A soli cinque minuti di auto dal centro di Cortona, si trova una sorprendente oasi di pace e tranquillità. Dalle mura etrusche della città, percorrendo una stradina che si addentra sempre più fra il verde della Valdichiana si giunge all'Eremo Le Celle. Questa roccaforte dei frati cappuccini si trova a 550 metri d'altitudine, ai piedi del Monte Sant'Egidio ed è circondata da versanti scoscesi e in parte rocciosi sui quali cresce un secolare bosco con prevalenza di lecci alti anche 12-15 metri.

Sembra che il nome Le Celle venisse utilizzato per indicare questo luogo ben prima del Duecento. Qui sorgevano, infatti, luoghi di ricovero per pastori e contadini ricavati fra le rocce. Nella zona erano presenti anche alcuni mulini che sfruttavano le acque del torrente per muovere le loro pale.

A parte queste prime testimonianze fumose, la storia dell'eremo è indubbiamente legata a doppio filo con la figura di San Francesco. Nel 1211, infatti, il Santo si trovava a Cortona e chiese a Guido Vagnottelli, allora un giovane nobile della città che successivamente diverrà noto come Beato Guido, un luogo per ritirarsi a pregare. Il giovane gli indicò la zona de Le Celle e Francesco ammaliato dalla natura, dall'acqua del torrente, dalla pietra e dal silenzio se ne innamorò tanto da stabilirvisi immediatamente, trovando dimora in una spaccatura della pietra. Decise di instaurare in questo luogo uno dei primi insediamenti francescani e, infatti, dopo questa sua prima permanenza, lasciò a Le Celle un piccolo gruppo di suoi frati a custodia del sito.

Probabilmente Francesco sostò diverse volte in questo Eremo, ma rimane solo la testimonianza dell'ultimo passaggio. Nel maggio 1226, di ritorno da Siena per curare una malattia agli occhi, si fermò a Le Celle. Qui, in connessione con la natura, scrisse il suo Testamento in cui ripercorreva, in sintesi, tutta la sua esperienza spirituale. Lo stesso anno, quattro mesi dopo, ad ottobre, morirà nella sua Assisi.

La fine di Francesco non si tradusse nella chiusura del complesso, al contrario. Nel 1235, infatti, Frate Elia Coppi, cortonese, definito “il braccio muratore di San Francesco” e, allora, Ministro generale dell'Ordine dei Minori, iniziò ad ampliarlo. Per suo volere, il luogo centrale da cui distribuire a ventaglio tutti gli altri ambienti, seguendo il naturale andamento del monte Sant'Egidio, doveva essere la cella-grotta, il primo ricovero di San Francesco. Adiacente a questa si trovava un locale rettangolare, un tempo probabilmente dormitorio dei primi frati, oggi Oratorio.

Cella e Oratorio rappresentavano il nucleo primigenio, ricavato direttamente dalle spaccature naturali della pietra. Nel 1232 frate Elia sostituì in muratura il nucleo primigenio, realizzò una cappella sovrastante e aggiunse un terzo livello: cinque (secondo alcune fonti otto) stanze per i frati, dove ci stavano solo un letto, un asse a muro per tavolino e una sedia. A differenza di una, divenuta ora biblioteca, le stanze sono rimaste pressoché come costruite nel Duecento. Questi ambienti vennero disposti a gradoni, sul versante sud-ovest in modo da garantire la massima esposizione solare. Da notare come Frate Elia decise di servirsi delle pietre locali per la costruzione e di sfruttare il più possibile le grotte naturali già esistenti. Con questa conformazione i frati lo abitarono per quasi un secolo, fino a quando passò di proprietà della diocesi. Per duecento anni rimase disabitato e, solo nel 1537, il Vescovo di Cortona Leonardo Bonafede affidò il bene ai Cappuccini.

