La pandemia di Coronavirus che si è abbattuta sul nostro pianeta agli inizi di questo funesto anno bisestile ha messo in secondo piano il problema dell’immigrazione nel nostro Paese, che aveva dominato la scena politica e mediatica negli ultimi cinque anni.
Tutti ricorderanno la gestione data al problema dal Ministro dell’Interno del governo a maggioranza “giallo-verde”, con il blocco dei porti, i due decreti sicurezza, l’utilizzo massiccio della paura a fini di consenso elettorale. Gli argomenti più usati furono quelli del rischio di perdita di identità, l’equazione immigrazione-terrorismo, immigrazione-stupri - spaccio di droga e via dicendo. Ne derivarono vicende giudiziarie a carico del ministro Salvini per sequestro di persona commesso con il blocco fuori dei porti delle navi Diciotti, Gregoretti, Open Arms, vicende per due delle quali sono pendenti giudizi davanti ai tribunali competenti per territorio.
Sarà utile, pertanto, procedere ad una documentata ricognizione aggiornata dei flussi migratori nel nostro Paese, le loro attuali caratteristiche, nonché le conseguenze sociali, demografiche ed economiche, che ne derivano. A questo fine soccorre il XXIX rapporto immigrazione 2020, pubblicato da Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes, che rappresenta ogni anno un appuntamento imprescindibile per un aggiornamento delle nostre conoscenze in materia.
La rilevanza del rapporto è quest’anno accresciuta a causa dell’attuale, interminabile, congiuntura determinata dalla pandemia di Covid-19, che sarà oggetto della parte finale della presente esposizione.
“Il documento – premettono i promotori del rapporto - ci mostra come la realtà e le problematiche dell’immigrazione vadano comprese a tutto tondo, mettendone in luce la relazione e il mutuo rimando. Non è possibile, infatti, realizzare un’efficace accoglienza dei migranti se si cura solo l’aspetto economico o lavorativo. Ignorando quindi la dimensione sociale e relazionale.”
Nell’introduzione, il rapporto ammonisce come “non sia possibile realizzare un’efficace accoglienza dei migranti se si cura solo l’aspetto economico o lavorativo, ignorando la dimensione sociale e relazionale. Né si darebbe una risposta adeguata ai loro bisogni se si trovasse una soluzione al problema abitativo, senza offrire possibilità sotto il profilo culturale e quello religioso, quali dimensioni essenziali della vita di ogni persona. È una concezione riduttiva dell’accoglienza quella che la concepisce come semplice supporto materiale ed economico.” Vi è un intimo legame tra i vari ambiti in cui ogni persona, e quindi ogni migrante, deve poter esprimere il suo essere e la sua personalità. Solo così, infatti, si realizza un’autentica integrazione nel nuovo contesto sociale, la quale può dirsi compiuta quando, da ospiti, coloro che sono stati accolti diventano soggetti partecipi e attivi, offrendo un contributo personale alla crescita del tessuto sociale, del quale ormai sono divenuti parte”. “Tale obiettivo rappresenta un’autentica sfida, e una scommessa per tutta l’Europa, per il nostro Paese e per i singoli territori, chiamati a vedere in coloro che chiedono ospitalità, non un peso ma una ricchezza dal punto di vista lavorativo, culturale e umano. Questa prospettiva contrasta apertamente con l’opinione, diffusa a più livelli, che vede nel migrante un’insidia, e nell’opera di coloro che lo soccorrono un pericolo, in quanto spingerebbe altri ad approfittare della solidarietà offerta. Il rapporto, quindi, oltre ad offrire un rimedio alla scarsa conoscenza del complesso fenomeno migratorio, si oppone anche a tali pregiudizi, generatori di un clima di diffidenza che sfocia, come sappiamo, in atteggiamenti di disprezzo, intolleranza e violenza”.
Il fenomeno migratorio, va inoltre valutato all’interno della situazione demografica italiana, come documentato dai dati diffusi dall’Istat, dai quali si rileva la progressiva diminuzione della popolazione residente (-189 mila unità), in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Ciò è dovuto a due motivi: il calo della natalità, che pone il nostro Paese ad un livello tra i più bassi in Europa, il fenomeno migratorio dall’Italia, soprattutto dalle regioni meridionali, di giovani in cerca di lavoro, sia quello professionale, medici e ingegneri soprattutto, che terziario, come cuochi, camerieri, infermieri. È interessante rilevare come il calo demografico sia presente anche tra la popolazione straniera residente nel nostro Paese, dovuto, ma solo in parte al calo del flusso migratorio. Se fino a un decennio fa l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali “negativi”, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019).
