Mentre i grandi eventi dell’arte contemporanea subiscono ritardi e rinvii dovuti all’incertezza del post-COVID-19, pare che alcune realtà indipendenti trovino il coraggio per intraprendere nuovi progetti stimolanti. È il caso di Spazio Amira, unico punto di riferimento per l'arte contemporanea a Nola. Ricavato dalle mura del primo seminario gesuita, voluto dal vescovo Antonio Scarampo nel 1566, questo spazio è nato dalla tenacia di Raffaele Avella, avvocato, gallerista, collezionista, artista ed editore che ha creato una piccola oasi dell’arte contemporanea nel cuore del centro storico della città di Giordano Bruno. Uno spazio a cui si aggiunge un giardino che è un piccolo polmone d’ossigeno non solo per la natura ma anche per diverse installazioni site specific ed anche un ipogeo che lui stesso, con fatica e passione, ha liberato dai detriti del tempo, rendendolo una originale location per eventi espositivi.
Raffaele, come e quando è nato Spazio Amira?
Non avendo spazi espositivi in città approfittai di una proprietà di famiglia, che fu sede, nel 1566, del primo seminario di Nola e incominciai a ristrutturarla. Sempre da solo, con le mie idee, a poco a poco venne fuori quello che oggi è lo spazio che tra poco sarà un’associazione culturale no profit con le caratteristiche attuali del terzo settore denominata Amira.
Al principio fu quasi un mio studio in cui lavoravo e poi esponevo le mie opere ma ben presto non mi bastò più, così quando conobbi altri giovani artisti, come Michela Prato, Veronica Vecchione e Luigi Albi, incominciai ad allestire mostre e a pensarlo più come a uno spazio creativo condiviso.
Sei originario di Nola, a cui sei molto legato. Come è stato il dialogo artistico che sei riuscito ad instaurare, nel tempo, con la tua città?
Nola ha vantato fino a quarant’anni fa una tradizione di gallerie d’arte. Ve ne erano quattro in particolare, che hanno esposto opere di artisti stranieri ed italiani storicizzati, tra cui anche il centro d'arte e incontro che avveniva nella stamperia d’arte di mio zio Vittorio.
Lo Spazio Amira è situato proprio nel centro storico, all’interno di un antico palazzo, dove ancora oggi ci sono tracce di antichità. Sono sostenuto, moralmente, da tutti gli appassionati d’arte contemporanea di Nola e dintorni e da quando lo spazio ha aperto ho notato che anche altri giovani, a loro volta, cercano di mettere su progetti artistici, così quando posso, a mia volta, li sostengo come meglio posso.
Oltre a gestire lo Spazio Amira ed a svolgere la professione forense, sei anche un artista. Ci racconti un po’ della tua arte?
Sin da piccolo ho sempre giocato con il desiderio di creare giocattoli diversi da quelli che avevo. Li smontavo e li ricomponevo. Mi affascinava inventare nuove combinazioni, anche se poi non avevo mai un gioco intero. Da piccolo, avendo una casa molto grande, con camere adibite a deposito di cimeli e mobili antichi, mi ricordo che trascorrevo ore a scavare in oggetti e cose di famiglia. Credo sia cominciata da lì la mia ricerca. Oggi, quando penso alla mia infanzia, credo sia stato un momento di crescita interiore molto importante per me, anche per l’educazione ricevuta dai miei nonni. Crescendo ho sempre di più alimentato questa mia passione di “fare”, spinto da una curiosità sempre viva, più forte della ragione.
Nel 2003/04, partecipando ad un cine-art, vidi la mostra di un artista che faceva decollage. Il giorno successivo mi recai presso un negozio di belle arti e comprai alcune tele, acrilici e foglie d’oro. La mia prima opera fu un volto d’oro che intitolai la Venere. Incoraggiato dalla mia famiglia iniziai a crearne delle altre. Presto furono esposte in diverse fiere, a casa di amici e alcune furono acquistate. Ormai ero “contaminato” e da quel momento non mi sono più fermato.
Tuo zio, Vittorio Avella, è un maestro delle tecniche incisorie. Quanto ha influito su di te, il mondo de Il Laboratorio, l’unica stamperia campana, nonché punto di riferimento di artisti, collezionisti e curatori?
