Contatto e relazione hanno un significato completamente diverso quando l’osservatore è una cosa sola con l’osservato. Allora c’è uno spazio straordinario e c’è libertà.
(Jiddu Krishnamurti)
Questo è un anno in cui grandi i grandi viaggi ci sono preclusi, ma potreste raggiungere Venezia.
Ora che la città che si è temporaneamente liberata dalla cappa opprimente delle grandi navi da crociera e del turismo di massa, la sua bellezza è abbagliante.
Scoprirete non solo una diversa versione ma una nuova dimensione della città: nelle calli silenziose si cammina con un passo infinitamente più leggero, Piazza San Marco quasi deserta sembra non solo più grande e maestosa ma anche molto più misteriosa e magica.
Nei bar e persino nei ristoranti si sente nuovamente la strascicata parlata locale: Venezia è stata temporaneamente restituita ai propri abitanti.
Le orde barbariche armate di telefonini con cui annientare la bellezza della città in un tristissimo selfie sono sparite, sono spariti gli Americani in pantaloni corti su culi debordanti, le file di asiatici armati di ombrelli e cappellini, è sparito quel corri corri di gente che si agita senza sapere dove andare e senza capire dov’è.
È ora di andare a Venezia, dove fino a primavera c’è un viaggio nel viaggio che vi aspetta.
Nella cornice sontuosa di un bellissimo palazzo veneziano vi attende una esperienza straordinaria che vi permetterà di guardare il secolo scorso attraverso gli occhi di uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi: Henri Cartier-Bresson1.
Cartier Bresson è stato uno dei padri della fotografia e del fotogiornalismo: il suo modo di cogliere e trasmettere la realtà con uno scatto ha formato il nostro immaginario collettivo e il nostro modo di vedere e sentire il mondo attraverso le immagini che lo rappresentano.
Questo grandissimo maestro ha usato per tutta la vita una Leica con un obbiettivo da 50mm, un apparecchio che gli permetteva di rimanere nell’ombra, dietro le quinte, nell’unico ruolo che riusciva a concepire, quello di un osservatore invisibile.
Non ha mai ammesso neppure l’ipotesi di alcuna forma di editing in fase di stampa: la verità è la protagonista assoluta dell’opera e del mondo di Cartier-Bresson.
Le sue foto colpiscono perché riflettono la forza che proviene dall’intensità dell’attimo e dalla capacità di osservare e farsi coinvolgere da ciò che ci circonda.
Sono immagini perfette ma senza perfezionismo, sono il risultato di una capacità intuitiva impressionante.
Cartier Bresson ha sviluppato l’abilità di cogliere e vivere il momento permettendo che l’inconscio, la mente e lo spirito trovassero una congiuntura perfetta.
Persino la perfezione della composizione delle sue immagini non cede mai alla tentazione di piegare la realtà ad una esigenza formale, la sua intera opera riflette il rispetto dell’osservatore per ciò che osserva.
Che cosa straordinaria a vedersi oggi, in una società che vive e muore di esibizionismo, protagonismo e di immagini falsificate.
ll tuo occhio deve vedere una composizione o un’espressione che la vita stessa propone, e si deve saper intuire immediatamente quando premere il clic della fotocamera.
(Henri Cartier Bresson)
Dall’inizio degli anni ’70 Cartier-Bresson ha abbandonato progressivamente la fotografia per ritornare alla sua prima passione, la pittura. All’inizio degli anni Settanta ha selezionato quella che viene chiamata la “Master Collection”, una collezione di 385 immagini che ha giudicato come le più significative e rappresentative di tutta la sua opera.
La mostra di Palazzo Grassi è un progetto ambizioso: Matthieu Humery, curatore e storico della fotografia, ha chiesto alla fotografa Annie Leibovitz, al regista Wim Wenders, allo scrittore Javier Cercas, alla direttrice del dipartimento di Stampe e Fotografia della Bibliothèque Nationale de France Sylvie Aubenas e al collezionista François Pinault, di scegliere una cinquantina di immagini a partire dalla Master Collection.
Ogni curatore aveva carta bianca e non era a conoscenza del materiale selezionato dagli altri, quindi di fatto Le Grand Jeu non è una mostra ma cinque, che riflettono altrettanti modi di vedere e interpretare la Master Collection e il lavoro del maestro.
Il problema è che io da vicino non ci vedo più benissimo.
Nel reportage il “dove” e il “quando” la foto è stata scattata sono elementi imprescindibili, e in buona parte della mostra le foto sono indicate solamente con il numero corrispondente alla catalogazione originale, quindi per risalire al dove e quando bisogna consultare un piccolo catalogo che viene fornito all’ingresso.
Mi sono trovata costretta a uscire dalle foto e dovere entrare in un libretto cercando numeri e descrizioni, operazione che trovo incompatibile con la possibilità di “entrare” nelle immagini. Per chi è presbite è un disastro di togli e metti gli occhiali.
A mio parere in una mostra l’occhio del visitatore -essendo il suo unico mezzo per entrare in contatto con le opere esposte- dovrebbe essere trattato con maggior riguardo: la fatica non favorisce la concentrazione e ho trovato piuttosto estenuante ed in qualche momento decisamente frustrante dover saltare dalle foto al numero e dal numero al catalogo.
Ma è probabile che io -che nonostante la mia critica sarò eternamente grata a Matthieu Humery per avermi dato la possibilità di vivere questa esperienza- sarò l’unica persona sulla terra a pensarla così.
Ho lasciato Palazzo Grassi travolta dal desiderio di potere vedere un giorno la Master Collection come ce l’ha lasciata il suo autore, in ordine cronologico, con le didascalie originali (Bresson solitamente non usava titoli, il luogo e il momento erano sufficienti anche in questo caso) ben illuminata e in santa pace.
Mi rendo conto che il mio è un problema terribilmente soggettivo: di fronte a quelle che nell’arte in molto casi sono operazioni intellettuali (a volte sublimi e geniali e a volte terribilmente forzate) continuo ad avere la sensazione che l’intelletto e la dimensione poetica non abitino lo stesso universo.
Detto questo, precipitatevi a Venezia e andate a vedere questa sensazionale mostra, e scrivetemi le vostre impressioni.
Vi leggerò molto volentieri.
1 Le Grande Jeu. Henri Cartier Bresson a Palazzo Grassi, Venezia, fino al 20 marzo 2021.