La politica del blocco delle immigrazioni irregolari e clandestine (i due fenomeni spesso usati come sinonimi, sono in realtà diversissimi tra di loro), non solo incide pesantemente sul diritto di asilo e di protezione umanitaria, ma si rivela, a ben guardare, nociva sotto il profilo sociale ed economico. Sarebbe invece necessario una programmazione di quote prestabilite di flussi migratori per specifiche attività lavorative, oltre a programmi di qualificazione professionale e di progressivo inserimento dei migranti già presenti sul territorio. Ciò dimostra, se ve ne fosse ancora bisogno, come il nostro Paese ha bisogno di manodopera straniera per coprire le esigenze lavorative quasi in tutti i campi. Un esempio tra tutti è rappresentato dall’elevatissimo numero di immigrate provenienti dai Paesi dell’Est Europa e da Paesi extra europei come le Filippine, le isole di Capo Verde, occupate nei lavori di lavoratrici domestiche e di badanti per l’assistenza a persone anziane, ruoli fondamentali in relazione alla carenza pressoché assoluta di personale italiano interessato a questo genere di occupazione.
Vi è poi il diffuso convincimento nell’opinione pubblica (indotta da una martellante diffusione di fake news da parte di ambienti e personaggi della destra sovranista, che la maggioranza della popolazione straniera presente sul nostro territorio sia costituita da immigrati di colore e di religione islamica. Niente di più falso, come si vedrà da qui a poco. Falsa è ancora la percezione che la popolazione straniera arrivi a raggiungere il 30% di quella italiana.
I cittadini stranieri residenti in Italia (compresi, i cittadini comunitari), in base alle elaborazioni Istat al 1° gennaio 2020 ammontano a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%); la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919), bianchi e di religione cattolica!
L’occupazione dei cittadini stranieri continua a dare segnali di crescita, con conseguenze positive sia sotto il profilo della crescita economica del Paese, sia sotto il profilo della sicurezza, sia ancora per il contributo ai bilanci dell’INPS.
Non si registrano significativi avanzamenti nella qualità del lavoro. Permane la tendenziale concentrazione in alcuni specifici settori, in cui le qualifiche e le mansioni ricoperte sono per lo più a un basso livello professionale o contrattualizzate a tempo (o con modalità precarie). Si fa riferimento agli immigrati dediti a lavorazioni artigianali, come la raccolta delle arance nella Piana di Rosarno in Calabria, dei pomodori in provincia di Foggia, delle mele in Alto Adige. Ciò provoca, tra l’altro, la creazione di baraccopoli, le cui condizioni igieniche sono assolutamente precarie e indegne di un Paese civile.
Il rapporto mette inoltre in evidenza le differenze retributive con i lavoratori italiani. C’è ancora scarsa partecipazione delle donne (soprattutto di alcune nazionalità) al mercato del lavoro, se non per i servizi domestici di cui abbiamo già parlato. L’adibizione a lavori manuali è costante, con scarsa preparazione anche rispetto ai rischi per la sicurezza. Ancora scarse le prospettive di crescita professionale dei più giovani almeno stando alle attuali tendenze. Eppure, l’apporto economico dell’immigrazione parla chiaro. In Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale. I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di IRPEF. L’IVA pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. È un dato che lascia prevedere il potenziale economico dell’immigrazione visti i benefici sicuramente molto superiori nel medio-lungo periodo. I contributi INPS, come ricordato in precedenza, rappresentano una voce fondamentale a garanzia dei pagamenti delle pensioni a lavoratori italiani, (contributi dai quali i lavoratori stranieri che rientrano nei propri Paesi di origine non traggono alcun beneficio), in presenza dell’aumento del numero degli anziani, titolari di pensione, e della diminuzione della popolazione lavorativa giovanile.
