Recovery Plan, due parole oggi sulla bocca di tutti che sono destinate a cambiare il corso degli avvenimenti recenti (basti pensare alla crisi politica) e futuri, e di cui dovremo occuparci ancora a lungo. Ma che cos’è questo Recovery Plan e perché è così importante da riguardare tutti?
Il Recovery Plan è un documento che individua gli interventi da realizzare con i circa 220 miliardi di euro concessi all’Italia dal Consiglio Europeo allo scopo di affrontare la gravissima crisi sociale e sanitaria generata dal Covid-19. Il prestito però non è spendibile ad libitum, esso è vincolato alla realizzazione di una serie di progetti per l’appunto descritti nel Recovery Plan (d’ora in avanti Piano), denominato anche Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) o più correttamente “Next Generation”. Gli investimenti, infatti, non devono limitarsi a rilanciare l’economia dopo una fase di grave depressione ma devono servire per rimuovere (almeno parzialmente) le cause che l’hanno determinata e per assicurare un futuro migliore alle nuove generazioni.
Il Piano in particolare si propone di fronteggiare due grandi sfide, a cui nessuno può pensare di sottrarsi: la crisi climatica (con tutte le tragiche conseguenze che essa comporta) e la transizione digitale. La rivoluzione verde e blu come qualcuno l’ha chiamata.
Gli interventi previsti dal Piano dovranno quindi essere accompagnati da una chiara definizione degli scenari verso i quali si intende guidare lo sviluppo del Paese e da una serie di riforme della pubblica amministrazione destinate a rimuovere i vincoli burocratici, rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse, facilitare la realizzazione degli interventi e il raggiungimento degli obiettivi, condizione quest’ultima, necessaria per assicurarsi l’effettiva erogazione dei finanziamenti.
Il Piano è molto articolato e si sviluppa intorno a sei Missioni che rappresentano le aree tematiche entro cui sono descritti i vari interventi con i relativi finanziamenti. Qui mi soffermo solo su pochi aspetti salienti, evidenziando alcune incongruenze e qualche limite d’impostazione a cui sarebbe auspicabile porre rimedio.
La rivoluzione verde
Questo capitolo rappresenta la parte più importante del Piano. Tutti gli organismi scientifici nazionali e internazionali, infatti, sono concordi nel ritenere che la crisi del clima provocato dalle attività umane costituisce la più grande minaccia per la salute dell’uomo1.
I mutamenti climatici dovuti al riscaldamento terrestre, infatti, portano con sé una serie di conseguenze negative sugli ecosistemi del pianeta e sul delicato equilibrio che intercorre tra uomo, microorganismi, animali, piante, fauna selvatica e ambiente, da cui dipende non solo la nostra salute ma la sopravvivenza della nostra specie. Pensiamo, per esempio, alla perdita della biodiversità, alle estinzioni delle specie animali e vegetali, alla desertificazione, alla diminuzione delle riserve idriche, all’erosione del suolo, agli eventi metereologici estremi, alle resistenze batteriche e alla proliferazione di virus, batteri e parassiti.
Vi sono oggi solide prove scientifiche che tali mutamenti, oltre a provocare danni diretti (pensiamo, per esempio, alle alluvioni o agli uragani) favoriscono anche l’insorgenza di molte malattie quali il cancro, le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità, le infezioni, le malattie polmonari, per cui proteggere l’ambiente porta anche notevoli vantaggi per la salute.
Intervenire sulle cause dei mutamenti climatici non è però una cosa semplice perché richiede un cambiamento radicale dell’attuale modello di sviluppo, basato sulla crescita economica senza limiti realizzata con il progressivo depauperamento delle risorse naturali e il deterioramento degli ecosistemi. Occorre quindi pensare a modelli di sviluppo alternativi che sappiano cioè disaccoppiare il binomio: crescita delle attività economiche e consumo indiscriminato di risorse naturali2.
Per questo motivo è indispensabile che il Piano (non a caso intitolato “Next Generation”) stabilisca in modo esplicito che lo scopo principale degli investimenti non è semplicemente di aumentare il PIL ma soprattutto di tutelare l’ambiente e la biodiversità, oltre che ridurre le diseguaglianze. A questo fine gli interventi devono essere coerenti con l’approccio One Health, cioè con la visione sistemica della vita e della salute. La salute, infatti, non dipende solo dal buon funzionamento dei servizi sanitari ma è intimamente connessa con i diversi aspetti delle attività umane e con la fitta rete di relazioni che lega l’uomo all’ambiente fisico e sociale in cui vive e lavora. Tutto è interdipendente e in questo senso i diversi settori dell’organizzazione sociale (economia, commercio, trasporti, urbanistica, agricoltura, lavoro, istruzione, salute, ecc.), ciascuno per quanto di competenza, devono imparare a dialogare e a cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi3.