Tutto incominciò quando incontrai Vittorio Avella nelle vicinanze dello Spazio Amira. Sebbene vivessimo vicini mi feci avanti appena terminarono i lavori di ristrutturazione. Gli raccontai che avevo creato questo spazio espositivo, lui rimase stupito da questa notizia e, incuriosito, mi chiese di visitarlo. Da quel giorno, posso dire che la mia vita artistica cambiò. All’improvviso ebbi la possibilità di avere le risposte alle mie mille domande. Grazie alla sua esperienza mi aiutò a decidere in quale direzione andare sia nella gestione dello spazio sia su come affrontare la mia crescita artistica. Conobbi poi Tonino Sgambati, con cui mio zio iniziò l’attività de Il Laboratorio nel ‘68, e un bel giorno mi chiesero di diventare loro socio in modo da continuare l'attività del laboratorio anche dopo di loro. Da allora è nata una sinergia spontanea come se lo Spazio Amira ed Il Laboratorio si fossero fusi.
Spazio Amira ha ospitato diverse mostre ed eventi culturali importanti. Come è cresciuta nel tempo?
All'inizio è stata dura formare dal nulla, la credibilità di un nuovo spazio artistico. In provincia è sempre più difficile attrarre persone e artisti da fuori. Ciò che secondo me, sicuramente, ha contribuito alla nascita della sua personalità è stato quello di creare eventi solo quando ci si credeva veramente. Ho dovuto dire molti no per mantenere un certo livello espositivo, questo ha giovato allo spazio che man mano è riuscito ad attrarre, durante le mostre, persone che arrivano anche dall’estero, regalandomi un senso di magia. Poi pian piano nel tempo abbiamo avuto in mostra tanti artisti tra cui Mimmo Paladino con tutta la produzione grafica creata in collaborazione con Il Laboratorio edizioni, Cyop & Kaf, Riccardo Dalisi, Dino Izzo, Max Coppeta, Marco Abbamondi, Amedeo Sanzone, Fiormario Cilvini e a settembre ospiteremo Susanne Ristow da Düsseldorf.
Prima del COVID-19, stavi preparando una mostra che a breve inaugurerai, ce ne parli?
Certo, è in allestimento la mostra di Kosuth e Pietro Lista! L’idea di questa mostra è nata quando un amico collezionista mi ha concesso due esemplari di (Red) Neon 1989. Quando Pietro Lista li ha visti e mi ha raccontato la sua passione per quest'opera è stato felice di entrare nel progetto espositivo, realizzando un'installazione ad hoc. Arte Concettuale e Arte Povera sono una bella sfida, anche perché per questa mostra stiamo rivoluzionando gli ambienti interni dello Spazio, proprio per creare una scenografia più che una mostra. Fortunatamente è stata sin dall’inizio concepita in modo da rendere lo spazio videogenico, perciò sarà in linea con le necessità del tempo, viste le limitate possibilità di ospitare persone.
È in cantiere anche un bel progetto con la Fondazione Pistoletto, in cosa consisterà?
L’anno scorso Renzo Barsotti, ambasciatore del Terzo Paradiso che vive in Portogallo era ospite di mio zio Vittorio per discutere di alcuni eventi da organizzare nel territorio Campano. Da tempo avevo in mente di trasformare dei miei terreni non coltivati in un parco per ospitare opere di land art. Così mi venne l’idea di proporre a Renzo di realizzare il simbolo del Terzo Paradiso su questa mia collina all’interno del Parco regionale del Partenio. Renzo mi rispose che ne avrebbe parlato con Michelangelo la sera stessa, anticipandomi che Pistoletto autorizza la realizzazione del simbolo solo quando poi partono progetti per il territorio. Il giorno successivo mi diede conferma che l’idea era piaciuta e quindi mi sono attivato per creare un progetto, avallato poi ufficialmente dalla Fondazione Pistoletto, che consiste nel creare il simbolo del Terzo Paradiso lungo 100 metri sul versante della collina che guarda il Vesuvio e la mia città, Nola, con essenze arboree della macchia mediterranea per dare vita e inizio ad un'altra avventura.