Non capita tutti i giorni di imbattersi in un’opera che tratti un aspetto fondamentale, eppure poco conosciuto, di Vincent Van Gogh. Lo splendido volume I Libri di Vincent (appena pubblicato da Johan & Levi) ci ha dato modo di scoprire ulteriori aneddoti che hanno portato alla compilazione di un lavoro così minuzioso. In questa piacevole chiacchierata, Mariella Guzzoni ci illustra l’imprescindibile legame che Vincent instaurò con arte e letteratura.
Il suo libro tocca un aspetto intimo ed inusuale nella vita di Van Gogh. Com’è nata l’idea della stesura e quali sono state le sfide affrontate, durante la ricerca?
L’idea di un libro dedicato alle passioni letterarie di Van Gogh ha preso forma man mano, nei miei anni di studio. Leggendo e rileggendo le sue lettere (ne abbiamo 820 scritte da lui e purtroppo solo 83 ricevute, il resto è andato perduto), ogni volta scopri qualcosa di nuovo, e ti vengono nuove idee, che però magari devi accantonare, perché in quel momento stai mettendo a fuoco un altro aspetto della sua opera. Ecco, per me è andata così. Mentre lavoravo a uno studio su tutti i suoi autoritratti, sono rimasta colpita dai commenti letterari, che sono tantissimi. Vincent parla molto spesso di libri, soprattutto con il fratello Theo e gli amici pittori. Ma anche con la sorella più piccola, Willemien. E allora emerge con chiarezza che è stato un avido lettore, per tutta la vita. Una vita complessa e tormentata, certamente – ma i libri sono proprio quell’aspetto che non manca mai, a prescindere dalle diverse carriere che ha intrapreso. Un vero fil rouge nella sua breve esistenza. Ecco, l’idea nasce da questo: dissotterrare un aspetto poco esplorato della sua figura per raccontare un nuovo Vincent, e restituirgli quello che il mito arte-follia gli ha tolto.
Lavorare su Van Gogh è sempre una grande sfida. La letteratura è sterminata, e la ricerca scientifica recente sui suoi metodi di lavoro ha aperto nuovi orizzonti. Vi sono stati convegni molto importanti ad Amsterdam negli ultimi dieci anni, nei quali sono stati presentati risultati sorprendenti, che bisogna conoscere. La fonte più preziosa, ricca di spunti e di notizie, è sicuramente la nuova edizione delle lettere presentata nel 2009, disponibile online e in una pubblicazione in sei volumi, frutto di quindici anni di lavoro dei ricercatori del Van Gogh Museum.
E allora in questo studio ho cercato di intrecciare i libri, la vita e l’opera in un nuovo percorso, per dar significato alla bellissima frase che Vincent scrive al fratello nel 1883, dall’Aia: “I libri la realtà l’arte sono una cosa sola per me”.
Un’altra sfida è stata quella di raccogliere nel corso degli anni i libri che Van Gogh leggeva, nelle varie edizioni dell’epoca. Per studiarli ma anche per scoprirne l’aspetto visivo. Le immagini che lo hanno ispirato. Vincent era attentissimo alle illustrazioni, e nella mia ricerca presento molte novità. È stato un lungo percorso, davvero entusiasmante, quando trovi un’immagine e intuisci che è stata fonte di ispirazione per lui, è un momento davvero speciale. In questi anni, ho avuto la fortuna e il privilegio di confrontarmi costantemente con alcuni ricercatori del Van Gogh Museum, e questo è stato molto importante per me. Ad Amsterdam confluiscono tutte le ricerche su Van Gogh ed è solo così che si può essere sicuri che quello che hai trovato non è stato detto o visto prima. Non solo, ma hai il conforto della validità delle tue ricerche.
Le letture lo accompagnarono tutta la vita. Cosa può dirci del loro evolversi col passare degli anni?
Le letture di Vincent vanno in parallelo con la sua analisi della realtà, naturalmente anche in relazione all’occupazione di quel momento: mercante d’arte, predicatore, pittore. Beh, alcuni autori hanno avuto un ruolo molto importante per lui – un ruolo anche di guida, veri maestri, padri … a volte le sue letture sembrano proprio anticipare le grandi scelte della sua vita.
Poi, da pittore, Vincent si rivedeva a specchio negli autori più amati. Si sentiva in perfetta sintonia. Vi trovava le sue stesse idee, le sue convinzioni. Ci sono bellissimi esempi anche tra gli autoritratti, alcuni di questi riflettono proprio le sue ispirazioni letterarie. Ecco, ho cercato di raccontare tutto questo.
Quello che mi ha molto colpito nella mia ricerca è quel senso di ‘fertilizzazione’ che ne risulta, tra le letture e le opere. Ma non solo. C’è anche un aspetto concettuale di fondo, la statura etica e morale dei suoi autori preferiti. C’è l’idea di un’arte per tutti, comprensibile a tutti, come I canti di Natale di Dickens e La capanna dello zio Tom di Beecher Stowe, due libri fortemente politici e di denuncia, ma, alla portata di tutti. Per questo Vincent li immortala del famoso dipinto L’Arlésienne, che ripete ben quattro volte, a Saint Rémy, nel 1890. L’arte per la gente, un credo per Van Gogh, in pittura come in letteratura.
