Come si vive in questo mondo? Dove sono finite le istruzioni? C’è un modo di vivere “giusto”? Chi ha la risposta a queste domande? Nessuno.
È ora che ce lo mettiamo bene in testa: nessuno sa perché siamo qui, se c’è il modo giusto per vivere e, soprattutto, che senso abbia tutto ciò.
Certo ci sono stati filosofi, pensatori, messia, profeti che ci hanno detto la loro. Ma proprio qui è il punto: hanno detto la loro. Tu, invece, cosa ne pensi? Perché tu vali quanto loro. La tua idea di vita è valida quanto quella di Platone. Perché Platone era un uomo che ha cominciato a farsi delle domande e ha trovato delle risposte che per lui andavano bene, proprio come fa o potrebbe fare ognuno di noi.
Siamo liberi. Noi nasciamo liberi, senza alcuna restrizione, se non quelle dettate dai nostri limiti. Solo l’uomo incatena l’uomo. Noi ci imponiamo i limiti, noi dettiamo le regole da seguire. E questo dà una parvenza di senso a quello che facciamo. So che se resto entro certi schemi tutto va bene e che se li supero avrò dei problemi. Quindi ho una strada segnata, pronta per essere seguita. Una strada tracciata dallo Stato, dalle autorità precostituite, dalle religioni, dalle credenze, dalle tradizioni, dalle convenzioni, dalle abitudini.
Nei valori tradizionali il senso di una via.
(Franco Battiato, Il mito dell’amore, dall’album Fisiognomica, 1988)
Basta restare nel solco tracciato e tutto andrà bene. Perché, cosa potrebbe andare male?
Si dice che essendo tanti abbiamo bisogno di regole che ci guidino, che servano da garanzia per i più deboli, per tutelarli. Perché l’animo umano non è buono; il più forte sopraffà il più debole. E allora le regole rimettono le cose a posto.
Noi viviamo in un mondo normato, fino all’eccesso, ma non mi sembra che regni la pace, o che il grande aiuti il piccolo, non si direbbe che tutto proceda nel migliore dei modi.
Le regole. Mi piace la definizione che descrive l’anarchico come una persona con principi morali incrollabili tanto da non avere bisogno di regole esterne.
In effetti, che bisogno ci sarebbe delle regole se ci appellassimo alla nostra coscienza, al nostro buonsenso?
Davvero ho bisogno di qualcuno che mi dica che rubare è sbagliato? Che non devo approfittarmi del più debole? Ditemi la verità, esiste davvero qualcuno in grado di commettere un abuso, una cattiveria, una vigliaccheria pensando che sia giusto farlo? Che non sente nel profondo del suo essere che sta commettendo un’azione riprovevole? Può esistere una persona o, peggio ancora, un gruppo di persone che speculano sul prezzo del latte in polvere per neonati, facendolo pagare l’equivalente di uno stipendio mensile, nei Paesi con maggiore tasso di povertà e disuguaglianza sociale? Se esistono persone così sono malate, hanno bisogno di cure, più che di regole. Evidentemente c’è qualcosa nel loro modo di pensare che va contro il senso stesso della vita, che è quello di continuare ad esistere.
È tempo di renderci conto che siamo nelle mani sbagliate, che coloro che hanno il controllo delle popolazioni sono persone malate, con forti disturbi mentali.
Non si spiega altrimenti l’assurda sete di potere che anima queste menti deboli. Conquistare, conquistare, avere, avere. Non è un modo infantile di pensare alla vita? Tutto qui quello che questi padroni del mondo hanno elaborato come piano per comandare, per avere il controllo su tutto? Non sono riusciti a pensare a un modo migliore per vivere e per far vivere sia i loro simili che il resto della natura? Quanto sono stupidi? Non si rendono conto che, tira, tira, poi la corda si spezza? Non credono che potrebbe essere meglio, anche per loro, fare in modo che il popolo non stia troppo male? Se loro non si rendono conto di quello che stanno facendo, noi sì, e abbiamo deciso che da ora le cose cambieranno. Pensate sia impossibile? Loro avranno anche le regole del gioco dalla loro parte, ma noi siamo il gioco, senza di noi loro non sono nulla. E noi non ci stiamo più a questo gioco stupido, banale, infantile e tremendo.
Rendiamocene conto, nel profondo del nostro essere: noi siamo il gioco. Se noi ci fermiamo loro sono finiti. Eh, ma come? Questa è l’obiezione che si sente sempre: come possiamo cambiare questa società?
Unendoci. Lo so, è altrettanto banale, ma è la verità.
Quando il popolo si è unito ha fatto la differenza. Se crediamo che ci sia qualcuno che tiri le fila, che abbia la convenienza a fare in modo che le cose continuino su questa strada, se non addirittura peggiorino, abbiamo anche il dovere di credere che noi possiamo fermarli, che abbiamo tutti i diritti, se non i doveri (almeno morali), per dire basta!
