Un anno fa circa abbiamo montato una libreria nell’appartamento di sotto. Così ho radunato i libri sparsi un po’ qua e un po’ là per casa, li ho ficcati dentro sacchetti di plastica e li ho ricollocati nella nuova libreria. I libri prima li tenevo allineati su un paio di mensole di legno nella mia cameretta e su una mini-libreria e poi in sala in fila su ripiani all’interno di armadietti dalle ante di vetro. Facendo questo piccolo trasloco ho preso coscienza di un fatto che lì per lì mi ha un po’ sorpreso: non navigo tra i libri. Non arriverò ai duecento. Infatti, sono ben lungi dall’aver riempito la nuova libreria. Il dato mi stupisce perché leggo da trent’anni e passa e pensavo di avere in casa molti più libri.

La libreria l’ho divisa in due sezioni. La parte della libreria sul lato Ovest della sala è dedicata ai libri commerciali e dirimpetto ho messo i classici e i libri un po’ più impegnati. La distinzione non è rigidissima, ma a una prima occhiata è alquanto chiara. Sul lato Ovest, tanto per fugare ogni dubbio, ci sono un mucchio di tascabili della Sperling&Kupfer: “I libri più letti. I libri più belli. I libri più venduti ora in edizione paperback” recita lo slogan sulla quarta di copertina di ogni tascabile della Sperling e da piccino anziché contare le pecore giuro che mi ripetevo quello slogan come un mantra finché non cadevo lesso: “I libri più letti. I libri più belli. I libri più venduti ora in edizion… Auoufh!”.

Ovviamente, il reparto che preferisco è quello dei libri commerciali, ma amo anche i volumi nella sezione libri seri. Sono affezionato a queste differenti tipologie di libri per ragioni diverse. Quando leggo un libro commerciale mi diverto e mi succedono cose molto utili per quell’altra mia attività di scrittore – mi vengono idee per le mie storie, soprattutto. Quando leggo un libro della sezione libri seri ecco che accade qualcosa nella mia testa che ritengo sempre una sorta di miracolo, di mistero assoluto, un mistero così misterioso che a volte penso piova dall’alto: mi fa sospettare la presenza di suggeritori invisibili o di presenze aliene che controllano le nostre menti dal Pianeta Alpha Centauri o di enzimi ingeriti bevendo Coca Cola al cinema capaci di ricevere e trasmettere input telepaticamente. I libri seri, insomma, mi fanno capire. Mi regalano lampi d’intuizione. Sono rivelazioni. I libri commerciali, invece, mi sono da stimolo alla fantasia, mi solleticano la voglia di fantasticare, il desiderio di progettare mondi e vite migliori di queste e non di trovare chiavi per viverci nel modo più furbo e conveniente, o forse nel modo più felice (ammesso che una chiave del genere si possa davvero trovare in un’opera fosse anche stata scritta da Thomas Hardy, Katherine Mansfield o Lawrence Sterne).

Questa premessa al tema che desidero affrontare in questo scritto, in fondo non si discosta di molto da ciò di cui mi propongo di parlare. Osservando i libri in fila nelle scansie della nuova libreria, a volte mi dico che avrei dovuto portare a casa più libri, molti più libri (e leggerli, naturalmente, leggerli!): insomma, avrei dovuto spaziare di più, nelle mie letture, in fatto di gusti e preferenze. Forse avrei potuto scoprire chi sono e non deciderlo e basta. A dodici anni ho deciso che sarei stato il tipo che si leggeva storie di spie e rapine in banca e poi storie dark o noir o storie ancorate alla realtà – a me piacciono parecchio, le storie ancorate alla realtà - e da lì in poi raramente mi sono mosso. Mi sono costruito una fisionomia alquanto precisa del lettore che intendevo essere e per preservarla, a un certo punto, ho anche rinunciato ad acquistare nuovi libri e mi sono messo a rileggere quelli che avevo già. Ed eccoci giunti al topic. Il piacere, e i limiti, della rilettura.

La rilettura: un’attività tutta da riscoprire e rivalutare.

Nel mondo moderno dominato dalla frenetica corsa verso la novità, il nuovo… tanto è vero che le notizie si chiamano news… non esiste nemmeno il contrario di news (oldies?) o se esiste, esiste solo in via teorica così come in matematica esistono numeri minori di zero… in un mondo come questo, dicevo, non siamo portati a dare valore alla rilettura. Eppure, rileggere i libri ha i suoi aspetti interessanti e positivi.