Il nuovo ordine elesse il luogo a Casa di Noviziato e iniziò a infrastrutturarlo per questo scopo. Ampliarono, per questo, il nucleo costruito da Frate Elia; l'aggiunta è facilmente intuibile ancora oggi anche per un occhio non esperto: i Cappuccini, infatti, non utilizzarono solo la pietra locale ma la mescolarono ai mattoni. Inoltre, per difficoltà costruttive, non mantennero l'asse con le costruzioni precedenti. In questo periodo, vennero costruiti la chiesa conventuale e, in alto, parallelo alla montagna, il corridoio del noviziato che comprendeva venti cellette ampie due metri per due.

La chiesa, visitabile ancora oggi, è un edificio a navata unica che non presenta decorazioni. Fa eccezione la pala, realizzata nel 1694 da Giovanni Maracci su commissione di un giovane novizio esponente della nobiltà lucchese e l'altare in legno realizzata l'anno successivo da Remigio da Firenze per dare degna collocazione alla pala prima citata. La chiesa è dedicata a Sant'Antonio da Padova, infatti, sulla parete sinistra c'è una nicchia con una statua a lui dedicata. Sul lato opposto vi è, invece, una nicchia con una statua di San Francesco.

Completano l'edificio una piccola cappellina, situata sulla destra dell'entrata, il Coro, posto dietro l'altare, e la Sacrestia (costruita nel 1624). Guardando l'ingresso da fuori, si nota come le colonne del loggiato e la porta d'ingresso siano inclinate: quest'area dell'eremo è sempre stata interessata da un scivolamento del terreno verso il torrente, tant'è che nel 1988 si sono dovuti realizzare dei lavori di consolidamento per preservare la chiesa e renderla visitabile ancora oggi.

Molte delle costruzioni o delle opere d'arte presenti nell'eremo sono donazioni delle ricche famiglie dei novizi che hanno vissuto nel convento. Il ponte di mezzo ne è un chiaro esempio. Fra il 1594 e il 1596, il convento ospitò come novizio Antonio Barberini, fratello del futuro Papa Urbano VII. La famiglia, a ricordo della sua presenza, fece costruire il ponte di mezzo, detto, appunto, Ponte Barberini. O ancora, lungo la via che da Cortona scende all'eremo troviamo la Cappella Bentivoglio. Fu eretta nel 1663 da un conte della famiglia Bentivoglio, quando divenne novizio. La costruzione votiva è molta semplice, realizzata con materiale locale, con un tetto a capanna e le travature lignee a vista. Sul muro di fondo spicca una maiolica policroma raffigurante la Madonna dei Sette Dolori (XIX sec.). Vale la sosta di cinque minuti per visitarla.

Solo un anno prima della costruzione della sopracitata cappella, nel 1692, avvenne un fatto che cambiò la configurazione del versante verso la città. Alcuni frati morirono e altri si ammalarono gravemente, furono per questo allontanati dal convento e si ristabilirono velocemente. Tornati a Le Celle, però, ricaddero nella malattia. Si pensò che la vegetazione troppo fitta antistante al convento rendesse poco salubre il luogo. Si decise, quindi, di tagliare parte del bosco. A seguito di questa operazione, si rese necessaria la sistemazione del ripido versante rimasto nudo con muri, terrapieni, terrazzamenti, scale e stradine che ancora oggi disegnano questo versante.

Risolta velocemente la questione della moria di frati, nel 1624 vi fu un ulteriore ampliamento dei fabbricati al fine di ospitare più confratelli. Nel 1651 venne aggiunta alla destra della chiesa la Cappella di San Felice da Cantalice, donata da Margherita Venuti, una nobile cortonese conosciuta come La Papessa. Di questa piccola cappella spicca la pala d'altare di Simone Pignoni raffigurante appunto San Felice mentre riceve fra le mani Gesù Bambino dalla Madonna.

