Una buona decisione non è soltanto qualcosa di cui siamo intellettualmente soddisfatti perché abbiamo dimostrato abilità soppesando i pro e i contro. Una buona decisione è anche qualcosa che provoca in noi un piacere immediato per il semplice fatto di sentire che stiamo facendo la cosa giusta. Al contrario, la frustrazione e il rammarico prodotti dalle nostre cattive scelte non derivano soltanto dalle conseguenze negative che queste ultime determinano, ma anche da un disagio inerente al cattivo uso delle nostre risorse mentali.
(Sacha Gironde, La neuroeconomia. Come il cervello fa i nostri interessi, Il Mulino 2010)
Emozioni e capacità intellettive
Sappiamo, dai sempre più numerosi studi di questi anni nel campo delle neuroscienze, che se il nostro cervello subisce delle lesioni nelle parti dove vengono elaborate le emozioni, perdiamo la capacità di prendere decisioni - anche le più banali - e, contestualmente, perdiamo completamente il senso etico e morale delle nostre scelte. Perdiamo i criteri di riferimento in base ai quali compiamo le nostre azioni, anche le più semplici e ovvie.
Antonio Damasio in L’errore di Cartesio1 racconta la sua esperienza con un paziente, Elliot, il quale, a seguito di una malattia, aveva subìto delle lesioni cerebrali che rendevano ‘piatte’ le sue risposte emotive, nonostante le sue capacità intellettive fossero rimaste pressoché intatte: “Provate a immaginare quel che era accaduto: provate a immaginare di non sentire piacere quando contemplate una pittura che vi piace, o quando ascoltate uno dei vostri brani musicali preferiti. Provate a immaginarvi completamente privati di tale possibilità, e tuttavia ancora consapevoli del contenuto intellettuale dello stimolo visivo o sonoro, e consapevoli anche del fatto che una volta vi dava piacere. Sapere ma non sentire: così potremmo riassumere la infelice condizione di Elliot. (…) Cominciai a pensare che la freddezza del ragionare di Elliot gli impedisse di assegnare valori differenti a opzioni differenti, rendendo il paesaggio del suo processo decisionale irrimediabilmente piatto”.
È come se, senza la mediazione emotiva, la persona non fosse più in grado di imparare dal proprio passato, annullando completamente il valore dell’esperienza, pur mantenendo completamente attiva la capacità di comprensione di ciò che accade e la capacità di ricordare gli eventi vissuti. Inoltre, la capacità cognitiva slegata dal provare emozioni rende la riflessione laboriosa ed estremamente lunga, poiché vengono valutate tutte le alternative possibili soppesandone puntigliosamente i pro e i contro, senza tuttavia giungere non solo ad una decisione efficace, ma corretta. C’è quindi una inadeguatezza nei comportamenti pur in presenza della capacità di vedere le cose correttamente. L’assenza di emozioni inattiva la capacità regolatoria che queste hanno nel fronteggiare il presente per poter prendere le decisioni appropriate.
Le emozioni, lungi dall’essere un limite per la nostra razionalità e per i nostri processi decisionali, svolgono un ruolo essenziale nel processo di elaborazione ed interpretazione dei fatti, tra cui quello di rendere i ragionamenti maggiormente efficaci, quello di orientarci nei processi in base ai quali assumiamo delle decisioni e, infine, quello di svolgere un ruolo fondamentale nell’apprendimento delle convenzioni sociali e delle regole etiche che consentono di poter interagire in modo appropriato in ambito sociale. Le emozioni sono la bussola della nostra vita, un sistema di retroazione su ciò che percepiamo e su come agiamo, sia a priori che a posteriori.
Senza la possibilità di sentire, anche la capacità di prendere decisioni, sia nel breve che nel medio e lungo termine, viene a mancare. Qualunque decisione diviene ugualmente possibile, e ci lascia indifferenti se non è accompagnata da un sentire interno, una emozione che accompagni le nostre decisioni. L’aspetto emozionale del processo cognitivo non assicura certo il buon esito del processo: l’assumere decisioni appropriate o elaborare una strategia efficace dipende dal contesto in cui queste vengono prese e dalla storia passata di chi decide, ma a livello personale provare emozioni è fondamentale per la stessa capacità di agire coerentemente nel contesto in cui ci si trova.
Il “modello dell’Otto Magico”: emozioni ed esperienza incarnata
Francisco Varela ha studiato i sistemi senso-motori negli esseri viventi, dimostrando la circolarità tra ciò che sentiamo con i nostri sensi – toccando, guardando, ascoltando, assaggiando, odorando - e le azioni che compiamo. Le nostre azioni sono guidate dalle nostre percezioni e le azioni, a loro volta, retroagiscono sulle nostre percezioni, rendendole ‘reali’ attraverso l’esperienza di interazione. Questi circoli senso-motori diventano la sostanza della nostra esperienza corporea, incarnata (embodied) in noi.
