Chi osserva la Vittoria Alata nel suo nuovo tempio, non identifica più soltanto l’oggetto meraviglioso prodotto dalla più alta manifattura romana del I secolo: ma è portato istintivamente a collegare l’immagine della statua con quella della più nobile identità femminile, una manifestazione della bellezza greca e della forza latina, come già i poeti avevano potuto scrivere. Una forza femminile, accogliente, resiliente, che non vuole più la guerra ma cerca la pace, il rispetto delle regole, degli equilibri, della concordia civile.
È quanto ricordano sul simbolo di Brescia – la Vittoria Alata – Francesca Bazoli, presidente di Fondazione Brescia Musei, e Stefano Karadjov, direttore della stessa Fondazione, in occasione del ritorno in città della grande statua, a due anni di distanza dal restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il compimento di un’impresa artistica, estetica ed architettonica che ha coniugato intelligenze e competenze scientifiche per la città e per la storia di Brescia e del nostro Paese.
La Vittoria Alata, infatti, è una delle più straordinarie statue di epoca romana, ed il suo restauro, condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è durato due anni. È stato promosso dal Comune di Brescia, dalla Fondazione Brescia Musei, dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, e ha avuto il sostegno della Regione Lombardia ed il patrocinio dell’Università di Brescia, l’Accademia di Scienze Lettere ed Arti, e l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Brescia.
Tornerà visibile prossimamente nell’area archeologica Brixia, Parco Archeologico di Brescia romana, con la collocazione del capolavoro bronzeo nel Capitolium in un allestimento museale progettato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939), concepito per esaltare le caratteristiche materiche e formali valorizzate dalla complessa operazione di restauro.
La grande statua in bronzo risale alla metà del I secolo dopo Cristo ed è alta 194 centimetri. Amata da Giosuè Carducci che la celebrò nell’ode Alla Vittoria, ammirata da Gabriele d’Annunzio e da Napoleone III che ne vollero una copia, è una delle opere più importanti della romanità per composizione, materiale e conservazione, e uno dei pochi bronzi romani proveniente da scavo giunti fino a noi.
Venne ritrovata insieme a sei teste di età imperiale e a centinaia di altri reperti in bronzo nel 1826, durante gli scavi archeologici condotti nell’area dai membri dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, in un’intercapedine dell’antico tempio, dove forse era stata occultata per preservarla da eventuali distruzioni. La scultura, realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa indiretta, è databile intorno alla metà del I secolo dopo Cristo, forse ispirata a modelli più antichi.
L’operazione di restauro si è concentrata sulla pulitura della scultura, la rimozione controllata dei materiali che riempivano la statua e sulla struttura interna di epoca ottocentesca a cui si agganciavano le ali e le braccia della Vittoria, fino sulla stesura di un materiale protettivo.
Ma allo stesso modo, è importante sottolineare l’inedito allestimento dell’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, in un’esemplare innovazione della museografia internazionale; in quanto risulta essere un progetto assai complesso, sia in ragione del luogo speciale nel quale viene declinato, ma anche per l’importanza delle opere da valorizzare, da leggere come un’opera totale nella quale il rispetto dei criteri conservativi, illuminotecnici e tecnologici si sposa con la cura dei materiali. In esso, la scelta di un pavimento in terrazzo veneziano, coerente con i tradizionali pavimenti romani, convive con le ragioni della sicurezza e della stabilità della statua, collocata su un piedistallo cilindrico in pietra di botticino. Mentre un tavolo-vetrina presenta le cornici in bronzo ritrovate insieme alla Vittoria nel 1826. E ancora altri frammenti di cornici sono disposti sulla parete occidentale della cella, secondo uno schema pensato dall’architetto per richiamare la geometria tipica delle decorazioni di età romana, ma anche perché dentro le cornici vivono l’interno e l’esterno, la storia e il tempo.
Ma il progetto sulla Vittoria Alata è anche foriero di un ricco apparato editoriale che comprende la monografia Non ho visto nulla di più bello dedicata alla statua e al nuovo allestimento, corredato da un racconto fotografico di Alessandra Chemollo, il volume Vittoria d’autore. Gli scrittori e la dea alata (Scholé) a cura di Marco Roncalli che ripercorre la fortuna della scultura bronzea negli ultimi due secoli, così come l’hanno celebrata alcuni dei più importanti scrittori e uomini di cultura, e il Il restauro dei grandi bronzi archeologici. Laboratorio aperto per la Vittoria Alata di Brescia, a cura di Francesca Morandini e Anna Patera, che contiene gli atti del convegno internazionale sul restauro dei grandi bronzi tenutosi a Firenze nel maggio 2019.
