I francesi, dopo la sconfitta di Napoleone, si ritirarono dall’Egitto, il Paese ritornò sotto il governo Turco e Mohamed Ali ottenne, tramite pagamento annuo, l’investitura perpetua col titolo di Pascià, con diritto di trasmetterla ai suoi discendenti sotto la sovranità nominale della Turchia, tutto questo accadeva nei primi anni del 1800. Bloccato da anni di immobilismo feudale, con Mohamed Ali, si voleva fa tornare l'Egitto agli apici culturali come nel periodo faraonico e per raggiungere questo obiettivo scelse l'Italia, patria riconosciuta di quella cultura secolare che attraversava tutti i campi dello scibile umano.
Si avvalse di architetti italiani per progettare e costruire la maggior parte dei suoi palazzi, oltre che molti quartieri periferici del Cairo.
L’emigrazione italiana in Egitto fu in primo luogo avviata dagli israeliti di Toscana, in special modo da Livorno. Gli ebrei livornesi godevano infatti di ampi privilegi, primo tra tutti avevano il ghetto aperto e l'immunità granducale, tant'è che in Livorno intorno al 1700 erano di proprietà ebraica quattro fabbriche di sapone, si gestivano commerci di stoffe, c'erano importatori di storione salato e caviale, rigattieri per rifornire soldati, marinai e forestieri e un grande filatoio di seta. Tra i mercanti c'erano anche produttori di tabacco da naso profumato secondo l’uso sivigliano (molti ebrei giungevano infatti dalla Spagna), un mercante di schiavi ed un importatore di vettovaglie dall’arcipelago greco. Erano di proprietà di ebrei fabbriche per la lavorazione del corallo che esportavano il prodotto finito in India, in Russia e in Cina, ottenendo come contropartita pietre preziose. La sinagoga, costruita nel 1591, era una delle più belle d'Europa, questa divenne tappa obbligatoria delle visite ufficiali e considerata uno dei più splendidi monumenti religiosi della Diaspora europea. È facile capire che gli ebrei livornesi erano ricchi e privilegiati, pronti a dare quindi impulso all'impiantare attività commerciali in questo Egitto che aspirava a competere con le grandi nazioni.
Poi vennero in Egitto, fin dal 1821 gli esuli politici, in gran parte massoni, che vi trovarono tranquillo asilo e costituirono un’élite di professionisti, tecnici, militari e artisti, che ebbe una notevole importanza nel processo di modernizzazione voluta da Mohammed Ali per la trasformazione dell’Egitto in uno stato moderno. A questo gruppo appartenevano anche molti giovani, studenti e professionisti, che cominciarono a collaborare in qualità di ingegneri e architetti, medici e ufficiali, e anche come semplici operai. Contribuirono alla costruzione dell’esercito egiziano, alla ricostruzione delle città, all’organizzazione del sistema postale e del catasto. Un esempio: all’inizio del XIX secolo un architetto italiano costruì la piazza dei Consoli ad Alessandria e alla fine dello stesso secolo un professore di economia dell’università italiana fu inviato a riorganizzare il sistema finanziario egiziano.
La seconda ondata di immigranti italiani in Egitto fu mossa invece da ragioni prettamente economiche. Tra la fine del XIX secolo fino agli anni successivi alla Prima guerra mondiale. Questi nuovi italiani d'Egitto erano principalmente operai e contadini, ed anche se la maggior parte di loro erano persone oneste, tra queste non mancarono certo gli avventurieri. I nuovi emigranti, oltre a lavorare nell’industria delle costruzioni, nella Compagnia del Canale di Suez, il cui progetto porta la firma dell'ingegnere italiano Francesco Negrelli, o le donne, come cameriere; aprirono negozi, ristoranti, alberghi e trovarono lavoro come impiegati nelle ditte italiane e straniere. Quasi nessuno di loro aveva intenzione di tornare in patria, qua la paga era il doppio ed inoltre erano assistiti da organizzazioni benefiche italiane.
La comunità italiana era la più antica comunità europea in Egitto e la più amalgamata e contribuì in modo determinante alla costruzione dell’Egitto moderno.
