Se da un lato l’emergenza Covid-19 ha significato la chiusura di attività commerciali e di molti contatti umani, dall’altro la permanenza in casa ha rappresentato, per alcuni, l’occasione per aprire la mente a nuove idee e progetti. “La scrittura può essere un modo per acquisire la consapevolezza delle proprie emozioni e poterle di conseguenza gestire in modo che non prendano il sopravvento”, è quanto sostiene Samuele Formisano, Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche e prossimo alla laurea in Psicologia Clinica il quale ha pubblicato di recente il suo romanzo d’esordio dal titolo L’amore ai tempi del Coronavirus. La narrazione ha visto la luce proprio durante i mesi della pandemia e del lockdown, scenario in cui la storia stessa è ambientata tra realtà e immaginazione. Scopriamo insieme qualcosa in più nell’intervista all’autore, per il quale scrivere è parte essenziale della propria esistenza, una passione e un’esigenza nate in tenera età grazie a un colpo di fulmine con la poesia che dura tuttora.
L’idea di scrivere un romanzo è nata durante il lockdown o quel periodo è stato l’occasione per sviluppare in maniera più profonda un’idea che avevi anche prima?
Scrivo da tempo ed è subentrato presto anche il desiderio di pubblicare un libro. Tempo fa avevo iniziato due racconti, un thriller psicologico e una commedia che non ho ancora terminato per diverse ragioni, un po’ come quando hai un’idea ma poi per varie circostanze il progetto che avevi in mente si interrompe e l’entusiasmo si raffredda. Il romanzo che ho pubblicato nasce invece dall’incontro tra l’idea e l’occasione giusta, con il lockdown ho avuto sia più tempo a disposizione per dedicarmi alla stesura sia l’input per ambientare il romanzo in un contesto reale.
Nella stesura del tuo romanzo avevi già in mente la trama nella sua interezza oppure l’hai creata scrivendo?
A grandi linee avevo già in mente l’impostazione, poi ovviamente in fase di stesura ho arricchito la storia con molti altri dettagli.
Credi che nella vita siano sempre necessari un allontanamento o una perdita di chi amiamo per comprenderne il valore?
In teoria non dovrebbe essere così. Dovremmo imparare ad apprezzare ciò che abbiamo nel momento stesso in cui ce l’abbiamo, ma questo spesso non avviene. Quello che so è che l’amore è in continuo mutamento, è dinamico come la vita stessa con i suoi momenti di quiete e serenità e quelli tempestosi. Non ho una visione dell’amore fiabesco con tanto di lieto fine, ecco perché nel mio romanzo parlo dell’amore romantico ma con realismo, metafora di un eterno dilemma: l’amore vero riesce a trionfare su qualsiasi ostacolo o c’è un momento in cui si arrende di fronte a circostanze difficili? Sicuramente ognuno, dentro di sé, conosce la risposta.
L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez narra un amore che trova espressione in una relazione epistolare, oggi molti approcci avvengono sui social. Nel tempo com’è cambiato a tuo avviso il modo di vivere le relazioni?
Una delle mie più grandi storie d’amore è nata proprio sui social quindi non posso condannarne l’utilizzo, al tempo stesso però è come se mi sentissi nato in un’epoca sbagliata. Ho la passione per le cose d’altri tempi, come le lettere d’amore, ecco perché trovo che i social abbiano un po’ svilito la componente romantica dell’amore. Come in tutte le cose coesistono aspetti positivi e negativi. Un tempo per avere notizie della persona amata si attendevano anche dei mesi, oggi si è iperconnessi e possiamo sentire chi vogliamo in qualsiasi momento, se da un lato questa è una grande agevolazione, dall’altro viene meno la magia dell’attesa. I social dovrebbero essere utilizzati con moderazione, non devono sostituirsi alla realtà, ma affiancarla per facilitarla altrimenti si rischia di vivere una vita fittizia con il bisogno costante di dimostrare ed esibire ciò che non si è, ciò che non si ha e questo può sfociare nella solitudine e negli stati depressivi.
Oltre allo scrittore colombiano che hai omaggiato con un chiaro riferimento nel titolo del tuo libro, quali scrittori apprezzi in modo particolare?