È un’opera di immenso valore artistico, ed è la testimonianza degli straordinari beni culturali che annovera la città di Brescia.
La Vittoria alata, giova ricordare, è per composizione, conservazione e materiale una delle opere più rappresentative dell’arte romana. Venne trovata a Brescia nel 1826 presso il Capitolium, in occasione di indagini archeologiche condotte dai membri dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti ai piedi del colle Cidneo, unitamente a centinaia di altri manufatti in bronzo. Come ricorda Francesca Morandini, conservatore delle collezioni e delle aree archeologiche di Fondazione Brescia Musei:
Nel bronzo è riprodotta una figura femminile alata, alta poco meno di due metri, con una postura oggi incompleta per la perdita di alcuni elementi che ne completavano il gesto e la posizione di equilibrio; il piede sinistro doveva poggiare molto probabilmente sull’elmo di Marte, il braccio sinistro doveva trattenere uno scudo, sostenuto anche dalla gamba flessa, scudo sul quale, con uno stilo, la divinità aveva inciso il nome del vincitore, affidandolo al bronzo e offrendolo alla vista di chi la guardava. A contatto con il corpo è riprodotto un chitone leggero, trattenuto in alto forse da due fermagli, oggi perduti; la veste è scesa sulla spalla destra e lascia scoperto anche il seno, mentre sul resto del busto aderisce con un effetto quasi di bagnato. La parte inferiore del corpo è coperta da un himation, di aspetto e di volume più pesanti, che si avvolge intorno alle gambe e ai fianchi da sinistra verso destra, caratterizzando con questo andamento il tipo statuario. Il volto, invece, presenta due lamine metalliche che chiudono le orbite, probabilmente inserite poco dopo la scoperta, a risarcire i vuoti degli occhi originali andati perduti; i capelli, acconciati con una sorta di chignon, sono trattenuti da una fascia illuminata da agemine in argento, che riproducono foglie probabilmente di mirto e rosette. In alcune zone delle parti anatomiche non coperte dagli abiti si intravedono tracce di doratura, trattamento forse riservato all’epidermide. Completano la figura due ampie ali caratterizzate da lunghe piume, pressoché bidimensionali nella parte inferiore e più plastiche nella parte alta. Una statua che è stata realizzata con il metodo della fusione a cera persa cava indiretta, costituita da almeno 30 parti fuse separatamente e poi saldate tra loro. Il bronzo doveva trovarsi in un edificio o in uno spazio pubblico dell’antica Brixia.
Così la Vittoria Alata tornerà negli spazi deputati alla storicizzazione, preposti alla visione e alla fruizione di opere e monumenti storici che hanno contraddistinto la storia del nostro Paese e le arti nel mondo. È una vittoria della cultura e della storia, ma soprattutto di una città e di un Paese, Brescia e l’Italia, in cui vive il segno e la forma di una bellezza unica ed inestimabile, come testimoniano numerosi scrittori e artisti: da Giosuè Carducci di cui è la celeberrima alcaica (14-16 maggio 1887) intitolata Alla Vittoria: Tra le rovine del tempio di Vespasiano in Brescia, che oggi appare nel primo libro della raccolta Odi barbare, allo scrittore francese Prosper Mérimée (1803-1870) che richiama “la Vittoria” in una lettera parigina datata 10 settembre 1859, pubblicata nel secondo volume della raccolta Une correspondance inédite, edita dalla Revue des Deux Mondes, in cui scrive:
La Vittoria di Brescia è una Vittoria, come le sue ali testimoniano. La Venere di Milo è una grande divinità, forse una Venere vittoriosa. La Vittoria di Brescia è uno dei bronzi antichi più belli, se non il più bello che si conosca…
Un ritorno atteso, quello della Vittoria Alata, nel vivo augurio che il mondo le sia vicino nella storia, nel tempo e anche nelle nostre speranze.