Il dibattito sulla conservazione del patrimonio etnografico è ancora giovane e molti sono gli argomenti sui quali sarebbe utile un confronto interprofessionale esplicito e sereno, nella consapevolezza che la conservazione e il restauro non sono entità definite ma in continuo divenire. I responsabili della conservazione delle collezioni etnografiche partecipano attivamente alla loro comunicazione, svolgendo un ruolo chiave nella promozione del patrimonio culturale, conferendo valore e potere a nuove voci e nuovi linguaggi creativi.
In questa visione, già nel 2005 alcune restauratrici del Laboratorio Polimaterico dei Musei Vaticani si sono recate per un mese in Giappone a frequentare il corso ICCROM Urushi - International Course on Conservation of Japanese Lacquer per studiare in modo approfondito, le lacche giapponesi. Da questa esperienza è maturata, la consapevolezza del valore inestimabile di questi oggetti. Dopo essersi confrontate con una molteplicità di tecniche esecutive, il cui utilizzo si inserisce in precisi e diversificati contesti storico-culturali, al ritorno dal Giappone le restauratrici sono approdate ad una nuova concezione del valore tangibile e intangibile del patrimonio etnografico.
Nel 2010, è stata inaugurata nel Museo Etnologico, oggi Anima Mundi, la prima sezione espositiva “Australia”, in occasione della quale il curatore del Museo, P. Nicola Mapelli, ripercorrendo l’esperienza dei suoi predecessori, ha ritenuto fondamentale, per un corretto approccio metodologico all’esposizione delle collezioni, recarsi personalmente nelle zone di provenienza delle opere custodite e conservate nel Vaticano, entrando in contatto diretto con le comunità aborigene Yagan, cui questi oggetti sono da attribuire, e attuando di fatto una vera e propria politica di riconnessione dell’oggetto con la comunità indigena e il contesto culturale da cui esso deriva.
L’impegno a favore della realizzazione di una simile “cultura” della conservazione è condiviso ormai da molti laboratori di restauro di tutto il mondo. Noi abbiamo avuto modo di sperimentare questa realtà, recandoci nei luoghi d’origine di uno dei manufatti conservati all’interno dei Musei Vaticani, il Portamessale di Cristoforo Colombo, rimasto esposto presso il Palazzo dei Capitani Generali de L’Avana (Cuba) nel 2013. La missione a Cuba ha rappresentato una grande opportunità di confronto con l’esperienza e le professionalità dei Laboratori di Restauro del Gabinete de Conservaciòn y Restauraciòn (Oficina del Historiador de la Ciudad de La Habana), permettendoci di approfondire ulteriormente la cooperazione e il dialogo interdisciplinare con questi laboratori, impegnati da ormai più di trent’anni in un imponente progetto di riqualificazione urbanistica, storica e artistica della città antica de L’Avana.
È a contatto con realtà culturali così vivaci e dinamiche che il Laboratorio, nel portare avanti il proprio progetto di conservazione, continua a confrontarsi, mettendosi in profonda connessione con i contesti di provenienza delle opere per comprenderne, in tal modo, i significati più nascosti e sviluppare gli approcci conservativi più adeguati. Tuttavia, nei numerosi casi di materiali (e culture) ancora poco conosciuti in Occidente, abbiamo ritenuto opportuno che il loro studio, scientifico, analitico e comparativo, fosse inserito all’interno di un dibattito più ampio, capace di coinvolgere la comunità scientifica internazionale, per stimolarla a confrontarsi costantemente e condividere i risultati della propria ricerca.
Pertanto, sono stati organizzati i convegni: Sharing Conservation, nella 2011, e Sharing Conservation II: Terra, nel 2012, per sviluppare i contatti tra i laboratori di restauro nel mondo impegnati soprattutto nella conservazione dei beni di interesse etnologico, confrontando esperienze conservative e soluzioni operative diverse, ma utili al raggiungimento dello stesso obiettivo: la conservazione delle opere polimateriche e la tutela del patrimonio multiculturale. Nel 2014, i Musei Vaticani hanno ospitato la terza edizione del progetto “Sharing Conservation” dal titolo The social impact of conservation. A mission for the development of marginalised societies and cultures; è stata un’occasione di scambio e condivisione dei nuovi approcci e delle nuove pratiche del restauro applicate ai beni di interesse etnologico. Istituzioni, studiosi, e restauratori si sono confrontati sul ruolo del restauratore contemporaneo. È emerso tra i partecipanti uno sforzo condiviso a rifondare la professione del restauratore alla luce dei mutati equilibri tra le culture e tra i popoli, in favore della tutela delle variegate espressioni del patrimonio multi-culturale contemporaneo.
La missione-studio in Indonesia, organizzata con il Governo indonesiano, si è svolta nel 2014, consentendo alle restauratrici di visitare i siti di Bali Denpasar, Solo, Giava Yogyakarta e partecipare direttamente allo stile di vita del popolo indonesiano che in un clima di pacifica convivenza riesce a conciliare differenti religioni, culture, tradizioni e credenze tribali. Una esposizione temporanea, Indonesia, terra di armonia, aperta nel 2014, aveva permesso di selezionare assieme alla delegazione indonesiana (composta da storici e restauratori) oltre duecento manufatti appartenenti alla collezione etnologica vaticana.
Nello stesso anno, il 2014, una nuova sfida ha appassionato le restauratrici del Laboratorio, è stata organizzata una mostra senza precedenti, nei Musei di Sharjah negli Emirati Arabi, So that you might know each other con settanta opere provenienti dalle collezioni vaticane. Stefano De Caro in un suo articolo – riportando le parole di Antonio Paolucci – sottolinea come per la prima volta dopo oltre cinquecento anni, un museo pubblico con sede in un Paese islamico sia entrato in così diretto contatto con le delegazioni vaticane, espressioni della Chiesa Cattolica, prefigurando scenari di dialogo e collaborazione tra religioni e culture notoriamente lontane.