La ricorrenza di questi schemi senso-motori consente l’emergere di strutture cognitive superiori - come la razionalità, la capacità immaginativa, l’analisi concettuale - che costituiscono la fonte per la comprensione intellettuale di ciò che consideriamo il nostro mondo. Varela, insieme ad altri studiosi, ha introdotto il concetto di embodied mind2, mente incarnata, per descrivere come tutto ciò che sentiamo e capiamo del mondo passi attraverso l’interdipendenza della duplice esperienza sensoria e motoria.
Alla circolarità senso-motoria di Varela è tuttavia a mio avviso fondamentale aggiungere le emozioni correlandole sia al sensorio che al motorio, trasformando il circolo senso-motorio in un doppio circolo – un doppio loop – regolato dalle stesse emozioni, che ho definito “Modello dell’Otto Magico”3. Una sorta di attrattore del nostro processo di apprendimento dall’esperienza incarnata regolato dalle emozioni.
Le emozioni divengono un segnale interno – positivo o negativo – rispetto ai nostri schemi senso-motori: ci fanno sentire se una data percezione ha valore positivo per noi oppure no, e se una data azione ha valore positivo per noi oppure no.
Ciò che regola gli schemi senso-motori sono quindi le emozioni, che creano un ponte per la comprensione intellettuale, razionale, riflessiva per le decisioni che accompagnano le nostre azioni.
Sono le emozioni che ci dicono immediatamente se ciò che percepiamo ci piace - facendoci avvicinare, fisicamente o interiormente - o se non ci piace - facendoci allontanare fisicamente o interiormente - determinando così le nostre azioni. E sono sempre le emozioni che, una volta agito, ci dicono se ciò che abbiamo fatto ci piace, rinforzandolo (lo farò ancora) o se non ci piace, smorzandolo (non lo farò più), modificando così le nostre percezioni. Diamo un significato, e quindi apprendiamo, attraverso questo doppio circuito regolato dalle emozioni, in cui ciò che ci ha fatto stare bene diventa un ‘sì’ che ci incoraggia ad agire, e ciò che ci ha fatto soffrire diventa un ‘no’, bloccando l’azione.
Abbiamo imparato a dare un significato alla parola ‘bruciare’ solo quando ci siamo avvicinati al fuoco scottandoci, e il dolore che abbiamo provato ci ha insegnato ad averne paura, trattenendoci dal rifarlo. Abbiamo imparato il significato della parola ‘prendersi cura’ quando qualcuno si è preso cura di noi, e sappiamo cosa si prova ad essere amati e protetti da qualcuno, e siamo così in grado, a nostra volta, di farlo con amore e tenerezza.
Senza un sentire, senza una bussola che ci guidi verso ciò che ci piace – un buon profumo, un cibo che amiamo - o che ci allontani da ciò che non ci piace – un suono che ci spaventa, un odore che ci infastidisce – come possiamo decidere cosa fare seguendo dei criteri unicamente razionali? Le emozioni che proviamo diventano la matrice della nostra esperienza.
‘Sentire’ ha quindi un duplice aspetto: sentire con i sensi che diviene sentire con le emozioni, e viceversa. Spesso dimentichiamo questo doppio loop che lega i nostri sensi alle nostre emozioni e che ci porta ad agire, prendendo decisioni che sono in accordo con il nostro duplice sentire.
C’è tuttavia ancora un terzo aspetto legato al sentire: il dare un ‘senso’ a ciò che facciamo o che altri fanno e che diviene per noi il significato che diamo a ogni momento della nostra vita, trasformandosi nella nostra esperienza, nella nostra storia personale, nella nostra stessa vita. È un processo continuo che cerca di rendere coerente ciò che percepiamo attraverso i nostri sensi con ciò che sentiamo a livello emozionale. Solo se riusciamo a sentire questa coerenza stiamo dando un significato alla nostra esperienza, facendo emergere un mondo: il nostro mondo. Come afferma Francisco Varela, “mente e mondo sorgono insieme”, in un processo di co-definizione della circolarità del vivente.
Note
1 Antonio R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi 1995.
2 Eleanor Rosch, Evan Thompson, Francisco Varela, The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, The MIT Press, 1991, 2016.
3 Marinella De Simone, Dario Simoncini, The 'Magic Eight Model'. The Enactive Approach of Francisco Varela and the Generative Learning Circle, in Methods, Models, Simulations And Approaches Towards A General Theory Of Change - World Scientific Publishing Co, 2012.