C’è chi dice che la sorpresa sia la più transitoria delle emozioni: ha una durata inferiore alle altre, perché possiede dentro di sé un cronometro impostato con il conto alla rovescia. Scompare in fretta. Si dilegua. Dopo poco che ti è arrivata al cervello e in particolare a quella parte del cervello che chiamiamo erroneamente cuore, come un soffio, se ne va. Non puoi restare a lungo in preda alla sorpresa.
Lei svanisce, evapora, cambia aspetto. E nel cambiare ti cambia, perché le emozioni sono solo grumi della tua essenza, ingredienti della tua plurima identità, materia del tuo costante divenire.
Un’emozione che muta
La sorpresa è un’emozione crisalide, ti porta da uno stato di indifferenza o di abitudine o di solidità che non prevede attese a uno stato diverso, spesso molto diverso, abbracciandoti a sé. Come Proteo, la divinità del mare che muta continuamente forma e ti sa dire come sarà il tuo futuro se sei in grado di catturarlo, la sorpresa si trasforma velocemente in un’altra emozione. Diventa gioia se ti sorprendi di un evento o di una persona che ti piace, diventa tristezza se quell’evento o quella persona non ti piace proprio. Riflettere sul senso della sorpresa, su ciò che all’improvviso ti ha fatto emozionare facendoti pulsare più forte il sangue nelle vene, aiuta a rendere la sua esistenza più breve, ad accorciarne la vita, ad aiutarne l’evoluzione in farfalla.
Prendere da sopra
La parola sorpresa ha elementi sorprendenti. Perché la sorpresa ti prende dall’alto, come un’aquila in planata sorvola sulla tua testa e poi ti ghermisce con i suoi artigli procedendo in picchiata verso di te.
Sorprendere vuol dire ‘cogliere alla sprovvista’ e ‘cogliere inaspettatamente’ ma il significato primo del verbo è ‘prendere da sopra’, sor-prendere. Anche l’aggettivo sorprendente e il sostantivo sorpresa hanno la medesima origine e ci sorprendono un po’, soprattutto se non siamo usi a chiederci da quale pianta sboccino quei fiori che chiamiamo parole.
Il verbo prendere ha a sua volta una storia lunga e affascinante: suo antenato era il verbo latino prehendĕre, che aveva lo stesso significato dell’italiano, ‘afferrare’, ‘cogliere’. In quel verbo latino, scopriamo una radice indoeuropea ghed- ‘prendere’, con infisso nasale ghend-. Di quella radice antichissima e feconda che era diffusa tra i popoli che abitavano pianure e montagne e coste dall’Atlantico al Gange, troviamo compimento anche nel verbo inglese to get.
Nella lingua che si parla a Londra e a New York, to get è un verbo dai cento significati, che s’immilla di ancora più sensi quando diventa frasale, facendosi fare compagnia da qualche preposizione o da qualche avverbio con i quali gli piace passeggiare negli spazi delle frasi in costruzione. Alcuni esempi? To get up, ‘alzarsi dal letto’, o to get off, ‘scendere’ da un mezzo di trasporto, o to get over, ‘riprendersi’ da una malattia ma anche da una semplice sorpresa.
L’altalena delle emozioni inattese
Ecco, questo è un legame sorprendente tra il sorprendersi e il to get over, riprendersi. Alla presa dall’alto della sorpresa succede, cioè capita dopo, il tempo della consapevolezza, quello in cui ti fermi a pensare, comprendi quello che è accaduto, fai scolorare lo stupore. Dalla sorpresa, passi alla ripresa.
La vita del resto resta sempre un’alternanza costante di stati, un pencolare incessante sull’altalena delle emozioni, un avvicendamento di oscillazioni garantite da piccole spinte e successivi abbandoni di forza. La sorpresa è ostile al preavviso. Non si annuncia. Non fa parlare di sé prima di planarti addosso. Non è prevedibile. Non lascia indizi del suo imminente arrivo. Non ama le spie né gli avvertimenti né le profezie. È questa la sua tecnica per destare in te stupore o meraviglia o anche sconcerto.
Un diritto da esercitare
La sorpresa è per certi versi un diritto da esercitare, per apprezzare i momenti di iato, gli stacchi, le cesure che l’esistenza consente, facendoci godere del movimento che è in noi sempre movimento e danza. Ma è difficile allenarsi alla sorpresa. Non esistono manuali per imparare lo stupore. Non ci sono incantesimi per lasciarsi cogliere dalla meraviglia.
Allo scrittore ceco naturalizzato francese Milan Kundera è attribuito questo aforisma: “Prenditi il diritto di sorprenderti”. Lascia quindi sempre aperta la possibilità di guardare l’orizzonte e cogliere lo squadernarsi di un paesaggio inatteso, che ti cambia la percezione delle cose, che ti sa sbalordire spazzando via i tuoi più intimi déjà-vu.
Uno sguardo non logorato dalle abitudini: ecco lo strumento che ti serve per accogliere, inattesa, la sorpresa. Del resto, se proprio nulla riesce a sorprenderti, la tua vita non appare poi così sorprendente. Sta anche a te tessere relazioni di amicizia con la sorpresa, guardarla negli occhi e innamorartene un po’.
Lo sguardo della meraviglia
Se sorprendere è prendere dall’alto e quindi affine al senso del tatto, meravigliarsi è invece parente della vista.
In latino, mirabĭlĭa erano ‘cose straordinarie, sorprendenti’, per l’appunto le cose che quando le vedevi ti facevano sussultare un po’. Questa parola derivava dall’aggettivo mirabĭlis -e con il significato di ‘straordinario, sorprendente’, a sua volta derivato di mirāri ‘meravigliarsi’, che ha generato anche il verbo italiano mirare. In latino volgare mirāre voleva dire ‘guardare con stupore’, ‘guardare con attenzione’: da lì il significato del verbo mirare in italiano, ‘guardare con intensità’, ‘puntare’, ‘prendere la mira’.