La presenza degli alunni stranieri si attesta come una componente sempre più fondamentale e consistente, se si tiene presente che nell’anno scolastico 2018-2019 si è registrata la perdita di 100 mila studenti italiani (-1,3%), e, per contro, l’aumento di studenti con cittadinanza straniera, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente, per lo più di seconda generazione. I tassi di scolarità riportati nel rapporto immigrazione 2020 consentono di misurare indirettamente i livelli di integrazione dei giovani cittadini stranieri sul territorio. Infatti, nelle fasce di età 6-13 anni i sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7%.
Circa l’esito dei percorsi scolastici, nell’anno scolastico 2017/2018 gli studenti italiani in ritardo sono risultati il 9,6%, contro il 30,7% degli studenti con cittadinanza non italiana. Questi ultimi sono anche quelli a più alto rischio di abbandono, pari al 33,1%, a fronte di una media nazionale del 14,0%.
Secondo l’Istat nel 2019 gli individui di nazionalità non italiana in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con una incidenza pari al 26,9%. Le famiglie in povertà assoluta sono composte nel 69,6% dei casi da famiglie di soli italiani e per il restante 30,4% da famiglie con stranieri.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 22,0% (25,1% nel 2018) per le famiglie con almeno uno straniero (24,4% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e al 4,9% per le famiglie di soli italiani.
Secondo quanto riportato dal rapporto, le restrizioni imposte dal lockdown su vari aspetti della vita sociale (il divieto di spostamento sul territorio, la necessità di rimanere a casa, la sospensione delle attività lavorative, l’interruzione della frequenza scolastica, ecc.) avrebbero penalizzato fortemente le famiglie immigrate, anche a causa di una situazione lavorativa e logistica che già in partenza si presenta notoriamente più debole di quella degli italiani.
In Italia, lentamente ma inesorabilmente l’immigrato da marginale entra sempre più nel dibattito politico anche di questa pandemia: il 7 aprile 2020, con un decreto interministeriale, il Governo dichiarava i porti italiani «luoghi non sicuri» a causa della pandemia di Coronavirus. Tale decreto di fatto eludeva gli inderogabili obblighi costituzionali ed internazionali in materia di diritto di asilo, di tutela dal rischio di subire trattamenti inumani e degradanti e di ricerca e di soccorso in mare. Piuttosto che rafforzare la cooperazione nelle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali l’Italia condannava all’abbandono in mare centinaia di persone. Come se il SARS-CoV-2 potesse sospendere gli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare a carico degli Stati. Molti rifugiati provenienti da Paesi africani, ma anche da zone di guerra come la Siria e l’Afghanistan, stanno vivendo una situazione paradossale. Si trovavano emarginati comunque in Libia, Grecia o Turchia, ma ora con ancora maggior forza perché sono irrazionalmente rifiutati dalla gente del posto come presunti portatori del virus. E non sono mancati i soliti luoghi comuni sugli untori manzoniani. “L’altro”, il diverso, diviene responsabile in modo esclusivo. “Noi” siamo le vittime. Nei primi giorni dell’epidemia circolavano fake news sul fatto che gli immigrati non venissero contagiati e non si ammalassero. La preoccupazione era invece che il rischio potesse essere alto a causa del forte disagio abitativo e lo scarso accesso all’acqua ed ai servizi igienici in particolare negli insediamenti informali. Di fatto, per mesi il tema della sicurezza delle strutture d’accoglienza in tutta Italia non è stato presente nell’agenda delle misure da mettere in atto.
Solo per il 60% dei casi era stata individuata una “soluzione fai da te” per la gestione di soggetti positivi con stanza di isolamento o con trasferimento, quando possibile, in altra struttura messa a disposizione da operatori sociali e onlus locali. Solamente il 28% ha riferito il trasferimento in struttura dedicata resa disponibile dai Comuni. Il buon senso e la buona volontà degli operatori ha fatto sì che anche i casi sospetti, nel 46% dei casi, fossero isolati dalle organizzazioni di cui sopra in quanto la risposta istituzionale è stata solo del 21%. Ciò ha evitato comunque quegli errori di promiscuità che nella gestione delle RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) avevano prodotto condizioni drammatiche.
La consultazione della versione integrale del rapporto, composto da 272 pagine di testo, oltre a numerosi diagrammi illustrativi, consente a chi volesse approfondire l’argomento di avere un quadro di conoscenza, non limitata solo al nostro Paese, ma all’intero contesto internazionale.