La figura e l'azione di Romolo Gessi, non è mai stata di attualità come ora, quando rigurgiti razzisti e guerre e spartizioni neocoloniali dilaniano un’Africa sempre più misera e affamata.
Personaggio di un Risorgimento controverso e impegnato civilmente, amministrativamente e militarmente in Egitto, Sudan e nel martoriato Darfur: tutti recenti teatri di sanguinosi sommovimenti.
Il padre, Marco, di antica famiglia ravennate, carbonaro, fu costretto all'esilio in Inghilterra, dove, per le sue capacità, riuscì a diventare importante diplomatico con incarichi in Oriente e Romolo nacque proprio durante un viaggio che conduceva il padre a Costantinopoli.
Il “nomadismo” paterno influenzò, poi, tutta la sua formazione, che lo portò a temprarsi in un collegio militare austriaco, a ultimare i suoi studi in un'accademia tedesca e a partecipare alla guerra di Crimea, distinguendosi nella battaglia di Sebastopoli.
Ma l'Italia e Ravenna (di cui, pur essendo suddito britannico, ottenne la cittadinanza) gli erano rimaste nel cuore e si arruolò nei “Cacciatori delle Alpi”, partecipando alla Seconda Guerra d'Indipendenza accanto a Garibaldi.
L'esito sabaudo e moderato dell'unificazione, però, non si conciliavano con lo spirito anticonformista che aveva ereditato dal padre e, dopo aver conosciuto il famoso colonnello inglese Charles George Gordon, lo seguì, negli anni Settanta, in Sudan, allora possedimento dell'Egitto, stato semi-indipendente sotto il protettorato inglese. Qui poté finalmente esplicarsi la sua carica di innovatore politico e amministrativo, corroborata da uno spirito di avventura che lo spinse a risalire - coadiuvato anche da un altro grande esploratore ravennate Pellegrino Matteucci - tutto il corso del Nilo, fino al lago Alberto, che riuscì a navigare, esplorare e cartografare, trasportando, pezzo a pezzo, un battello a vapore dall'Egitto. Suo merito precipuo, che anche in questo caso non possiamo non collegare alla sua formazione “garibaldina”, fu la lotta contro lo schiavismo, che in quelle plaghe praticavano un po' tutti, perfino i missionari!
Se fino all'Ottocento lo sfruttamento del Centro Africa era avvenuto solo attraverso i “terminali” costieri, che esportavano carne umana e avorio, agli inizi del XIX secolo, l'Egitto, che pur facendo formalmente parte dell'Impero Ottomano, godeva di una larga autonomia, cominciò ad espandersi verso Sud, annettendosi gran parte dell'attuale Sudan. Questi possedimenti divennero una vera mecca per gli schiavisti; come documenta Romolo Gessi nel suo diario, i “negrieri”, spesso guidati da avventurieri arabi e turchi, circondavano i villaggi indigeni, facevano terra bruciata sterminandone i difensori e catturavano donne, bambini e giovani per avviarli alle lucrose piazze maomettane dell'Africa e dell'Asia.
Strada facendo, i più deboli morivano di stenti, altri, considerati meno atti alle marce forzate a cui erano costretti, erano venduti come commestibili alle tribù antropofaghe in cambio di avorio e pelli di animali.
Sorretto dalle sue grandi doti strategiche, l'esploratore ravennate riuscì a debellare i mercanti di schiavi sorretti dai ras locali con una guerra sanguinosa e iniziò un'opera di bonifica e di “modernizzazione”, che portò le popolazioni da un'economia pastorale e nomade allo sfruttamento delle ricchezze costituite dal tamarindo, l'olio di palma, l'arachide, la coltivazione del mais, del cotone e la raccolta della gomma. Ma la sua idea più geniale e avveniristica fu il coinvolgimento degli indigeni nella programmazione e nella gestione di queste immense risorse.
Non mancando di fiuto economico, Gessi cercò, inoltre, contatti anche con gli ambienti industriali italiani, segnalando la possibilità di sfruttare vantaggiosamente un patrimonio agroalimentare già pronto e disponibile, ma, ancora una volta, fu deluso dalla pochezza della classe politica ed economica del nostro paese, che non diede alcun peso ai suoi suggerimenti.
Le stesse autorità locali e lo stesso suo “scopritore” Gordon, cominciarono a vedere con sospetto la sua attività emancipatoria e di epurazione e fecero passare il suo rigorismo antischiavista e la sua lotta senza quartiere contro i “negrieri” come dettata da odio e sadismo. Deluso e offeso, Gessi iniziò una sfibrante risalita del Nilo su un improvvisato barcone, assieme ad altri seicento profughi, le condizioni proibitive del fiume rallentarono la navigazione, tanto che vennero meno i viveri e si moltiplicarono lutti e malattie: si arrivò persino a casi di cannibalismo e, alla fine, sopravvissero solo un centinaio di persone. Romolo Gessi riuscì disperatamente a raggiungere il Mar Rosso e imbarcarsi per Suez, dove poi morì nell'aprile 1881.