Pronti, mirare, fuoco! sono le tre azioni per centrare un bersaglio.
Ancora una volta è una questione di occhi. Per meravigliarci dobbiamo guardarci attorno, non restare concentrati su noi stessi, osservare ciò che abbiamo accanto (e anche chi abbiamo accanto). Per meravigliarci dobbiamo in un certo qual modo ammirare, nel senso di ad- mirare, che non è solo guardare con attenzione e interesse ma che assume un significato più profondo, che attiene alla stima che abbiamo di quello che ci accompagna nel nostro transito terreno e in definitiva alla stima di noi stessi.
Quanto più ammiriamo, accogliendo sentimenti di approvazione e di apprezzamento per le qualità di una persona o di una cosa bella, tanto più saremo inclini alla meraviglia. Tanto più eserciteremo il nostro sguardo, tanto più sorpresa e meraviglia ci saranno compagne.
Diceva a questo proposito Albert Einstein: “Colui che non è più capace di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti”. Chissà se lo diceva davvero, chissà quante affermazioni sono attribuite a lui e ai grandi come lui. Ne siamo consapevoli, non ci meravigliamo, non ci sorprendiamo, non ci stupiamo neppure.
Lo stupore colpisce
La sorpresa è una presa dall’alto ma se la presa è particolarmente forte ti colpisce e quindi si tramuta in stupore. Lo stupore è stupendo, cioè letteralmente qualcosa che deve colpirti o che sta per colpirti.
Già, perché lo stupire deriva in modo diretto da un verbo latino, stupēre, che voleva dire ‘essere stordito, restare attonito’, letteralmente ‘restare colpito’. Lo stupire è dare un pugno, una manata, una stoccata. Essere stupiti qualche volta significa restare bastonati da uno schiaffo o restare trafitti da un dardo, che può essere dolce e irrazionale come quello che ama scagliare Eros quando vaga nel cielo sopra le teste degli umani.
Lo stupore è un colpo, dunque, con il significato primo che emerge dal confronto con il verbo del greco antico týptō, ‘colpisco’, ‘percuoto’, e con il sostantivo sempre greco týpos, che voleva dire ‘colpo’ ma anche ‘impronta’, ‘marchio’, ‘sigillo’, ‘impressione’.
Essere stupiti ci riporta quindi all’idea del sigillo, che chi vuole stupirci sa imprimere in noi. Essere stupiti non a caso significa anche essere impressionati.
La stupidità dello stupore
Parente stretto dello stupore è la stupidità. La persona stupida è tale perché è stordita da un colpo, resta attonita di fronte agli eventi, appare incapace di rialzarsi dopo che è stata percossa. Anche in questo caso genitore della stupidità è il latino stupĭdus, che deriva dallo stesso verbo stupēre, da cui deriva stupire.
I confini tra lo stupido e lo stupendo non esistono se ricorri solo all’etimologia, cioè alla ricerca del vero. Grazie al cielo, però, l’etimo non è tutto: solo la connessione dei singoli pezzi restituisce il quadro completo, la visione complessa delle cose consente l’analisi dell’insieme. Ogni disciplina, in sé, è limitata.
La sorpresa balorda
Del resto, se lo stupore cioè il colpo ricevuto è proprio forte, ti puoi scoprire sbalordita/sbalordito. E con questa parola si apre un altro capitolo di questa “stupefacente” vicenda. Il verbo italiano sbalordire porta in sé le tracce del balordo, che in origine non era per lo più uno ‘sbandato’, un ‘emarginato’, un ‘mezzo malvivente’ che frequenta persone poco raccomandabili.
In origine il balordo era per lo più una persona instupidita per la sorpresa di qualcosa, intontita da qualche indisposizione. Insomma, un balordo nel significato di ‘tardo di mente’, ‘sciocco’, ‘tonto’, ‘stupido’. Sbalordire significa quindi far diventare balordi, come se il colpo sferrato con potenza dallo stupore portasse a tal punto sorpresa da lasciare intontiti e tramortiti.
Che viaggi curiosi possiamo compiere quando ci avventuriamo nei sentieri della storia delle parole: tracciamo ghirigori di significati, cogliamo scorci inattesi, assaporiamo paesaggi incantati. Abbandoniamo noi stessi al fascino dei lemmi, vertiginosi amici, complici sodali delle nostre avventure parlate e scritte.
La sorpresa che abbaglia
L'attimo durò cinque minuti; poi la porta si aprì ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato in gola; Tancredi si sentì addirittura come gli pulsassero le vene delle tempie. Sotto l'urto che ricevettero allora dall'impeto della sua bellezza, gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandola, i non pochi difetti che quella bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavorio critico non furono capaci mai.
Ecco, la sorpresa abbaglia un po’ anche noi, come Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva scritto nel suo Gattopardo. L’arrivo della bella Angelica nella sala del ballo lascia tutti i presenti abbacinati, tanto è lo splendore della ragazza. La sorpresa stessa, in questo passo, diventa abbagliata, assumendo un tratto caratteristico di chi era rimasto vittima del suo insorgere. Il sostantivo astratto diventa prima cosa e poi persona: accade spesso alle emozioni, anche le più passeggere come le sorprese.
A te, a me, a noi, resta il desiderio di saper distinguere allora tra volontà di sorprendere, di meravigliare e di stupire. E un po’ anche di sbalordire. Prendendo per mano questi verbi amici e trascorrendo un po’ di tempo con tutti loro. O anche con ciascuno di loro. Uno alla volta.