Anche se ne avessi avuto la possibilità, non mi sarebbe mai passato per la testa di scegliere, come professione, quella dell'insegnante. Mi affascina, ed a buona ragione, il rapporto con i più giovani, verso i quali spendere sino all'ultima stilla di energia per aiutarli a rendere il mondo migliore. Ma sono convinto che per certe cose bisogna avere una predisposizione che, confesso, a me manca.
A consigliarmi di non pensare all'insegnamento, così come - aggiungo, nella speranza di non fare ridere nessuno - alla carriera in magistratura o il sacerdozio, è stato il pensiero che per giudicare da docente una persona devi sapere mischiare le esigenze della scuola (innanzitutto quella precipua di formare) con la necessità di tendere una mano a chi è più debole, a quelli che un tempo venivano superficialmente etichettati come coloro che "non ce la fanno".
Quindi, proprio per questo ragionamento, mi rendo conto di quale immane compito sia stato affidato agli insegnanti in questo periodo in cui la scuola è un concetto astratto, dovendo i nostri ragazzi studiare, apprendere, rispondere non guardando, come è giusto, negli occhi il loro o la loro insegnante, ma un algido schermo che per sua natura è la più alta barriera per la trasmissione del sentimento che sta dietro ad un pensiero, che si può descrivere, ma solo parzialmente se non si possono leggere, guardandoli negli occhi, gli interrogativi dei nostri ragazzi.
Per questo il mio pensiero è andato spesso, di recente, alle figure di insegnanti che la letteratura o il cinema hanno messo al centro delle loro storie. Docenti non sempre dolci e comprensivi, ma che erano tali anche per il contatto diretto con i discenti, facendo quel che fanno i nostri professori: dialogano e non affidano solo ad uno strumento il compito di fare comprendere quel che vogliono dire di un poeta, di uno scienziato, di una espressione matematica, di un miscuglio di elementi chimici.
Cerco di spiegarmi riferendomi ad un film che parla di scuola (ma ce ne sono parecchi altri: solo per citarne qualcuno Mona Lisa Smile, Entre le murs, Will Hunting, Il club degli imperatori) che è stato catalogato tra i cento migliori mai girati, arrivato in Italia con il titolo de L'attimo fuggente.
Il protagonista, il professore John Keating (interpretato da un meraviglioso Robin Williams) instaura un rapporto strettissimo con la sua classe, fatta da adolescenti in cerca, più che di esempi da seguire, di una identità. Tutti conoscono il film, ma pensate solo a come Keating avrebbe potuto fare metabolizzare, nella mente di quei ragazzi, il piacere quasi fisico della lettura, l'amore, simile a quello carnale, della poesia se avesse dovuto sottostare alla schiavitù della didattica a distanza. Credete, trasferendo la finzione filmica nella realtà, che la frase cardine del film, "cogliete l'attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita", avrebbe avuto lo stesso sconvolgente impatto se fosse venuta da uno schermo?
Il dramma che la scuola italiana (ma anche in altri Paesi la situazione è eguale) sta vivendo, rischia di cancellare due anni nella formazione dei nostri ragazzi. E ritenete che questa condizione non peserà in chi dovrà giudicarli? Il rischio (che poi rischio non è proprio) è che si riproponga quanto accadde alla fine della Seconda guerra mondiale quando, mentre ancora dalle ferite del conflitto sgorgava il dolore, i professori preferirono aiutare gli allievi o gli studenti, chiudendo un occhio - ed anche l'altro - davanti ad evidenti vuoti nella preparazione.
Il buonsenso, ecco di cosa parlo, che dovrebbe essere alla base di ogni comportamento umano in questo caso dovrebbe essere prevalente. Non nel senso di promozioni automatiche, ma solo di capire l'irrealtà della condizione che sta vivendo la scuola, così come altri settori, ma con il particolare importante che, a quelli che oggi studiano o tentano di farlo, noi affideremo il futuro del Paese.
Cerchiamo, almeno in questa maledetta contingenza, di pensare che ne usciremo solo se uniti da un obiettivo comune: aiutare i nostri ragazzi, gli uomini e le donne di domani, a non maledire il loro passato.