Agricoltura sostenibile
L’agricoltura, gli allevamenti intensivi, la distribuzione e il consumo del cibo sono tra le principali fonti di emissione di gas serra, oltre che un importante fonte di problemi di salute e d’ingiustizia sociale. È evidente, quindi, che il Piano non può sottovalutare l’enorme impatto di questo settore per il raggiungimento degli obiettivi della cosiddetta rivoluzione verde.
Purtroppo, però, i finanziamenti previsti per questo settore sono alquanto modesti (1,8 miliardi di euro) e distribuiti su tre tipologie d’intervento: progetti finalizzati alla riconversione delle imprese verso modelli sostenibili, progetti per l’ammodernamento dei tetti degli immobili ad uso produttivo e progetti per migliorare le capacità di stoccaggio delle materie agricole.
Dedicare ad un settore così strategico meno dell’1% dei finanziamenti disponibili di cui solo una parte riservata alla riconversione delle aziende verso modelli di agricoltura sostenibile ci pare davvero irrealistico. Nulla è previsto, per esempio, per ridurre gli allevamenti intensivi, per sostenere i produttori locali, per bloccare il consumo di suolo agricolo, per evitare le deforestazioni o per promuovere il consumo di alimenti freschi, di prossimità e tendenzialmente vegetali.
Mobilità sostenibile
Il modo in cui le persone si spostano rappresenta certamente un tassello importante nel quadro della transizione verde e i valori economici attribuiti ai diversi interventi costituiscono il migliore indicatore del rilievo che assumono le diverse scelte. In questo senso assegnare 29,46 miliardi di euro all’alta velocità ferroviaria e alle gradi infrastrutture e solo 7,55 miliardi alle ciclovie e al rinnovo del parco rotabile (che interessa l’85% dei passeggeri), al di là delle belle parole di rito, è un segnale eloquente della scarsa considerazione che viene riposto ai progetti di miglioramento della mobilità locale. Sappiamo invece che l’incremento dei percorsi ciclo-pedonali e dei mezzi di trasporto pubblico consegue un triplice effetto positivo sull’ambiente e sulla salute perché limita le emissioni di gas serra, diminuisce l’inquinamento atmosferico e favorisce l’attività fisica.
Sarebbe quindi quanto mai auspicabile invertire il rapporto degli investimenti previsti dal Piano per l’alta velocita e la mobilità locale o quantomeno riaggiustare il valore ad essi assegnato.
L’assistenza sanitaria
Come abbiamo visto la salute delle persone dipende da moltissimi fattori di natura economica, sociale e ambientale. Non v’è dubbio, comunque, che i servizi sanitari abbiano un peso rilevante sul nostro stato di salute e che le scelte organizzative e gestionali debbano tener conto dei vincoli e delle opportunità legati alla transizione ecologica.
Il capitolo sulla salute si compone soprattutto di una serie di opere di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento delle grandi apparecchiature, e ad investimenti nel settore della digitalizzazione e della telemedicina. In estrema sintesi il Piano mette a disposizione un’ingente quantità di risorse per costruire e comprare. Tuttavia, gli interventi di ammodernamento strutturale e tecnologico dovrebbero essere preceduti da una chiara definizione degli scenari verso i quali si intende guidare lo sviluppo. In questo senso si dovrebbe porre particolare attenzione alla riduzione degli sprechi e alla promozione di interventi a basso impatto ambientale quali le attività di prevenzione, di promozione della salute e di assistenza sanitaria di base.
Rafforzamento della rete dell’assistenza territoriale
Si tratta certamente di un obiettivo molto importante considerato che vi è unanime consenso nel considerare l’assistenza sanitaria di base l’anello debole del nostro Servizio Sanitario Nazionale. I finanziamenti assegnati a questo capitolo (7 miliardi di euro) prevedono la realizzazione di: 2.564 nuove “Case di comunità”; 575 Centrali di coordinamento delle prestazioni di telemedicina a supporto dell’assistenza domiciliare e 753 presidi ospedalieri di comunità con funzioni di assistenza sanitaria intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero.
