegnare e di dipingere con accanimento: sceglieva le modelle tra le giovani operaie che incontrava per le strade.
Esponeva i suoi lavori al Salon des Independentes, dal momento che il Salon ufficiale rifiutava i suoi lavori. Henri riteneva che il paesaggio, fino a quel momento ispiratore della scuola di Barbizon, dei realisti e degli impressionisti, servisse solo come contorno: a lui interessava la figura in tutte le sue espressioni. In quel periodo dipinse incantevoli e delicati ritratti di donne, tra cui la madre, Lily Grenier, e Carmen Gaudin, l'operaia dai capelli rossi, timida e ritrosa, che ritrasse più volte: è lei la protagonista del suo capolavoro La lavandaia. La donna per Henri non aveva ancora l'aspetto disinibito e provocante delle ballerine che ritrasse in seguito, ma ben presto il suo spirito caustico, il gusto per la caricatura, venne a galla nei confronti di questo mondo costituito da personaggi equivoci, da ballerine più o meno dotate, da chansonnier che arringavano i clienti, insultandoli, come Aristide Briant, da proprietari di locali notturni che si improvvisavano galleristi e da prostitute in cerca di clienti. In questo demi-monde Henri si aggirava con leggerezza e disinvoltura, nonostante la disabilità. Lui comunque era Monsieur Le Comte, un tipo che amava la bella vita, la compagnia di donne allegre e gli amici che condividevano i suoi gusti.
È di quel periodo la sua creazione dei meravigliosi manifesti che lo hanno reso famoso, come i locali e i personaggi rappresentati, esaltati attraverso pochi segni e pochi colori. Realizzò più di trenta manifesti, che spesso si vedevano affissi sui muri parigini e divenne il più famoso creatore di “affiches” che reclamizzavano il Moulin Rouge, il Moulin de la Galette, Le Chat Noir, il Mirliton, il Divan Japonais, l'Ambassadeurs, le Jardin de Paris e molti altri.
Anche le ballerine che dipinse e disegnò ottennero grandi successi, in particolare la Goulu, Jane Avril, Ivette Guilbert, Loie Fuller, May Belfort, Cha-U-Kao, la donna clown, ma anche il celebre Aristide Briant, cantante e intrattenitore, che arringava il pubblico offendendolo apertamente e divertendolo in questo inusuale approccio.
Rappresentò i personaggi della Parigi notturna attraverso la loro caricatura: essi persero la loro individualità a favore di una caratterizzazione universale. Henri disegnò di tutto, illustrò libri, riviste, programmi teatrali, menù, cartoline, soprattutto si occupò di perfezionare le sue litografie sperimentando la nuova tecnica a spruzzo.
Dopo gli anni ‘90 i locali notturni persero il loro fulgore e i parigini li lasciarono ai turisti: a quel tempo Henri frequentò in modo più assiduo le case chiuse, ove risiedeva anche per lunghi periodi, condividendo la vita delle prostitute, dipingendole e ritraendo i vari momenti della loro giornata: nel riposo, a letto, a colazione, quando giocavano a carte per far passare il tempo nell'attesa dei clienti. Alcune divennero sue amanti, come Mireille e Poupoule, e modelle, con altre ebbe rapporti formali e addirittura autoritari.
Il mondo che rappresentò non era erotico. Non vi erano mai uomini, le donne a volte erano colte in atteggiamenti saffici e al riguardo Henri teneva celate queste tele, le faceva ammirare solo a pochi amici e alla sua morte furono distrutte, almeno in parte, dallo zio Charles che voleva tutelare la reputazione del nipote.
Il suo periodo più fertile come disegnatore e pittore è stato sicuramente tra il 1890 e il 1895 perché in seguito, la sua salute, a causa dell'alcol e della sifilide, andava peggiorando.
Henri, che quando non abitava nei bordelli, viveva con la madre, veniva fatto controllare dalle cameriere affinché non bevesse, gli furono dimezzati i fondi, per cui fu costretto a chiedere al suo amico gallerista della galleria Goupil, Joyant, di vendere i suoi quadri “a qualsiasi prezzo”. Il suo amico gli organizzava mostre ed esposizioni a Parigi, a Bruxelles e a Londra, Henri viaggiava parecchio.
Nel frattempo, emergevano le nuove correnti di avanguardia come i Simbolisti, gli Astrattisti e i Fauves e lui era meno apprezzato rispetto al passato.
