Premetto che detesto e aborrisco ogni forma di corruttela, bustarelle, disonestà, appropriazione indebita e quant'altro caratterizza e colora la cronaca politica e giudiziaria di questi nostri infausti tempi italiani. Pur tuttavia, tutto ciò premesso, vorrei provare a fare una riflessione insieme ai declamatori dell’infamia politica nostrana, siano essi vecchi come me, siano essi giovani, come i miei studenti (ma direi più con i vecchi che con i giovani).

Mi si consenta di partire da due ricordi personali: uno che appartiene alla mia prima gioventù, l'altro alla mia seconda giovinezza.

Quando ero studente delle scuole medie superiori (nei primi anni settanta) ero uno degli animatori del movimento studentesco all'interno della mia scuola. Aderivamo allo sciopero in più di mille; all'assemblea, a dibattere i temi politici e le problematiche scolastiche, oppure a preparare le varie manifestazioni di protesta e i cortei studenteschi, ci ritrovavamo in poco più di cento (quando andava bene). Detto per inciso, lasciai il movimento quando mi accorsi che tirava un'aria di violenta contrapposizione tra gruppi extra-parlamentari (violenza che purtroppo, di lì a poco, esplose in maniera tragica) e io ero un semplice, modesto seguace di Cristo, di Martin Luther King e di Gandhi.

Il secondo ricordo è legato alla metà degli anni ottanta. Al mio paese, invitato e sollecitato da numerosi giovani (che lamentavano l'immobilità degli amministratori cittadini e la loro collusione con i potentati locali), iniziai a fare politica.

Al momento di riunirci nella sede del circolo culturale da cui era partita la sfida al rinnovamento politico era un problema concordare un giorno e un orario in cui incontrarci per dibattere. Ci ritrovavamo spesso in quattro gatti e, una volta, mi ritrovai persino solo. Chi non voleva rinunciare al pisolino serale, chi era impegnato con la ragazza, chi aveva da fare, ancora non so bene cosa, e chi frapponeva impegni vari.

Quando poi divenni consigliere comunale, quei quattro amici continuarono a starmi accanto ma gli altri che presero ad orbitare attorno al nostro gruppo politico, avevano tutti dei fini personali reconditi e, talvolta, sfacciatamente palesi.

La mia quinquennale stagione politica si concluse per gravi ragioni familiari che mi impedivano di dedicarmi anima e corpo all'attività politica.

La riflessione che intendo proporre è la seguente: tutti noi oggi, giustamente, diamo addosso con rabbia e frustrazione ai vari Lusi, Fiorito, Formigoni e ai tanti altri corrotti e corruttori, indignandoci a ragione per le loro ruberie, lo spreco di danaro pubblico, l'arrogante e dissennata gestione dei nostri sudati denari.

Sento anche dire da più parti che la politica deve essere un servizio a favore dei cittadini, disinteressato e idealista; come dire, per la bandiera, per l'amor di patria, per il bene comune.

Tutto giusto e tutto vero.

Io però, sempre se mi consentite, ho un'obiezione: ma noi siamo tutti disposti a fare le ore piccole in consiglio comunale (o in altro consesso)? Siamo disponibili a lasciare i nostri affetti, le nostre abitudini, i nostri agi e i nostri figli, per delle interminabili, noiose riunioni di partito dove spesso si discetta di aria fritta e si sentono discorsi interminabili tenuti da masturbatori mentali logorroici e inconcludenti? Siamo tutti disposti a sacrificare la nostra vita privata in nome del bene pubblico o di un ideale non meglio identificato?

Se non lo siamo (come in effetti non lo siamo ora e non lo siamo stati in passato), non lamentiamoci più di tanto se coloro ai quali abbiamo scaricato le rogne e la responsabilità di un'attività impegnativa e faticosa, approfittando del potere concessogli, si sono attribuiti privilegi e prebende che sono sfociati nell'arbitrio, nelle ruberie, nel marcio di quelle fogne che oggi sono straripate, inondando le strade della viabilità mediatica, a tutti i livelli.

Ciò non toglie, naturalmente, che gli eccessi vadano censurati e che le violazioni della morale e della legge vadano sanzionati, come sta facendo l'informazione e come ha cercato di fare, più in passato che nel presente, purtroppo, la magistratura (rilevo che oggi, dopo i fatti della Loggia Ungheria e dopo che sono emersi comportamenti discutibili in capo a magistrati un tempo all’apice dell’associazionismo della magistratura, i cittadini stanno perdendo la loro fiducia nel terzo potere dello Stato, un tempo considerata incrollabile).

A questo punto io istituirei il servizio comunale obbligatorio, come un tempo si faceva con il servizio militare (per favore, senza perdere troppo tempo con leggi e leggine: le norme esistono già; basta leggersi l'art. 2 della Costituzione per capire che non c'è alcuna rivoluzione normativa o giuridica da fare).

La mia può sembrare una provocazione e magari lo è. O forse vuole promuovere una rivoluzione culturale. Però, chissà perché, io ero convinto che una rivoluzione ci fosse già stata, anzi due: una nel sessantotto e una nel settantasette.

Ma forse il mio è stato soltanto un sogno.