Ma l'uomo desto e cosciente dice:
io sono un corpo e null'altro al di fuori
Zarathustra, Degli sprezzatori del corpo.Ci sono alcuni che predicano la mia dottrina della vita
e si fanno insieme sostenitori dell'eguaglianza
Zarathustra, Delle tarantole.
Perché un professore di filologia greca all’università di Basilea verso la fine della settima decade del diciannovesimo secolo lascia la sua cattedra per girovagare solitario fra Francia, Italia e Svizzera e scrivere un libro delirante e mitologico chiamato Zarathustra? “L’esperimento Nietzsche” non è stato ancora indagato del tutto né compreso adeguatamente. È stato appunto un “esperimento umano” che Nietzsche stesso ha deciso lucidamente di compiere su se stesso. Per comprendere il senso di questo percorso di vita, culminato simbolicamente in questo libro che ancora oggi rappresenta un “caso” unico di “vangelo mitologico” posto nel cuore di una Modernità allora crescente (e oggi in crisi), occorre ricordare questo pensiero dominava allora.
Ricordiamo che gli anni tra il 1883 e il 1885 sono gli anni in cui viene inaugurato il ponte di Brooklyn, nasce l’automobile e la Scala di Milano inaugura l’illuminazione elettrica. Anni di prodigiosi successi tecnico-sociali e scientifici. Sono anche gli anni del trionfo del colonialismo europeo sul mondo. Non sembra servire un nuovo pensiero filosofico. Sembra già allora la fine della storia e l’inizio dell’età dell’oro per tutti. Invece questo accade: nasce una nuova visione, mitico-tragica, apollineo-dionisiaca. Le trincee terribili della Prima guerra mondiale da una parte segneranno una sconfitta clamorosa di ogni ideale di progresso, compresi quelli nicciani, dall’altra sarà vista quale fucina tragica gravida dell’Uomo Nuovo. Questa considerazione permette di comprendere meglio la novità e il valore dell’esperimento umano nella logica di chi lo ha deciso e incoraggiato.
Allora dominava un pensiero non dissimile dall’attuale pensiero dominante: esaltazione della scienza, del benessere materiale, degli ideali di progresso, polemica contro il Cristianesimo, specie se Cattolico, e nuove forme di “messianesimo laico” come il marxismo e il comunismo, che sia aggiungevano al Liberalismo quale forma laica di redenzione umana “per via economica”.
L’Ottocento è il secolo dei conflitti ideologici, degli scontri dialettici fra due poli complementari: il materialismo hegeliano e lo spiritualismo occultista. In mezzo ecco comparire una possibile “terza via”: l’umanesimo eroico e mitizzante. Ma per raccontarlo e renderlo attrattivo occorreva un araldo, una cavia, un testimone, qualcuno che iniziasse a prendere sul serio il Mito antico, la Grecia selvaggia e arcaica, qualcuno che lasciasse il Mito sulla carta dei libri per iniziare a viverlo ogni giorno e a cantarlo a partire da esperienze vissute. Inizia allora la vita nomadica e solitaria di Nietzsche.
Un viaggio tutto interiore e con forti venature oniriche e sciamaniche. Siccome ogni sistema non può autofondarsi, come Kelsen, Wittgestein e Godel ci confermano, neppure la nuova “mitologia sperimentale” di Nietzsche poteva fondarsi solo su una rivisitazione della Grecia magica ed eroica e infatti non a caso Nietzsche rinvia ad una gnosi intima ancora più antica: quella manichea e aristocratica di Zoroastro. Un culto della Luce e del Fuoco, della Guerra e dell’Ascesi. Ecco quindi il profetico e apocalittico Nome: Zarathustra. L’obbiettivo era chiaro: aprire uno scenario esistenziale che potesse selezionare nuove élite fornendo loro una base culturale-spirituale.
