Il primo capitolo dell'ultima enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti descrive le ombre di un mondo chiuso. Ad onor del vero la stessa enciclica appare scritta in un “mondo chiuso” tra le mura leonine. La bibliografia dell'ultima fatica del Pontefice fa riferimento, come tutti i documenti papali, solo ed esclusivamente a discorsi e scritti vaticani.
I rapporti annuali delle Nazioni Unite, da quello della Banca Mondiale a quello dell'UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), sono un po’ più clementi con il mondo pur avendo tra loro, ormai da decenni, un punto di vista divergente. La Banca Mondiale ha un indice sviluppo basato su finanza, investimenti, occupazione mentre l'UNDP ha un ISU – Indice di Sviluppo Umano e conseguenti centrati sulla persona (sanità, scuola, opportunità).
È pur vero, come dice il Papa, che la globalizzazione ha favorito il decostruzionismo che demolisce il passato e guarda solo al futuro oltre ad aver omogeneizzato i saperi, ma è altrettanto vero che il passato, per molti Sud del mondo, era conflitto tribale, infibulazioni mutilanti, comunità possessive e non solo narrazioni sotto l'acacia e tramonti.
I dati che emergono da un recente rapporto della World Bank (2019) mostra un traguardo da non sottovalutare: la povertà intesa come quota di popolazione mondiale che vive con meno di 1,90 dollari al giorno è al minimo storico.
Dall’inizio dei fenomeni di globalizzazione (1989), la povertà è diminuita da circa il 40% a poco più del 8% di oggi. Nei decenni precedenti, aveva sempre oscillato intorno al 50%. La globalizzazione, soprattutto in Asia, ha portato circa 1,25 miliardi di persone fuori dalla povertà.
Molto ancora rimane da fare. Soprattutto la politica economica deve evitare che a fronte di una riduzione della povertà globale non corrispondano aumenti eccessivi delle disuguaglianze (di opportunità) all’interno del mondo sviluppato che tanta benzina ha dato al fuoco del populismo.
Ma ad “abolire la povertà”, dati alla mano, ci stanno riuscendo la crescita, l’integrazione, il commercio, i mercati e solo in misura minore la fraternità francescana, la cooperazione internazionale e/o le rimesse dei migranti pur essendo tutti utilissimi allo sviluppo (in entrambi i sensi) di un Paese.
Ci risuona ancora il detto di Adam Smith: “Non è per il buon cuore del birraio ma per la concorrenza”.
Effetto Cina? Non solo! Anche Paesi enormi, presi singolarmente, come sottolinea l'economista Marattin, tipo India, Brasile, Angola e Nigeria mostrano una decrescita della povertà significativa.
Innovazione e progresso tecnologico da un lato, come dice Francesco portano ad “aggressività senza pudore ed informazione senza saggezza” che sottoscriviamo ma dall'altro lato, secondo la Banca Mondiale, generano più prosperità di quanta non ne abbia compromessa.
Però, e qui hanno ragione sia il Papa che la Banca Mondiale, v'è un'umanità che rimane ai margini di questo sviluppo 4.0 che va integrata soprattutto con scuola e sanità. Nei Sud del mondo 4 persone su 5 non sanno cosa significhi “protezione sociale”. 2 miliardi di lavoratori nel settore informale sono privi di una retribuzione stabile e formazione; questi rallentano l'accesso ad un reddito minimo, alla parte buona della globalizzazione e conseguente relativo sradicamento della miseria (sotto 1,90 dollari giorno).
“L’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso” come auspica Francesco ponendosi come obiettivo l'agenda 2030 (aggiungiamo noi) che si prefigura fame 0. L'appello va soprattutto alle democrazie a darsi una mossa disincentivando politiche che creano debito (a carico delle generazioni future) ed incentivando politiche che creano sviluppo.
Se andiamo a vedere quali sono i Paesi top ten nella crescita troviamo Paesi enormi come la Cina, il Brasile, l'India, la Thailandia che non sono proprio dei gioielli di partecipazione democratica. Anzi, piuttosto nazionalisti in quanto anche il sovranismo si globalizza e viene meno la cooperazione tra gli Stati. Ciò porta a sviluppo? Sì. Nel breve periodo.
Detto altrimenti: ha fatto bene Trump a fare una politica isolazionista e non aperta al mondo come auspicato dall'Enciclica? Sì. Per rispondere al mercato interno e far ripartire l'economia (non più acciaio da Ilva di Taranto ma solo acciaio a stelle e strisce). Nel breve periodo si hanno benefici economici e, conseguentemente, elettorali. Nel medio periodo ciò non paga più perchè il rinchiudersi dentro i propri confini ed il boicottare le istituzioni internazionali come le agenzie e programmi Onu ha come risultato essere sostituiti nei luoghi che contano dalle stesse economie emergenti tipo Cina che gli USA vorrebbero combattere.
Perdiamo lo “spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni” descritto nell'enciclica. E nel global o ci sei o non ci sei. E se ci sei abiti la contraddizione con difficoltà ma, soprattutto, con qualche opportunità.