Dopo decenni di manipolazione delle nostre menti, dopo anni di istupidimento causato dalla propaganda mediatica non siamo più sicuri di noi stessi, temiamo di non essere adeguati, di non avere le qualità per operare un vero cambiamento sociale. Ci sono gli esperti, loro sanno cosa fare. Tutto falso. Concentrarsi su un aspetto fa perdere di vista il disegno nel suo complesso. L’esperto è un tecnico che deve mettere la sua esperienza al servizio della società. Al servizio di chi ha una visione più ampia, olistica della vita.
Prima ho detto che noi nasciamo liberi, ed è vero. Ma mi piace anche ricordare una bellissima canzone del signor G che diceva: “Libertà è partecipazione”1. Dobbiamo rivedere il nostro senso nel mondo.
Cosa vuol dire vivere, perché siamo qui: abbiamo detto che non lo sa nessuno. Allora decidiamolo noi. Meglio, scegliamolo. Sul muro di un Ghat a Varanasi (India), in una delle zone dove si accalcano migliaia di lebbrosi e mendicanti, qualche anno fa c’era scritto: “Essere poveri non vuol dire non avere soldi, ma non avere scelta”. Libertà è poter scegliere e noi siamo nelle condizioni di poterlo fare.
Reinventiamoci il nostro ruolo nella società, ripensiamo a cosa vuol dire vivere in una società. Al momento sembrerebbe che il nostro ruolo sia quello descritto da una celebre frase anarchica: “Nasci, produci, consuma, crepa”, con al massimo l’aggiunta di “vota”, ma fra poco faranno a meno anche di quello.
Tutto qui? La nostra vita si riduce a questi meccanicismi? Noi che, a sentire alcune religioni e molte filosofie, dovremmo contenere la scintilla divina siamo alla stessa stregua di un tamagotchi? Beh, facili da controllare, no?
Perché non pensare, invece, che sì, abbiamo in noi la scintilla divina, anzi, arrivo a dire di più: d=io. E se le cose stanno così allora posso fare molto di più che produrre e consumare. Per esempio, posso spazzare via tutti questi esseri ignobili che popolano le stanze del nostro potere. Posso impegnarmi in prima persona per dare un alt alle ingiustizie che avvengono nel nome dell’occidente e del progresso. Posso fare in modo che i cosiddetti “poteri forti” non abbiamo più il mio consenso diretto o indiretto. Posso coscientemente acquistare prodotti che non arricchiscano i soliti noti, mettendoli sempre più nella condizione di poter fare di noi ciò che vogliono. Posso impedire che alcuni malati di mente comincino “guerre preventive”. Posso fare in modo che le minoranze vengano tutelate, anzi posso fare molto di più, posso fare in modo che nessuno si senta più minoranza. Posso far finire la devastazione della natura da parte di uno stupido essere egoista e presuntuoso. Posso fare tutto. Posso far cambiare strada a questa deriva sconsolante. Posso far diventare questo un mondo migliore e per farlo dovrò per primo essere io un uomo migliore.
Ricordiamoci chi siamo, riprendiamoci da questo rimbambimento indotto: siamo sotto sedativo da qualche decina d’anni. Ora basta.
Dobbiamo solo fare una cosa: cominciare. E si comincia con il creare una rete di persone che hanno lo stesso sentimento. Cominciamo con il piede giusto. Non dobbiamo avere dei desideri da realizzare. Non si tratta di questo. Nel momento in cui desideriamo qualcosa ne restiamo intrappolati, vogliamo raggiungere il nostro obiettivo e se non ce la facciamo ci sentiamo frustrati. Non è questo il modo per emanciparci. Noi dobbiamo cominciare un percorso evolutivo senza fine, senza obiettivo. Un percorso che comincia da dove siamo, ma non sappiamo dove ci porterà. Questa è l’avventura della vita, non in che ufficio passerò i prossimi 30 anni, se avrò figli o se mi sposerò. Noi non sappiamo dove andremo e questo ci fa essere distaccati dal frutto della nostra azione, condizione ideale per cercare il vero. Ma non possiamo farlo da soli; l’universo è un unico intreccio di relazioni, tutto è collegato. Una volta queste cose ce le dicevano i mistici oppure chi aveva fatto esperienze psichedeliche; oggi ce lo dice la scienza: noi siamo parte della rete della vita. Da solo non vado da nessuna parte. Non fatevi abbagliare da personalità come Gandhi o il Che. Purtroppo, neanche loro, pur essendo delle grandi anime, sono riusciti a cambiare granché. Vent’anni di globalizzazione hanno stravolto l’India come neanche duecento anni di dominio inglese sono riusciti lontanamente a fare.
No, da soli non si combina niente, ma insieme sì. Insieme abbiamo la forza di fare qualunque cosa. E allora perché non farlo? Se non per noi, per i nostri figli, se è vero che teniamo a loro. Uniamoci, mettiamo insieme le nostre forze, energie, intelligenze e cambiamo questa pseudo-società. Che uomini saremmo se non rendessimo migliore il posto in cui viviamo?
Avete altro in programma per questa sera?
1 Giorgio Gaber, La libertà, dall’album: Far finta di essere sani, 1973.