Una silhouette snella e flessuosa, l’affascinante signora che, pur sembrando uscita dalle pagine di un romanzo russo, incarna l’immagine della donna moderna, risoluta, forte, comunica sicurezza e determinazione, lo si intuisce dalla curiosità che mostra verso il mondo e dalla tensione vitale di vivere le esperienze senza indugi o paure, ma con la volontà e il coraggio di rispettare e dare ascolto ai suoi desideri e ideali profondi.
Ha un aspetto raffinato, un incedere elegante, leggero, la voce ferma e, allo stesso tempo, suadente, lo sguardo acuto che sembra cogliere al di là del visibile. Si amalgamano in lei una volontà di ferro corredata da una onestà intransigente che non lascia spazio ad ambiguità o fraintendimenti ed una visione lirica del mondo, una delicatezza e soavità nel rappresentare in immagini esperienze di vita, persone, opere poetiche, pensieri, legami, trasfigurandoli in maniera sublime nei suoi acquerelli cangianti o nei ricami delle sue opere grafiche.
Alina Kalcyńska nasce in Polonia, la cittadina di Rabka, con una bellissimsa chiesa di legno costruita interamente senza chiodi e circondata da querce secolari, diventa il giardino incantato della sua infanzia. Frequenterà l’Accademia di Belle Arti di Cracovia e poi l’innamoramento per l’Italia che diventerà il suo giardino incantato da adulta. Nel 1978 espone a Milano nello showroom di Lyda Levi, seguiranno poi altre prestigiose esposizioni a livello nazionale ed internazionale. Sposa Vanni Scheiwiller, editore, critico d’arte, critico letterario e tramite lui conosce e frequenta grandi poeti da Eugenio Montale ad Alda Merini, e poi Raboni, Sereni, e anche grandi artisti come Fausto Melotti, Bruno Munari, Kengiro Azuma. Ha collaborato coi migliori stampatori italiani e si è occupata di grafica editoriale. Ha esposto alla Biblioteca Sormani, alla Biblioteca Trivulziana al Castello e l’ultima mostra alla Biblioteca Braidense, sala Teresiana.
Questa, in breve, la biografia, ma ecco alcuni dei suoi lavori cosa raccontano di lei.
L’incisione su linoleum e sigilli cinesi per il libro d’artista Pensieri amichevoli, poesie di Bao Chang, 1985 è una raffinata composizione di forme geometriche che si conoscono, si intersecano senza farsi male, in un incontro amichevole, appunto, e sembrano librarsi verso l’alto in un immaginario percorso infinito. La percezione di questo vago movimento rende vivo il disegno, è una sorta di illusione ottica innescata dalla leggerezza delle forme, dai colori impalpabili e resi trasparenti dalla liquidità dell’acquerello giocato con maestria, il tutto è arricchito dal preziosismo dei sigilli cinesi che, in maniera garbata, si adagiano nel “Pensieri amichevoli” creando un buon legame.
Alina inventa, anche, un alfabeto immaginario disegnato a china per il libro d’autore Ideografie. Una miariade di segni turbinano come in un caleidoscopio, attirati da un circolo nero centrale che li attrae come se fosse una calamita, ma si crea un campo magnetico per cui non precipitano nel buco nero, e ognuno, pur vorticando, mantiene la sua posizione. Sembrano lettere di alfabeti strani, forse sono dell’alfabeto interiore della loro autrice, un alfabeto oniroide, visionario. Espressione di un contatto molto intimo con la misteriosità di cui siamo fatti. E chissà quali e quante storie immaginarie si possono comporre usando quei segni di sogno…
Vetrata per V.S. è uno stupefacente mosaico di vetro che Alina dedica al marito, l’editore Vanni Scheiwiller. Su fondo blu si staglia una striscia luminosa e colorata fatta di tessere brillanti, è una cascata caleidoscopica di luci e colori, una strada nel cielo che sembra elevarsi in una traiettoria verso l’infinito. Un totem luminescente, una poesia radiosa che testimonia il saldo legame per Vanni e una dedizione e passione per il percorso intriso di bellezza e di arte che hanno condiviso per una vita, e forse è anche quello il senso di quella via lastricata di fulgore. Mi piace pensarlo come simbolo luminoso, coloratissimo, trasparente del loro cammino, come metafora della loro storia, ma anche come immagine di Vanni che si è cristallizzata in Alina.