L’intuizione di base era già profetica e acuta in quanto nel cuore degli anni ruggenti di una Modernità di successo industriale prometeico ed europeo già si era compreso che occorreva una sintesi hegeliana di superamento nel conflitto sempre più violento fra Liberalismo e Socialismo. Una sintesi che evitasse l’implosione interna della Modernità stessa, già colta quale sistema debole e fragile dal punto di vista spirituale ed etico, poco capace di mantenere coesione sociale e senso di appartenenza. Il Mito per tornare ha bisogno di cantori e di profeti, di testimoni viventi, altrimenti è mera archeologia nostalgica per pochi. Ecco un volenteroso: un giovane appassionato di miti greci che scommette anche lui su questa idea di iniziare a prendere sul serio la visione greco antica dell’esistenza e ripresentarla. Un tentativo. Una nuova estetica per rifondare un’etica.
Per questo Nietzsche con lo Zarathustra supera sia Illuminismo che Romanticismo, assorbendoli entrambi. Ma il dogma iniziale, generativo, resta molto vicino al marxismo: non c’è trascendenza ultraterrena! L’ideale nuovo dell’Iper-Uomo incorpora una “trascendenza immanente”, del tutto terrena. In due passi molto chiari emerge questo dogma anche dal testo. Due passi dove l’autore esce per un attimo dall’entusiasmo narrativo e dalle formule mitizzanti e paraboliche della sua comunicazione per esplicitare il pensiero filosofico sotteso: il materialismo ontologico (pre-socratico) e una sorta di “umanesimo integrale”. Possiamo definire l’Iper-Uomo quale ideale simbolico di un “marxismo spirituale”, quale idea-limite di un “marxismo eroico-mitologico”.
Nietzsche stesso, quindi, conferma l’identità della sua predicazione con quella marxista eccezion fatta per l’egualitarismo da lui rifiutato perché antinaturale, perché mediocrizza l’uomo negando la naturale diseguaglianza all’interno della natura umana e, quindi, ostacolando l’emergere di una desiderata nuova aristocrazia spirituale. Tanto più che il sotto-pensiero nicciano si rivela gnostico, quindi elitario e pluri-naturista: ci sono gli ilici, gli psichici e i pneumatici, non sussistendo un’unica natura umana.
Per il resto la radice filosofica appare in effetti assai simile fra “zaratustrismo moderno e post-moderno” e marxismo, identificandosi in un umanesimo estremo, totalizzante, panteista. Se l’assioma è che tutti gli dei sono creati dall’uomo, (Zarathustra, Di quelli che vivono fuori del mondo), siamo in presenza del medesimo dogma di Feuerbach e allora ecco la nuova sfida, titanica ma possibile (se il postulato posto non erra): creare l’Iper-Uomo, cioè non solo una nuova concezione di umanesimo ma una vera e propria nuova vivente ontologia antropica. Un nuovo tipo di hegelismo: di centro, puro, centrale, che rifiutasse sia le derive hegeliane di destra (liberalismi) che di sinistra (socialismi).
Il Liberalismo viene rifiutato implicitamente perchè riduce l'uomo "all'uomo pulce", privo di ogni ideale e ascesi, il Socialismo perchè disconosce l'Uomo quale "singolarità assoluta", postulato per l'Iper-Uomo, a sua volta naturale frutto di un’umanità vista per sua natura quale “corda tesa”, “freccia”, “ponte”. I paradigmi dialettici sono infatti performativi: tramite un lavoro sulla propria coscienza e sul linguaggio, concepiti anche magicamente, il reale muta. Visione demiurgico-teurgica, di origine rinascimentale. Ecco un altro dogma postulato.
Una sorta di Nuova Atlantide di Francesco Bacone, ma applicata “in interiore hominis”. Lo si dice espressamente: l’anima quale fenomeno del corpo e il corpo quale luogo dell’Essere, colto nei suoi aspetti pre-socratici, cioè un Essere impersonale, numinoso, misterioso. Un nuovo misticismo stoico, già allora e ancora oggi “post-moderno” che sorge quando l’uomo affronta il suo hic et nunc in totalità e nudità, senza fughe né proiezioni. Nell’affascinante “canto notturno”, ispirato dalla bellezza delle tiepide notti di una Roma primaverile con le sue grandi fontane nelle piazze, Zarathustra canta la sua stessa alchemica e sperimentale “autosufficienza”, canta l’epos del “desiderio del desiderio”, il fascino tenebroso della passività, della dipendenza.