Lei ha organizzato due mostre in merito. In che modo pensa che i volumi da lui posseduti possano far luce su di un’intera era agli occhi dello spettatore/lettore contemporaneo?
Sì, è così, ho organizzato due mostre alla Biblioteca Sormani di Milano. La prima nel 2015, in occasione della mostra Van Gogh. L’uomo e la terra a Palazzo Reale. La seconda nel 2017, quando, sempre a Palazzo Reale, vi era una mostra su Hokusai, Hiroshige, Utamaro, i maestri del Mondo Fluttuante amati da Van Gogh. Beh, la Sormani era il luogo ideale per presentare queste mie prime riflessioni. La risposta del pubblico è stata entusiasta. La Sormani è un porto di mare, è frequentata da persone di tutte le età, da studenti a ricercatori e normali cittadini. Che io sappia, non sono mai state fatte mostre su Van Gogh di soli libri… e questo ha creato molta curiosità, una sorta di sorpresa iniziale. Le luci erano puntate sulle edizioni dell’epoca presentate in bacheche, accompagnate dalle lettere di Vincent che le commentavano. C’era tanto da leggere, ma l’interesse del pubblico mi ha molto stimolato a continuare.
E poi vi sono tesori dimenticati tra le illustrazioni dei romanzi dell’Ottocento, sia inglese che francese. Pensiamo, per esempio, a Charles Dickens, a George Eliot, a Pierre Loti o Alphonse Daudet… le loro opere erano illustrate da immagini bellissime che Vincent osservava nei minimi dettagli. Per non parlare della rivista inglese The Graphic che aveva tra i propri collaboratori gli illustratori più talentuosi del tempo, del Realismo sociale anglosassone, come Luke Fildes, Frank Holl e Hubert Herkomer e molti altri.
Vincent apprezzava e seguiva questo settimanale già a vent’anni, quando lavorava a Londra alla galleria d’arte della Goupil & Co. Più tardi, nel 1882 all’Aia, da pittore, se ne innamora definitivamente al punto che ne acquista dieci annate. Una raccolta di ventun volumi. In quel periodo aveva in mente di diventare illustratore. Nella mia ricerca ho esaminato oltre dieci annate del* Graphic* sia a Londra che ad Amsterdam perché tra l’edizione inglese e quella internazionale vi sono piccole differenze. Anche alla Biblioteca Sormani sono conservate molte annate di volumi del Graphic. Sono affascinanti ancora oggi sotto molti aspetti… L’idea di accompagnare le notizie con delle illustrazioni è una conquista della metà dell’Ottocento, dall’Illustrated London News nel 1842, seguito a ruota da tutti i giornali d’Europa. Van Gogh ha vissuto in un’epoca di grandi cambiamenti non solo nelle tecniche di stampa ma anche nella straordinaria diffusione del romanzo, nella funzione stessa della lettura, e nel rapporto tra lettore e autore. Una vera ‘rivoluzione silenziosa’ che Vincent ha attraversato e vissuto intensamente, esprimendola anche nella sua opera. La Liseuse de romans, per esempio, La lettrice di romanzi, del 1888, è un quadro emblematico, modernissimo.
Che peso ebbero i libri nella corrispondenza col fratello Theo?
Le letture dei libri, dei giornali e delle guide d’arte sono state per i due fratelli un motivo di confronto continuo. Si scambiavano i libri e ne discutevano nelle lettere, ed è così che abbiamo un materiale vastissimo su cui lavorare. Vincent aveva una mente molto ‘visiva’, e questo lo portava spesso a rivedere i personaggi dei romanzi nella realtà di tutti i giorni, che citava a Theo per spiegare qualche fatto della sua giornata, ben sapendo che il fratello l’avrebbe capito al volo. Per fare un esempio ironico, e intimo, nel maggio 1888, da Arles, Vincent gli scrive scherzando su quanto gli fosse difficile convincere le donne provenzali a posare per lui, e aggiunge: “Non mi sento abbastanza un signor Bel-ami per questo”. Il riferimento è al romanzo Bel-Ami di Guy de Maupassant. Purtroppo, non abbiamo molte lettere di Theo, Vincent non le conservava (se non nell’ultimo periodo), e non sappiamo come rispose a questo commento del fratello.
Vincent sarà ancora al centro di futuri progetti?
Sì, è possibile... vedremo. L’opera di Vincent offre infiniti spunti di riflessione, sotto molteplici aspetti, e quando lo studi da tanti anni è difficile staccarsi, la mente continua a lavorare. Lo studio dell’epistolario e la ricerca scientifica hanno un ruolo molto importante per tornare a guardare al genio olandese con occhi sempre nuovi.