All’inizio del secolo, su 37 imprese di costruzioni, 11 erano italiane. La struttura di questa comunità era in grado di garantire dall’imbianchino al decoratore, dal falegname allo scalpellino, come una società di mutuo soccorso applicata alle professioni, e se i greci dominano nella ristorazione, i siriani e gli ebrei nel commercio, gli italiani avevano monopolizzato l’urbanistica.
L’apertura del Canale di Suez fu inaugurata al Cairo con il Rigoletto ed il cinematografo in Egitto fu portato dai nostri conterranei che per primi inserirono i sottotitoli in arabo e introdussero il sonoro.
La comunità italiana in Egitto crebbe con il passare degli anni e se nel 1820 erano 6.000 persone, nel 1870 erano 16.000, nel 1897 24.454, nel 1907 crebbero a 34.926 fino al 1927 che raggiunsero il numero di 52.462, la seconda comunità in Egitto per numero dopo la Grecia. Ed il bello degli italiani d'Egitto era che, questi rappresentavano tutti i livelli sociali e quindi erano perfettamente amalgamati con la società locale. Gli italiani a differenza degli inglesi non si approcciavano con superiorità ma con lo spirito collaborativo a costruire una società moderna e per questo erano apprezzati. Soldati, uomini d'affari, scrittori, scienziati, intellettuali, ricercatori e molti artigiani provenienti dal Granducato di Toscana lavoravano apportando nozioni e conoscenze.
Alessandria essendo il porto più importante del Mediterraneo impiegava essenzialmente italiani nella movimentazione dei prodotti e nel costruire la flotta egiziana. Tanta era la fiducia nelle capacità italiane che nel 1830, Mohammad Alì acquistò le navi militari a Livorno dopo aver chiuso con gli ordini nel resto d'Europa per la guerra egizia-ottomana, tant'è che il sultano in Istanbul si risentì contro il Gran Duca di Toscana per aver fornito le navi militari al Viceré d'Egitto. Nel periodo tra il 1825 ed il 1828, tramite il commerciante livornese Dionisio Fernandez, il costruttore Luigi Mancini riuscì a vendere alcune navi a Muhammad Ali. Queste, una fregata, un vascello e una corvetta con ventisei cannoni, “La città di Navarino”, uscivano dal cantiere navale di Livorno in direzione di Alessandria battendo bandiera Toscana fino al loro arrivo in Egitto.
Livorno, vuoi per la caratteristica di ospitare gente di ogni dove ed aver quindi grazie all’integrazione multirazziale, aver espresso competenze e capacità difficilmente trovabili altrove, fu origine di personaggi e persone che in Egitto lasciarono tracce indiscusse. Ma fu anche terra di approdo di reperti antichi che giungevano dalla terra dei Faraoni. Al porto di Livorno cominciavano ad arrivare le grandi collezioni di antichità destinate a formare ed arricchire i musei europei e italiani, la collezione Drovetti, Salt, Anastasy, Nizzoli. Le collezioni sostavano nei magazzini anche per lunghi periodi in attesa di acquirenti, suscitando l'attenzione e la curiosità dei livornesi. La collezione Drovetti, che fu acquistata dal re di Sardegna nel 1824, era arrivata a Livorno già nel giugno del 1818, deposta in due magazzini del negoziante ebreo Morpurgo, e l'ormai celebre Champollion entrò a far parte della vita culturale livornese con la sua elezione (il 2 aprile 1826) a "socio corrispondente" dell'Accademia Labronica.
Ippolito Rosellini, professore di Lingue Orientali nell'Università di Pisa, acquistava reperti egizi per il Granduca come è testimoniato dalla lettera che scrive alla moglie: “Ho appena comprato per il Granduca una deliziosa collezione egiziana, quella del Sign. Nizzoli". Rosellini comprò una cinquantina di pezzi, dal medico livornese Chiurca in Alessandria, il più notevole dei quali un sarcofago in calcare, scolpito con geroglifici e con figure all'interno e all'esterno, che era stato estratto anni prima a Saqqara, dal pozzo principale della tomba rupestre di Bakenrenef, visir di Psammetico I. Le casse con le antichità scavate e acquistate sul mercato d'Egitto arrivarono a Livorno il 22 dicembre 1828 sulla nave sarda Cleopatra.
