Un uomo dalla schiena dritta, che ha avuto il coraggio di sfidare la mafia, pagando con la vita, per seguire la propria coscienza di persona corretta, onesta e irreprensibile. Piersanti Mattarella fu il volto di un progetto di cambiamento. Un’eredità della lotta alle irregolarità e della trasparenza, in un certo senso raccolta dal fratello Sergio, proprio quel giorno dell'Epifania di quarantuno anni fa, quando sorreggendo il corpo del fratello agonizzante, ne raccolse l’impegno politico, passando dall’università fino al Colle.
Fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nasce sei anni prima, nel 1935, a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Il padre Bernardo, uomo politico e tra i fondatori della Democrazia Cristiana, nel periodo fascista, tra il 1953 e il 1966 fu diverse volte ministro nei vari governi della Democrazia Cristiana. Al seguito dell’impegno del padre deputato nazionale, Piersanti si trasferisce a Roma con la famiglia nel 1948, dove si laurea in giurisprudenza alla Sapienza e prende parte all’Azione Cattolica. Ritornato in Sicilia, alla fine degli anni Cinquanta, lavora all’università di Palermo, si sposa e inizia a fare politica con la Democrazia Cristiana. E fra i suoi ispiratori ci sono, Giorgio La Pira e Aldo Moro.
Diviene nel 1964 consigliere comunale a Palermo, nel periodo dello sregolato boom edilizio che coinvolge la città per via delle concessioni dei politici siciliani, Salvo Lima e Vito Ciancimino. Nel 1967, viene eletto all’Assemblea regionale, dove inizia a distinguersi per la sua linea schietta e leale alla politica e per le sue battaglie contro la corruzione. Un segnale troppo forte per un’isola restia al cambiamento. Rimane all’Assemblea per due legislature, durante le quali diviene anche assessore al Bilancio, occupandosi principalmente dei conti della Sicilia, ricevendo anche il sostegno esterno del Partito Comunista Italiano.
Nel 1978, infine, viene eletto dall’Assemblea, presidente della Regione con la più larga maggioranza di sempre, a capo di una giunta di centrosinistra e con l’appoggio esterno del Partito Comunista Italiano.
Da presidente della Regione siciliana, Piersanti inizia un'opera di modernizzazione, di rinnovamento politico e culturale, riformando la regione dal punto amministrativo e burocratico. Applica con ancor più rigidità il suo orientamento di rettitudine e incorruttibilità in aperta sfida alla criminalità organizzata, soprattutto nel settore degli appalti e dell’urbanistica, combattendo la speculazione edilizia e andando contro gli interessi degli imprenditori collusi con la mafia, che considerava principale ostacolo allo sviluppo della Sicilia.
La sua onestà intellettuale e il coraggio nel portare avanti un progetto di ampio respiro per rivoluzionare la politica con riflessi sulla società civile per lo sviluppo del Mezzogiorno e dell’isola in particolare.
Piersanti Mattarella avrebbe voluto la Regione Sicilia, con le "carte in regola”, per reclamare dal Governo nazionale quanto meritava il Sud per l’apertura di una fase politica nazionale. I suoi non erano solo ideali democratici, ma aveva dato inizio a un nuovo progetto politico-amministrativo, a un’autentica rivoluzione.
Appartenente a quel filone del cattolicesimo democratico, si attiva con impegno generoso e coraggioso, per cambiare la sua terra, su temi e ideali, in cui credeva all’insegna della trasparenza e correttezza, oltre la logica della paura. Accentra su di sé molte decisioni solitamente riservate agli assessori, persegue criteri più rigidi per la nomina dei dirigenti pubblici, ordina inchieste sulle amministrazioni locali sospettate di corruzione e razionalizza il funzionamento della regione.
In seguito all’omicidio dell’attivista di sinistra, Peppino Impastato, nel 1978, Piersanti si reca a Cinisi dove tiene un duro discorso contro Cosa Nostra. L’anno dopo, quando il deputato comunista Pio La Torre accusa l’assessore all’Agricoltura siciliano, allora in carica, di essere corrotto e in collusione con ambienti mafiosi, si unisce a lui richiedendo maggiore trasparenza e legalità, sorprendendo tutti. La Torre viene poi ucciso dalla mafia nel 1982.
Il presidente del rinnovamento siciliano, Piersanti Mattarella, 44 anni, veniva assassinato, nel silenzio dei giorni di festa, il 6 gennaio 1980, con otto colpi di arma da fuoco, una Colt 38 Special, a bordo della sua Fiat 132, non blindata, in Via Libertà al civico 147, mentre stava andando a messa con la moglie e i figli, senza scorta (a cui aveva rinunciato per la festività).
Quel fatidico giorno fu proprio l’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, a tirarlo fuori da quella macchina, sorreggendo la testa al fratello morente così come immortalato nella storica foto di Letizia Battaglia, che ha fatto il giro del mondo. Inizialmente si è parlato di attentato terroristico. Poi le indagini, tra cui quella del 1991 del magistrato Giovanni Falcone, rivelarono che gli esecutori materiali erano stati i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, ma che avevano agito su ordine della mafia.
Successivamente i pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo identificarono l’omicidio di Piersanti Mattarella come compiuto unicamente per mano mafiosa. Malgrado gli esecutori materiali non siano mai stati identificati con certezza, furono condannati in via definitiva come mandanti i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.
Dopo 41 anni dall’efferato delitto, la magistratura ha riaperto il caso, individuando delle analogie anche con altri delitti (quello del giudice Mario Amato, avvenuto pochi mesi dopo) per poter fare luce sugli ambienti neofascisti e mafiosi. Ad oggi non è ancor noto l’esecutore che, a volto scoperto e sotto gli occhi dei familiari, ha freddato questo grande e integerrimo uomo, vanto della Sicilia migliore.