L'alcol, infine, gli procurò attacchi di delirium tremens, ebbe terribili incubi in cui sparò a ragni inesistenti e si ruppe una clavicola: la famiglia si vide costretta ad internarlo in una clinica per malattie nervose a Neuilly. I giornali diedero molto risalto alla notizia del suo internamento. Lo diedero per finito, condannarono il fatto che un giovane di buona famiglia fosse ancora una volta finito negli abissi della perdizione. Henri, dal canto suo si riconquistò la libertà, disegnando e dipingendo affannosamente, timoroso di dover restare rinchiuso a vita, ma il non bere fece il miracolo: dopo 11 settimane i medici gli permisero di tornare a casa sotto il controllo di qualcuno che gli impedisse di bere: era il 1899.
Per alcuni mesi viaggiò con l'amico Viaud, incaricato di controllarlo, ma, quando tornarono a Parigi ricominciò a bere: utilizzava come contenitore di alcol il proprio bastone, che era cavo, ed è visibile tuttora al museo di Albi e a frequentare i locali notturni e le case chiuse.
Ma si rendeva conto di essere alla fine per cui andò riordinando il suo studio, terminò, classificò e pose il suo marchio alle sue tele e ai suoi disegni migliori.
Riprese anche a dipingere, con materia più densa e con cromie più intense e anche i temi erano diversi, storici o teatrali, ma dipinse mirabilmente anche Louise Weber, una modista e la sua amica prostituta Poupoule.
Poiché si sentiva sempre più debole chiese alla madre di accompagnarlo al castello di Albi, ove era cresciuto e da lui tanto amato.
Gli ultimi giorni li trascorse a contatto con la natura, all'aperto, allungato su di una chaise longue e infine, a soli 36 anni, se ne andò: era il 1901.
Il padre, che non aveva mai apprezzato la sua arte, incaricò l'amico di Henri, Joyant come esecutore testamentario delle opere del figlio.
Il gallerista del Goupil valorizzò l'opera di Toulouse-Lautrec che reclamizzò, cercando in tutti i modi di favorire la collocazione delle numerose opere di Henri in un museo di Albi, supportato dalla contessa di Tapié, madre dell'artista che aveva conservato i disegni infantili del figlio. Il museo fu inaugurato a vent'anni dalla morte, prese il suo nome e fu arricchito dalle donazioni dei suoi eredi.
In conclusione, si può dire che Henri Toulouse-Lautrec ebbe un talento straordinario per il disegno, che era immediato, vigoroso e spontaneo: sul suo taccuino disegnava i visi e i gesti delle persone che conosceva e che lo colpivano. Per lui il gesto e le sfumature delle espressioni dei volti erano di grande interesse e sapeva cogliere l'essenza di un'esibizione con pochi tratti precisi e sintetici: fu un maestro nel rappresentare contenuti complessi con pochi tratti essenziali.
I suoi lavori si presentavano come spontanei e freschi e apparivano come fossero creati di getto, mentre Henri curava molto i particolari che voleva mettere in risalto e ci ha lasciato la testimonianza che per ogni lavoro si impegnava in innumerevoli prove, fino a quando non era soddisfatto.
Nel periodo più fertile della sua arte il colore era meno importante del disegno e lo diluiva con l'acquaragia per lavorare più velocemente e per far sì che seccasse prima: a tal fine usava addirittura un cartoncino assorbente su cui lavorare.
Sapeva cogliere la delicatezza di un viso soave, ma anche mettere in risalto le debolezze umane, fino ad arrivare alla caricatura e al grottesco, sapeva essere ironico ed era autoironico anche verso se stesso, ma fu anche spesso beffardo, impietoso, a volte cinico.
Henri fu sicuramente ferito nel profondo dalla sua disabilità, si sentì sempre inadeguato al suo mondo di élite, per cui si svilì frequentando le prostitute, le sole donne che, secondo lui, potevano accettarlo.
L'alcol lo aiutò a superare i suoi complessi, il dolore di non poter essere come gli altri, di non potersi formare una famiglia, amare una donna della sua classe sociale. Ma ebbe il grande conforto dell'arte, a cui si dedicava con assoluta dedizione, non risparmiandosi mai per essa.
La sua ironia, il suo cinismo, erano sane reazioni di una persona che osserva il mondo con occhio disincantato, ed essendone fuori, riesce anche a cogliere ciò che a una persona più superficiale sfugge.
La sua vita, come quella del Caravaggio, di Masaccio, di Raffaello, di Géricault, di Pellizza da Volpedo, di Seurat, di van Gogh, di Modigliani, di Schiele, di Klein, di Warhol, di Basquiat, di Haring e di molti altri grandi artisti, è stata breve, ma vissuta con una grande passione.