Prima di tutto, rileggere un libro ti fa prendere coscienza di quanto poco la mente assimili ciò che legge. Ogni volta che rileggo un libro ci sono interi capitoli di cui non ho il minimo ricordo. Alcuni episodi all’interno di un romanzo li ho cancellati. Questo mi accade anche mentre un libro è ancora in corso di lettura. Non so se succeda anche ad altri… Magari lasci il segnalibro nella pagina sbagliata o fai l’orecchia a capocchia e così quando riprendi a leggere riparti da un punto che hai già letto: lì per lì, magari te ne accorgi anche (“Ma questo non l’ho già letto?” ti dici dubbioso tra te e te), ma arrivi subito dopo a un paragrafo che la tua mente non ha registrato (“No, non può essere perché di questo non ricordo nulla” ti dici sempre più immerso nei dubbi) fino a quando arrivi a un certo paragrafo dove ti rendi conto che quelle pagine le hai indubitabilmente già lette e allora corri a cercare la pagina non ancora letta (“Ma il segno dov’è finito?”) e non sempre è facile trovarla.

Capita, a volte. D’altronde questo oblio è proprio ciò che può spingere a rileggere un’opera letteraria. Quando riprendiamo in mano un libro diamo per scontato che tutto non possiamo ricordare e dunque una rinfrescata alla memoria andrà benone. Poi, altro elemento che rende molto più piacevole la rilettura di quanto non si possa pensare in tempi odierni è che rileggere non comporta stress particolari. Sappiamo già che Amleto ucciderà il padre di Ofelia e sappiamo già la fine che faranno Romeo e Giulietta, quindi siamo molto più rilassati e possiamo concentrarci nel gustare meglio certe sfumature e i meccanismi più sottili.

In più, quando rileggiamo possiamo infrangere la regola del buon lettore più sacra in assoluto: possiamo saltare. Non solo possiamo saltare interi paragrafi o intere pagine, ma possiamo saltare anche interi capitoli o interi parti di romanzo! Non solo, ma possiamo anche, se e solo se stiamo rileggendo un’opera di finzione, non saltare, ma addirittura saltabeccare avanti e indietro, rileggendo prima il capitolo finale, e poi il terzo capitolo per poi passare al quinto, saltando il sesto, e dopo il settimo tornare al prologo. Quando rileggiamo un libro, posto che ci ricordiamo quel che stiamo rileggendo, tutto è lecito! Tutto! Basta solo provare. Quando si rilegge un libro, se si fa una di queste cose non si proverà il minimo senso di colpa. Ovviamente, se si può fare una cosa del genere senza provare senso di colpa, allora si potrà anche fare l’altro grande gesto sacrilego assieme all’andare al capitolo finale per vedere se è stato il maggiordomo a compiere il delitto o se l’autore del libro ha avuto la presenza di spirito di variare di un check uno schema narrativo già così ampiamente collaudato: si potrà interrompere la lettura senza finire il romanzo.

A tal proposito, mi sia consentita una piccola digressione. Tra i miei duecento libri (ammesso che siano duecento, ma ho idea che siano meno di duecento) ci sono anche alcuni libri che non ho letto. Ad esempio, non ho mai letto I pilastri della Terra di Ken Follett. Ce l’ho dall’età di quattordici anni e da quell’età mi areno sempre a pagina 150 – e tuttavia, posso tranquillamente confessare che la scena dell’angelo che incontra la donna nel bosco mi è stata fonte d’ispirazione per il mio romanzo La casa benedetta. Poi, non ho letto, e qui è già più grave per il lettore che dovrei essere, ossia un amante del genere spy-story e avventura, Dragon di Clive Cussler, pur avendo letto e apprezzato assai Tesoro e Sahara. Non ho letto, benché l’abbia cominciato diverse volte, il pur bel libro (o quantomeno ho l’impressione che lo sia) I sensi incantati di Alberto Bevilacqua. Per moltissimo tempo ho tenuto lì senza leggerli La casa del buio e Cuori in Atlantide di Stephen King (con Peter Straub) e cosa ancor più sorprendente per moltissimo tempo non ho finito di leggere Il visitatore segreto di John Le Carrè. Ho tenuto per molto tempo lì al calduccio con gli altri libri anche Le particelle elementari di Michel Houellebecq fino a quando qualche mese fa non mi sono deciso e l’ho letto andando a un passo dallo schiattare dalle risate.