Tra il 1728 e il 1775, invece, venne realizzata una nuova sopraelevazione della vecchia Foresteria. A questo periodo risale anche l'edificio più alto che oggi è visibile a destra del ponte di mezzo. Al 1728 si fa risalire anche la storia di un altro ponte del complesso, il ponte di fondo. Questo è chiamato ponte del Granduca, che ne approvò e finanziò la ricostruzione a seguito della distruzione di un vecchio attraversamento. La leggenda narra che fu ricostruito in sasso e pietra in sole due settimane. Nel 1995 è stato restaurato con i fondi del Comune di Cortona. Da questo ponte si può godere di una delle viste più suggestive dell'eremo, che, visto dal basso, appare in tutta la sua armoniosa imponenza.

Dal 1775, inoltre, entrò a far parte della proprietà dell'eremo anche l'Oratorio di San Franceschino. Questo edificio, ubicato antistante al parcheggio delle auto, oggi segna l'ingresso al complesso de Le Celle. All'interno, lungo la sua unica navata, si trovano alcune tele raffiguranti la vita del Santo di Assisi.

In seguito, i cappuccini furono cacciati a più riprese dal complesso: nel 1775 dalle autorità del Granducato di Toscana, nel 1807 dal governo napoleonico e nel 1866 dal governo italiano, ma riuscirono a tornarvi stabilmente dal 1871. Grazie alla loro cura del sito, il 30 settembre 1927 il Ministero della Pubblica Istruzione dichiarò il convento e il bosco dei lecci Monumento nazionale.

Nel 1969 vi fu una prima campagna di restaurato e, dieci anni più tardi, una seconda. Di quest'ultima fa parte anche la risistemazione del ponte a monte. Fin dalla fondazione dell'eremo, in questa parte del corso d'acqua vi era un attraversamento alquanto precario. Ci è giunta la testimonianza che un ponte fu costruito nel 1890 ma, solo sei anni dopo, fu spazzato via da una piena. Pochi mesi più tardi ne venne realizzato un altro in ferro e tavole di legno. Si è sempre pensato, però, che fosse un oggetto in contrasto con l'architettura dell'eremo, così nel 1979 si decise di sostituirlo con un'arcata in pietra perfettamente armonizzata con il luogo.

L'ultima trasformazione risale, infine, al 1988. In occasione dei lavori di restauro della chiesa, una stanza sopra l'Oratorio, un tempo adibita a deposito, venne trasformata in cappellina. Chiusi i lavori si decise di mantenerla tale e di destinarla ai pellegrini che desiderano trovare un particolare momento di raccoglimento. Viene chiamata cappellina della Santissima Trinità perché all'interno è affrescata una Trinità. A parte questo dipinto, rimane un luogo molto sobrio, con travi a vista in legno e pareti con pietre a vista.

Dal 1988 il convento de Le Celle non è più sede dei novizi cappuccini ma è definito una “casa di preghiera”, abitata da una piccola comunità di frati francescani che continuano a praticare una vita contemplativa, basata sulla preghiera e l'austerità. Oggi la maggior parte degli spazi del santuario sono aperti a tutti. Molti fedeli di San Francesco vi si recano in pellegrinaggio e molti giovani frequentano il luogo per ritiri spirituali. Per questo, accanto al convento, oggi sorgono due stabili denominati “casette” con una quarantina di posti letto per ospitare gruppi autogestiti che vogliono fare esperienza della vita parca, tipica di una comunità francescana.

Che si sia credenti o meno la visita a questo luogo è caldamente consigliata, soprattutto per fare esperienza della pace interiore e del silenzio interrotto solo dai suoni della natura. Oggi, immersi nelle nostre città, abbiamo disimparato a sentire lo scrosciare dell'acqua, il canto degli uccellini, il vento che muove le fronde degli alberi e i passi di chi attraversa il bosco o percorre i vialetti e i ponti in pietra. In più, davanti a questo sistema complesso di celle, cappelle e spazi per la vita di comunità, che sembrano nascere direttamente dal monte, non si può non fermarsi a riflettere sulla capacità di costruire “entro l'ambiente e non contro l'ambiente”, che più di cent'anni fa Giovannoni citava in un suo scritto ma che oggi abbiamo, in parte, disimparato.