Ciò che è accaduto a Washington il giorno dell’Epifania ha un’importanza che supera largamente quella che è stata la conclusione disperata e scomposta della presidenza Trump per assumere un significato più generale che riguarda tutte le democrazie dell’Occidente.
Chi fosse Trump, quale la sua personalità narcisista e intollerante, capricciosa e provocatoria, era ben noto sin dalla sua elezione, personalità sulla quale era sorta una copiosa e diffusa saggistica. Quello che avvenne non fu frutto di improvvisazione; al contrario era stato preparato dal presidente in carica, appena si era avuta notizia della sua sconfitta elettorale alle elezioni di novembre e della vittoria del candidato del partito democratico Joe Biden. Trump mise subito in discussione il risultato, lamentando rumorosamente l’esistenza di brogli elettorali, di furto della vittoria. Il tutto con particolare insistenza, rifiutando il riconoscimento della vittoria dell’avversario, nonostante fosse certa e indiscutibile. Il tentativo di metterla in discussione attraverso ricorsi giudiziari fallì clamorosamente non essendo egli in grado di produrre alcuna prova a sostegno delle sue accuse. Questo non gli impedì di proseguire nella martellante ripetizione di una notizia ormai accertata come infondata e falsa, nella convinzione che ripetere un’accusa possa servire a renderla credibile davanti al suo fedele elettorato.
La data dell’insediamento del nuovo presidente era ormai prossima. Si arriva così alla vigilia dell’Epifania, giorno nel quale il Congresso avrebbe dovuto proclamare la vittoria di Biden e Trump ritenne che quella proclamazione dovesse essere impedita ad ogni costo e, comunque, ritardata il più possibile. Con un appello pubblico, egli invita i suoi sostenitori a “marciare” (il termine rimanda ad altre marce nostrane, che si conclusero con la dittatura fascista) sulla capitale e sul Congresso. Quello che accadde a questo punto è noto: difesa solo apparente dell’edificio del Congresso, mancata predisposizione di sbarramenti idonei, casi di agenti di polizia che fraternizzano con i dimostranti (addirittura si verifica la presenza di un agente di polizia tra i sediziosi), invasione degli uffici, con episodi di saccheggio e devastazione, esplosione di armi da fuoco. I componenti del Congresso furono costretti ad abbandonare l’aula e solo dopo alcune ore avvenne lo sgombero. Cinque le vittime, quattro dimostranti e un agente di polizia.
L’obiettivo di quell’assalto era il palazzo del Campidoglio, sede del Congresso, tempio della democrazia americana, composto da Camera bassa (Camera dei rappresentanti) composta da 435 membri eletti a suffragio universale e Camera alta (Senato) composta da 100 membri, due per ognuno dei cinquanta Stati, indipendentemente dal numero degli abitanti. I due rami del Congresso hanno i medesimi poteri e dunque si è in presenza di un bicameralismo perfetto. Il Congresso, che quel giorno era riunito in seduta plenaria per proclamare la vittoria di Biden a nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, era evidentemente ritenuto l’ostacolo principale alle ambizioni di un aspirante dittatore, emulo dei golpisti sudamericani delle repubbliche delle banane, come Mike Gallagher, rappresentante repubblicano, sostenitore di Trump, ebbe a ricordare subito dopo l’assalto. Nel contesto di radicale populismo, di sovranismo impregnato di razzismo, di disprezzo per gli esponenti democratici, era stata costruita la teoria del complotto ordito da una rete di pedofili contro Donald Trump.
È la teoria dell’estrema destra, QAnon, secondo cui esisterebbe una trama segreta organizzata da un non meglio precisato Deep State, ovvero, poteri occulti che tramerebbero contro il presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump. Vaneggiamenti che raccolgono vasti consensi, che si traducono, come si è visto il 6 gennaio in manifestazioni sediziose, eversive. Ad accrescere il timore di un vero e proprio golpe, contribuisce sia la accurata e anticipata preparazione di quella manifestazione che lo stesso Trump aveva sollecitato e organizzato sin nei particolari, sia l’adesione di vasti settori dei cosiddetti tutori dell’ordine pubblico, inclusi membri della polizia locale. Come, è stato sottolineato da tutti i commentatori e dal nuovo presidente Biden, se quei disordini fossero stati opera di manifestanti neri, la repressione poliziesca sarebbe stata durissima. Non è una novità, non solo per gli Stati Uniti. In Italia, negli anni 1919-1920, che precedettero la marcia su Roma, i disordini, le violenze, le aggressioni, gli omicidi, compiuti dalle squadracce fasciste avvennero nell’inerzia di Carabinieri, Polizia, Esercito, oltre che della Magistratura e della Monarchia, così da favorire l’affidamento della guida del Governo a chi quei disordini aveva organizzato e gestito.