Destinare parte degli investimenti (in questo caso quasi tutti) per approntare nuove strutture sanitarie e per potenziare le tecnologie a supporto dei servizi territoriali non è sbagliato ma si dovrebbe spendere almeno qualche parola per chiarire quale tipo di organizzazione si vuole perseguire. Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso della pandemia, le modalità di organizzazione e di gestione dei servizi territoriali non sono estranee agli esiti di salute che si ottengono. A questo riguardo, per esempio, non si dice nulla sul ruolo dei medici di medicina generale che rappresentano il fulcro su cui costruire i servizi di assistenza alla persona. È ormai chiaro che senza modificare il loro rapporto di lavoro con il servizio sanitario (a cominciare dai nuovi inserimenti) integrandoli a pieno titolo nel lavoro d’équipe, e senza ridisegnare il loro percorso formativo non è possibile immaginare alcuna svolta innovativa nell’organizzazione dei servizi territoriali. Un obiettivo da raggiungere con gradualità e realismo ma di cui bisogna perlomeno iniziare a parlarne e a definire alcune fasi del percorso.
Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria
In questo settore oltre il 75% degli investimenti è destinato all’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero (3,41 miliardi di euro) e all’adeguamento alle normative sismiche degli edifici ospedalieri (5,6 milioni di euro).
Anche in questo caso gli obiettivi sono condivisibili, ma per contribuire all’effettivo miglioramento della qualità delle cure sarebbe bene dare anche qualche linea d’indirizzo (con relativi finanziamenti) sull’utilizzo appropriato delle tecnologie sanitarie, comprese quelle a valenza digitale. Infatti, uno dei problemi più rilevanti della medicina d’oggi è l’eccesso di prestazioni di scarso valore clinico, inutili e perfino dannose3 che rappresentano oggi una delle voci più rilevanti degli sprechi in ambito sanitario (20-30% della spesa complessiva)4.
Inoltre, non si fa alcun cenno al fatto che i servizi sanitari sono responsabili del 4,4% delle emissioni complessive di CO2 in atmosfera5 e che tale valore potrebbe essere almeno parzialmente ridotto, non solo eliminando le prestazioni inutili, come sopra precisato, ma anche utilizzando energie rinnovabili, riqualificando gli edifici dal punto di vista energetico (oltre che sismico), massimizzando il buon uso e il riciclo (quando possibile) dei beni di consumo, ottimizzando la produzione e la gestione dei rifiuti. Anche in questo caso sarebbe auspicabile prevedere qualche intervento con relativi finanziamenti.
Conclusione
La pandemia ci ha insegnato tre cose importanti: la salute non riguarda solo la medicina ma la vita in tutti i suoi aspetti; viviamo in un mondo iperconnesso dove siamo tutti interdipendenti; uomo e natura costituiscono un’unità indivisibile e la salvaguardia dell’ambiente è un problema prioritario che riguarda tutti.
Il Piano rappresenta un’opportunità irripetibile per rivedere il nostro modello di sviluppo e per guidarlo sulla strada del rispetto degli ecosistemi e della riduzione delle diseguaglianze, secondo l’approccio One Health. Il futuro delle nuove generazioni è affidato alla nostra sensibilità e alle decisioni che sapremo adottare per indirizzare gli investimenti in questa direzione.
Ridisegnare le città e la mobilità, utilizzare energie rinnovabili, sostenere un’agricoltura di prossimità, favorire la prevenzione e l’assistenza sanitaria territoriale, investire sull’istruzione e la cultura, limitare i consumi (anche quelli sanitari), promuovere comportamenti individuali rispettosi dell’ambiente e molto altro ancora sono ormai percorsi obbligati e nessuno può esimersi dal dare il proprio prezioso contributo7.
Note
1 The Lancet Commissions Health and climate change: policy responses to protect public health. Published Online June 23, 2015.
2 Hensher M, Zywert K: Can healthcare adapt to a world of tightening ecological constraints? Challenges on the road to a post-growth future. BMJ 2020;371:m4168.
3 Planetary Health.
4 Brownlee S, Chalkidou K, Doust J, et al: Evidence for overuse of medical services around the world. Lancet 2017;390:156-68.
5 OECD (2017), Tackling Wasteful Spending on Health, OECD Publishing, Paris.
6 Health care without harm.
7 Cambiamenti climatici e pandemie: cambiare prima che sia troppo tardi!.