Nutro grande stima per diversi scrittori, ma ce ne sono due in particolare che hanno influenzato notevolmente la mia formazione e sono Alessandro Baricco e Niccolò Ammaniti. Del primo mi piace molto il modo in cui riesce a catapultare all’improvviso il lettore in una scena e di conferire ai dialoghi un’atmosfera sognante, del secondo amo il realismo che sfocia nel tragicomico, come in fondo è la realtà stessa che anche nei suoi momenti di tragicità lascia sempre intravedere delle sfumature comiche. Mi piace molto anche Luigi Pirandello, trovo estremamente attuale e interessante il suo concetto di maschera, mentre tra gli autori stranieri apprezzo Fëdor Dostoevskij, precursore della psicoanalisi e della letteratura dei primi del ‘900, è infatti possibile individuare importanti idee innovative nei suoi romanzi che precedono di qualche decennio L'interpretazione dei sogni di Freud.
Già a tredici anni sentivi l’esigenza di comunicare le tue emozioni attraverso la scrittura, cos’è per te scrivere? E ti definiresti più uno scrittore istintivo o razionale?
Probabilmente lo scrittore che più mi ha trasmesso la passione per la scrittura è stato mio padre. Un giorno ho trovato un suo vecchio quaderno in cui lui scriveva pensieri e poesie melanconiche, mi innamorai così della scrittura e decisi di iniziare anch’io a scrivere. È stato un modo per iniziare ad esprimere i miei stati d’animo, le sensazioni e le emozioni, anche quelle negative e nel contempo elaborarle per poterle dominare e non farsi sopraffare da esse. La vena malinconica connaturata in me trova così via di espressione e fuga solo nella scrittura, è un aspetto che considero positivo perché aiuta a riflettere e a porsi domande, ma anche a far sì che i lettori possano rispecchiarsi in un’emozione. Questa è una componente essenziale per me. Credo infatti sia importante scrivere per se stessi ma mi rende davvero felice sentirmi dire che sono riuscito a dare voce alle emozioni di chi mi legge. Credo che tutti gli artisti in fondo desiderino arrivare alle persone e ricevere il loro messaggio trasformato che così diventa uno specchio per l’artista stesso. Nella scrittura mi definisco istintivo e credo che nell’arte la componente razionale sia davvero esigua.
Ti occupi anche di poesia, quando e come è nata questa passione?
La passione per la poesia è iniziata con la lettura degli scritti di mio padre. Fu allora che cominciai ad avvertire la mia vena malinconica e a sentire l’esigenza di esprimermi attraverso poesie e pensieri, scrivendo di cose che vivevo e sentivo durante la giornata, ma anche descrivendo paesaggi legati ai miei tanti spostamenti. Paesaggi collinari e tramonti, spiagge e onde del mare sono sempre stati grande fonte di sensazioni e ispirazione.
Dopo questo romanzo leggeremo anche una raccolta di poesie?
Sì, mi piacerebbe. Attualmente pubblico sulla mia pagina Instagram le poesie che di solito compongo nelle ore notturne, in silenzio e solitudine. Sarebbe bello inserirle in una raccolta ed è una possibilità che non escludo.
Tra poesia e narrativa quale genere prediligi e perché?
Non c’è un genere che prediligo nella scrittura, perché entrambe mi aiutano a veicolare determinate emozioni in un determinato momento, spesso di notte mentre ascolto la musica trovo spontaneo scrivere brevi componimenti, quando ci sono invece tempeste emotive, come è successo durante il lockdown, preferisco dedicarmi alla narrativa che mi consente di avere più libertà nella trasposizione dei pensieri. Dipende tutto da quanto ho da dire.
L’epilogo del tuo romanzo lascia spazio all’immaginazione, esiste l’ipotesi di un sequel?
Ho lasciato il finale aperto perché dà la libertà sia di immaginare la continuazione sia eventualmente di scriverla. Ho certamente pensato alla possibilità di un sequel ma questa decisione è condizionata da due fattori: se avrò ancora qualcosa da raccontare in merito e poi, in tutta sincerità, conta per me anche la risposta dei lettori.