E poi ecco l’impatto perturbante con l’acquerello Leggendo il fondo del mare, occhio ciclopico, inquietante, utero, ombelico del mondo, numinosità dell’enigma uomo, metafora del mistero della vita. Il titolo, tanto per cominciare, esprime un’azione che riguarda gli abissi. Dà, infatti, una sensazione di movimento, di rimescolio, di un continuo essere risucchiato per poi riemergere, quasi per essere espulso all’esterno con forza esplosiva o forse per rinascere con tutto il senso del Big Bang che comporta quel fatto ineffabile che è la nascita. Richiama qualcosa di carnale, un movimento viscerale, quasi osceno, nel senso etimologico del termine, cioè fuori dalla scena, fuori dall’usuale, dal comunemente visibile o comunque sa di quella segretezza che connota i movimenti nascosti dell’interno del corpo che meravigliano e turbano. Richiama qualcosa di mobile che è contenuto in un apparato, ecco, come per esempio l’occhio che si muove dentro il suo abitacolo, e si fa avanti in maniera ambigua, tra l’arrogante e il timoroso.
È palpabile, molle, animale, tocca come il fondo della corporeità, ma arriva anche a toccare il pensiero, la profondità della mente proprio là dove si imparenta col corpo. Leggendo il fondo del mare: che sia come il pensare fino in fondo?
Galassia, profondità cosmica, più si osserva l’immagine più si ha l’impressione di sondare la profondità del cielo o gli abissi del mare, dando vita alla trasparenza e alla cupezza dell’esistente che a occhio nudo non riusciamo vedere; solo l’occhio visionario e favoleggiante dell’artista può cogliere quell’infinitudine di elementi che si nascondono dietro la nostra limitatezza, compensando così l’opacità del nostro sguardo e della nostra mente. Microcosmo e macrocosmo, corpo, ma anche pensiero, tutto è raccontato lì.
Certo è un’esplosione di carica energetica con tutti i possibili segni positivi (+) e negativi (-).
Viene da fissarlo intensamente per carpirne il mistero, ma suscita subito inquietudine, forse per il divieto innato di scoperchiare il sacro, coagulo di buio, grumo di sangue, pece soffocante, profondità abissali, per poi essere espulsi all’esterno con forza esplosiva attraverso tutta l’energia accumulata.
L’immagine sembra anche adombrare il rapporto originario col materno, col perturbante, amore e timore della bellezza.
Al principio c’era l’oggetto estetico, e l’oggetto estetico era il seno e il seno era il mondo.
(Meltzer)
Si oscilla turbinosamnente dalla cupezza spaventosa della profondità del blu alla leggerezza dell’azzurro aereo e rasserenante. Ma si intravede anche una danza di trasparenze, schiuma del mare, lacrime dell’inevitabile dolore per l’incontro con la realtà o per l’insostenibile gioia di vivere? In qualsiasi caso si tratta di ricami della mente.
E la mente leggera e profonda dell’artista, che non teme di avventurarsi nell’ignoto, riesce a leggere nel fondo del mare-anima intuendo la verità ultima, inguardabile, inconoscible, ma avvicinabile con la finzione e la poesia dell’opera d’arte.
“Chiedetelo ai poeti”, invitava Freud, che considera l’intuizione artistica uno strumento straordinario e unico di conoscenza della verità emotiva, riconosceva nell’occhio dell’artista una capacità intrinseca di vedere gli abissi dell’inconscio. Di leggere le profondità della sostanza di cui l’umano è impastato.
E allora, tornando all’acquerello di Alina, cosa vorrà leggere? Cosa vorrà scoprire? Quali inconoscibili fondi perlustra quell’occhio profondo e affamato di sapere? Quali viscere dell’esistente vuole toccare? L’occhio-sonda sembra muoversi verso il mistero.