Tornando al tentato golpe dell’Epifania, membri della polizia aprirono le barriere, invitarono i dimostranti a varcarle liberamente, spaccare le vetrate, entrare nell’aula, interrompere i lavori che erano già in corso, saccheggiare e distruggere le carte, gli arredi. Il leggio della Presidente Nancy Pelosi venne portato via come bottino di guerra… Non solo, molti poliziotti non in servizio si mossero da ogni parte d’America per partecipare alla manifestazione, ovviamente dalla parte dei sostenitori del presidente.
La storia insegna che i colpi di Stato avvengono di regola contro i governi in carica e in Italia abbiamo avuto esperienze recenti: Junio Valerio Borghese nel 1970, Edgardo Sogno e il generale De Lorenzo nel 1974. Quello dell’Epifania in USA del 2021 avviene invece ad opera del Presidente uscente, ancora in carica sino alla data del 20 gennaio. Si è davanti ad un precedente gravissimo che, da una parte, mostra la possibilità che anche la più potente democrazia del mondo può essere messa in pericolo ad opera di chi dovrebbe rappresentarla e difenderla; dall’altra, dimostra che anche in casi del genere, le istituzioni democratiche sono in grado di reagire con efficacia, prontezza e determinazione.
Nella storia del ventunesimo secolo, in molti Paesi europei, anche di democrazia occidentale, si sono avute presenze di partiti e movimenti vicini all’estrema destra dalla Francia, alla Germania, all’Austria, all’Italia (nella quale, caso unico, sono arrivati ad avere incarichi di governo!). Al fondo della loro ideologia populista sta il rapporto diretto tra popolo e potere politico, senza intermediazioni parlamentari, sindacali, e di altri corpi intermedi, oggi facilitati dall’uso diffuso dei social, come Facebook, Twitter e simili (dei quali Trump faceva largo uso). Dal populismo al sovranismo il passo è breve e in qualche modo inevitabile. Si passa così dal motto “uno vale uno”, al proposito di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, alla esplicita richiesta di “pieni poteri”. Il sovranismo, a sua volta, si nutre di culto dell’identità nazionale religiosa ed etnica, con conseguenti manifestazioni di razzismo, intolleranza, chiusura autarchica.
Per concludere, il tentativo di Trump di ostacolare il corso della democrazia negli Stati Uniti potrebbe costituire un esempio e un monito. Il fallimento di quel tentativo, goffo ma non per questo meno pericoloso, e certamente non definitivo, ha scoraggiato aspiranti imitatori e segnato la fine politica di chi ne era stato il protagonista. I referenti italiani di quel presidente sono stati costretti a prenderne le distanze con palese imbarazzo. La democrazia ha vinto, ma la destra eversiva non si arrenderà.
Di recente l’FBI ha lanciato un allarme: tutti i Parlamenti dei 50 Stati Usa sarebbero bersagli di altrettanti “attacchi armati” da parte di milizie dell’estrema destra, in un’offensiva che può colpire dal 16 al 20 gennaio. Un bis dell'assalto al Congresso di Washington, esteso su scala nazionale. La notizia è riferita dalla CNN che ha diffuso per prima un comunicato ufficiale della polizia federale. L’FBI non esclude neppure il rischio di un attentato contro Joe Biden, teso a eliminare il presidente-eletto prima ancora che possa assumere i poteri con l’Inauguration Day del 20 gennaio 2021. Anche la Presidente del Congresso, Nancy Pelosi sarebbe personalmente minacciata, così come altri membri del Congresso. L’FBI ha cominciato ad avere un quadro aggiornato dei piani delle milizie di estrema destra a partire dall’8 gennaio, due giorni dopo l’assalto al Congresso di Washington. L’offensiva pianificata è ancora più a vasto raggio di quanto si credeva. Le trame delle milizie includerebbero tutte le Capitol Hill d’America, cioè le sedi dei Parlamenti dei singoli Stati. Se Trump richiama l’esistenza di complotti in suo danno, è vero invece che è proprio lui a porsi a capo di un “complotto contro l’America”. Il termine richiama il titolo di uno dei romanzi di Philip Roth, il grande scrittore americano, nel quale immagina che alle elezioni presidenziali del 1940, Roosevelt viene sconfitto da Charles A. Lindberg, eroe della trasvolata dell’Atlantico, antisemita e filonazista, che smette di appoggiare Francia Regno Unito e si allea con Hitler nella guerra appena iniziata. Gli scrittori a volte anticipano la realtà, perché nessuno scenario è impossibile e quello che è avvenuto a Washington il giorno dell’Epifania ne è la drammatica dimostrazione, oltre che richiamo per le democrazie europee.