La lista si ferma più o meno qui. Gli altri libri li ho letti. Forse nel reparto libri seri non ho terminato la Recherche di Proust, lo ammetto, e ho saltato molti capitoli in forma di annotazioni (quelli che mi sembravano ridondanti) del Robinson Crusoe di Daniel Defoe, ma per il resto mi sono comportato da alunno diligente. C’è poi un altro aspetto molto positivo della rilettura dei libri: la rivalutazione. A me è capitato piuttosto di recente con L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Lo avevo letto da ragazzino e per qualche ragione non mi era piaciuto. Probabilmente, data l’età, l’espressione più corretta è “non mi aveva acchiappato”. Il risvolto spietato della questione è che quel giudizio piuttosto sbrigativo me lo sono trascinato tra i calcagni fino all’altro ieri. Sì, a pensarci, è spietato. Un giudizio formulato a quattrodici, quindici, sedici anni al massimo l’ho ritenuto valido fino alla piena età adulta. Fino all’altro ieri pensavo infastidito a quel romanzo bellissimo, meritatamente considerato un capolavoro della letteratura mondiale. Dentro di me lo definivo “il romanzo con quel tizio che urina nel lavello”. Sì, lo so. È vergognoso, ma si apprezzi, quantomeno, la sincerità. Dunque, rileggere un libro, riaffrontarlo, può anche essere importante sotto questo aspetto. D’altro canto, innumerevoli sono state le volte (non proprio innumerevoli: sulle duecento volte, anzi, meno, molte meno) in cui rileggendo un libro mi sono reso conto che quel libro così sconfinato nella mia testa fosse invece molto più povero nelle espressioni e nei contenuti di quanto ricordassi. Tanti libri, al contrario, sono molto più importanti di quel che mi è parso a una prima lettura. Mi è capitato di accorgermene con Il Signore delle mosche di William Golding. Libro nel quale, zitto zitto, il signor Golding piazza lì la descrizione di una bestemmia con tutti i crismi della bestemmia, dato che il dio adorato dai bambini nell’isola deserta del Signore delle Mosche ha il volto di un porco. Anche quelle, tutte pagine da rileggere e rivalutare, con particolare attenzione, per vari aspetti. Che dire poi della rilettura del Giovane Holden, il quale non è affatto un libro nel quale Salinger celebra il suo protagonista Holden Caulfield, ma lo condanna nel modo più borghese possibile oppure del Grande Gatsby, il quale è libro molto più “marxiano” di quel che sembri parlando di un filibustiere che diventa ricco sfondato e che entra nella buona società e si mette a fare quello che fanno le classi privilegiate. Insomma, il Grande Gatsby suggerisce che per arrivare all’altezza delle classi più abbienti un uomo comune debba uccidere e rubare, e che dunque i privilegiati occupino già per statuto d’appartenenza, per così dire, la posizione di figli di puttana. Il romanzo si apre infatti con il paparino di uno di questi privilegiati (Nick Carraway) che ammonisce a riguardo il figlio: “Ricordati quanto sei fortunato, figlio mio. Ricordati che non tutti partono dalla posizione dalla quale sei partito tu. Hanno già quello che hai tu. Ricordalo!”.

La rilettura è importante e andrebbe praticata di più. Da qualche tempo (diciamo gli ultimi cinque anni) me la impongo programmaticamente. Almeno un libro da rileggere assieme agli altri che ho in agenda e a quelli che ho appena comprato – di norma, tirandoli su dal cestone di una bancarella in un mercatino oppure dopo averli pescati in qualche paradiso di libri usati. Li sfilo dalla mia nuova libreria in legno di ciliegio in sala, li osservo facendomi inondare dai ricordi e dalle sensazioni che il nudo oggetto mi procura e poi li apro e nel modo più rilassato possibile mi metto a rileggerli. A volte non ricordo un emerito tubo ed è come se fosse la prima volta. Altre so come va a finire la storia e allora fila tutto liscio come l’olio ed è puro… godimento. La rilettura.

Sì.

Un’attività da riscoprire e rivalutare.