Da Livorno giunsero altri due illustri italiani che contribuirono alla modernizzazione dell'Egitto, Carlo Meratti che creò il primo servizio postale ad Alessandria, sviluppato poi dal nipote Tito Chini il quale successivamente fece entrare nel servizio postale, chiamato Posta Europea e gestito in italiano, anche Michelangelo Bellandi (nipote), livornese, padre di quell’Ernesto Bellandi famoso medico di Alessandria. John Nicky Chini, appartenente alla famiglia, poi nel 1920, tornerà in Italia per fondare uno splendido atelier di cravatte in Corso Sempione a Milano. Lorenzo Masi anch'esso livornese, invece fondò il catasto. La fonderia Fratelli Gambaro di Livorno vantava grande fama e lavorava non solo in tutta Italia ma anche all’estero, il lavoro dei Gambaro si trovava anche nelle cancellate del palazzo del Viceré d’Egitto.
Artisti, architetti e ingegneri migliorarono l'aspetto del Cairo e di Alessandria rendendoli più efficienti e figure come Alfonso Maniscalco, Prosperi, Aldo Rossi, Alessandro Loria disegnarono il palazzo di Giustizia, realizzarono l'Ospedale Anglo-Americano, la moschea di Abu-Al-Abbas, ed una serie di palazzi rispettivamente ad Alessandria. In molti altri settori gli italiani impressero il loro stile mediterraneo finanche la lingua italiana divenne parlata nel governo e nei progetti innovativi, come pure era la lingua dei consoli e del commercio, era usato anche tra la popolazione così che era capito anche da molti egiziani. Anche il fatto che molti giornali italiani venivano stampati nella metà del 1800, contribuì a diffondere la conoscenza della lingua.
Anche nel campo dell'archeologia, gli italiani Bernardino Drovetti e Giovan Battista Belzoni, dettero un importante aiuto alla comunità scientifica grazie al rinvenimento della tomba del Faraone Seti I nella valle dei re e di altre testimonianze del periodo faraonico tra la parte sud dell'Egitto e l'oasi del Fayyum. Sul finire del XIX secolo scuole italiane vennero aperte ad Alessandria ed al Cairo anche grazie a contributi economici da parte del Viceré. Questa stretta relazione tra Italia ed Egitto portò molti italiani a sentire questa nazione come la loro seconda casa.
La situazione però cambiò drasticamente con l'avvento del Fascismo in Italia, agli egiziani non piacque l'atteggiamento né lo stile così diverso dai loro predecessori liberali. Il fascismo si infiltrò in ogni settore, dal lavoro, alla vita sociale finanche religiosa. Le autorità britanniche tollerarono tutto ciò fintanto che le relazioni politiche tra i due Paesi rimasero buone. Ma l'attacco italiano all'Etiopia fece precipitare la situazione e gli italiani furono considerati dagli inglesi pericolosi, parallelamente l'accordo siglato anglo-egiziano portò ad un nazionalismo che mal si confaceva al precedente liberalismo che apriva le porte ai nostri connazionali. Gli inglesi predisposero il piano Tombak, questi prepararono liste di persone indesiderate da arrestare in caso di pericolo, la goccia che fece traboccare il vaso fu di fatto la dichiarazione di guerra di Mussolini ed il piano inglese nella notte tra il 10 e l'11 giugno 1940 fu attuato. Il collaborativo rapporto tra Italia ed Egitto era compiuto, niente di ciò che era stato adesso era più possibile. Ci furono rientri di massa in Italia, lasciando in terra egiziana, lavoro, proprietà e affetti. Decine di migliaia di italiani hanno vissuto e lavorato lasciando tracce indelebili in quello che è l'Egitto moderno. Molti di loro erano di Livorno, e solo a Livorno grazie alle leggi livornine emanate dal Granduca Ferdinando I de' Medici per realizzare una città modello, unico esperimento multietnico rinascimentale, si potevano trovare allo stesso modo che in Egitto, musulmani, copti, turchi cattolici, ortodossi, ebrei e cristiani.