Qui esce radiante non solo il fascino di un canto all’Amore (non sentimentale) quale potenza cosmica di puro superamento, quale mero traboccare di energia, ma, ancor più profondamente, la gnosi orientale del rapporto complementare e manicheo fra Luce e Tenebra. Il Mito quale ambiente naturale per un superamento dell’umanesimo, “per via eroica”, mitopoietica, possiamo dire “mitogonica”. Una sorta di “auto-ascesi” che ha senso solo in una visione greco antica di tipo cosmico e metamorfico dove il Kosmos viene posto quale increato e la physis umana vista in continua trasformazione. Una visione quindi non solo arcaicamente greca ma pure del tutto modernamente evoluzionistica, super-darwiniana. In una terza emersione razionale lo conferma il testo: la necessità posta di passare “da una specie ad una super-specie” (Zarathustra, Delle virtù donatrice). In questo Nietzsche resta moderno conservando una linea di progressività evolutiva che viene dalle filosofie eudaimonistiche britanniche settecentesche. Operazione di “alchimia sociale ed esistenziale": nell’unica sostanza la via per la trasformazione dell’unica sostanza.
L’Iper-Uomo compare allora come nuovo alfa e nuova omega: fine ultimo e continuo del senso hegeliano della storia dello Spirito umano e inizio di un movimento performativo e archetipale di palingenesi del valore e della coscienza del soggetto. Ancora oggi ci muoviamo dentro questo alveo dii filosofia del valore e di filosofia della coscienza soggettiva. Nietzsche quindi non sconfessa Cartesio e Kant ma ne assume e riformula la radice ontologica portandola all’estremo: il Soggetto. Nietzsche riformula Cartesio e Kant all’interno del monismo spinoziano, di origine plotiniana, in modo che il nuovo nome del Noumeno sia appunto l’Iper-Uomo, quale epifania nuova e cosmica di un Essere che resta inconoscibile, lontano, gorgianamente non sperimentabile direttamente.
C’è molto Gorgia in Nietzsche. Il “noumeno” kantiano resta Inconoscibile. Va però reso affascinante, altrimenti non interessa nessuno e la società si desertifica. Una società kantiana non interessa nessuno. È la società dei computer e delle macchine, non dell’Uomo. L’Iper-Uomo appare quale nuovo Imperativo morale e nel contempo quale radicale reazione al moralismo prussiano del “tu devi”, dell’alienazione eteronoma della morale propria dei modelli sociali borghesi e convenzionali. "Quale è questo drago immane che lo spirito non vuole chiamare più oltre suo padrone e suo dio? Si chiama egli "Tu devi" (Zarathustra, Delle tre metamorfosi).
Questo "drago" è il padre di Nietzsche e la sua morale esteriore e arbitraria, alienante in quanto eteronoma. Lo Zarathustra canta in forma mitologica parabole dei Lumi e inizia dal principale Mito dei Lumi, già rousseauiano: il “buon selvaggio”. Zarathustra vive solitario in una caverna montana. È un “buon selvaggio”. La sua è un’etica autarchica, autonoma, cioè si fa e si dà legge a se stessa. I suoi segni sono segni gnostici: il sole, l’aquila e il serpente, cioè il nucleo profondo della vita (il sole), la conoscenza circolare e ciclica (il serpente) che vi attinge con il sacro fuoco dell’ascesi (l’aquila).
Questo è un uso già post-moderno del Mito. Non è un uso moderno perché la Modernitas a lui contemporanea viene rifiutata per il suo moralismo ipocrita e la sua bassezza umana massificante ma neppure è semplicemente neo-mitologico Nietzsche nelle sue invenzioni ideali. La stessa idea “dell’eterno ritorno” nicciano non appare una semplice riformulazione del tempo ciclico antico, fatto di eoni e di ritorni e consumazioni di tempi ma si rivela nuovo mito postmoderno, una prova eroico-esistenziale, un “experimentum crucis” al fine di vivere in pienezza “l’amor fati”, cioè la sperimentale ed ascetica identificazione fra volontà e necessità, fra autarchia interiore e assunzione del divenire. Una prospettiva ulteriore e differente rispetto alla semplice idea antica di Ananke e di Nemesi. Anche perché pure nel suo “eterno ritorno” Nietzsche assume un postulato illuministico, a suo modo razionalistico per quanto congetturale e ibrido tra antico e moderno: data la materia come finita e il tempo quale continuum infinito allora è concepibile la ri-combinazione totale di ogni situazione e vivente.
Una sorta di incrocio fra Darwin, Lavoisier e la concezione plotiniana, orfica e gnostica del tempo, seppur oggi insostenibile dal punto di vista scientifico e probabilistico. Un’idea-limite che serve a “mantenere la testa terrestre” e che rappresenta, insieme all’Iper-Uomo, il cardine del “vangelo zarathustriano”. Gli estremi appaiono avvicinarsi: la metafisica persiana, la più disincarnante, e “un’ontologia del corpo” che viene dal marxismo ma che lo stesso marxismo prende dal Giudaismo e dallo stesso Cristianesimo. Purtroppo Nietzsche conobbe per via paterna solo il peggio del Cristianesimo con il moralismo puritano e repressivo del padre. Quanti figli rovinati da pessimi padri! Idem accadde per Hitler. Simile pessima matrice psico-culturale paterna, ideologica e negativa. Se avesse conosciuto la teologia cattolica migliore avrebbe compreso che è proprio dai Vangeli che viene il “noi siamo corpo”, dove il corpo non è solo dono affidato da Dio ma condizione essenziale e perenne “dell’essere uomini”. Ma Nietzsche acquisisce il culto del corpo (da offrire in “olocausto”; altra idea molto ebraico-cristiana) per via giudaico-marxista e quindi riduce l’altro aspetto, l’anima individuale, a fenomeno di un monismo ontologico corporale. Marx studiava Democrito e pure Lenin da giovane consultava i frammenti pre-socratici alla Biblioteca Nazionale di Londra.
Il “niccianesimo” quale variante sciamanica del marxismo, quale “marxismo disegualitario”, edenico, saturnino. Il sogno del ritorno di un’“età dell’oro” di spiriti affini. L’equilibrio perfetto (seppur effimero e non sostenibile) tra Illuminismo e Romanticismo si evidenzia nello Zarathustra da una parte anche nella diffidenza illuministica verso i canoni morali tradizionali, nella ricerca sempre di una “geneaologia altra del valore”, e dall’altra nei toni e colori da Sturm und Drang propri di molte immagini cantate dal profeta dell’Iper-Uomo: il fulmine da nuvole scure, il traboccare come tempesta e uragano, il senso dell’immensità del mare, il fascino delle vette solitarie, il gusto del sublime e la “vertigine dell’abisso”, tutto un bagaglio e un immaginario romantik a cui attinge Nietzsche per colorare e rendere suggestiva la sua narrazione parabolica e mitizzante. Ecco un’altra via per comprendere lo Zarathustra: la reazione tutta germanico-protestante a due secoli di iconoclastia nell’arte. Il “parlare per immagini” dello Zarathustra corrisponde alla ribellione super-immaginale dei Preraffaelliti inglesi, dopo due secoli di moralismo e astinenza visivo-spirituale. Desiderio di originale, di originario, di selvaggio, di primitivo e infantile perché lo spirituale non muoia sotto i codici economici e sociali borghesi. Il ritorno potente dell’immagine è il ritorno del Mito quale epos, quale canto, quale desiderio di psicomachia. Solo se sappiamo immergerci nella medesima visione possiamo superare Nietzsche e le sue affascinanti ossessioni. Il racconto mitico cede solo ad un altro racconto mitico. Altrimenti diventa appunto feticcio, ossessione, scheletro, fantasma. Qui mi sembra di aver accennato a sufficienza, per chi legga con attenzione, al fine di de-mitizzare il suo esperimento umano e di pensiero, pur senza svalutarlo. Perché ogni svalutazione conserva mentre ogni denudazione oltrepassa.