Firenze, anni Settanta. Episodio realmente accaduto. Due derelitti, al limite della fame, leggendo un rotocalco, appresero che Sophia Loren aveva appena messo su casa a Parigi, place Vendôme, e furono assaliti dal dubbio: “Ma che sarà chic?”.
Ecco, per l’indirizzo del soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze, Pistoia e Prato non bisogna crucciarsi: è talmente chic che sembra di essere ricevuti dal Granduca di Toscana: piazza Pitti, 1. La Galleria Palatina al primo piano, il Giardino di Boboli, per uno sguardo sul verde.
Appurato che il problema di Andrea Pessina non è l’eleganza dell’ufficio, dunque tranquillizzati, è interessante ascoltare i problemi quotidiani di un soprintendente perché riguardano il rapporto di ogni italiano, ne sia consapevole o no, con una vita da spendere oggi, ma che viene dalla notte dei tempi.
Un aspetto che le sta particolarmente a cuore?
Ce ne sono tanti. Quello che mi ha colpito di più è il progressivo deterioramento di Firenze. Sono arrivato nel 2012 come soprintendente all’Archeologia per poi passare nel 2016 soprintendente unico di Firenze, Prato e Pistoia. Un turismo di massa di cui, adesso, con il COVID vediamo i danni collaterali; lo spopolamento del centro e poi, francamente, una politica di uso della città che sembra essere più un consumo. Faccio fatica a pensare che Firenze possa continuare in questo modo. Temo che l’emergenza passerà e si tornerà alla situazione che conoscevamo, ahimé, poco tempo fa. Mi rendo conto che sono in atto processi complicati da gestire, forse quando si manifestano è già troppo tardi per intervenire, però io penso che si debba fare qualcosa.
Che cosa?
È un po’ difficile. La mia poi è una visione di parte perché mi occupo della tutela, della conservazione, e qui entrano in gioco delle strategie più ampie di gestione. Sicuramente riportare i residenti in centro.
Ho molto apprezzato alcune attività dell’amministrazione comunale. Ad esempio, il tentativo di proteggere gli esercizi storici, il tentativo di iniziare a ridurre gli spazi occupati dai dehors di bar e ristoranti, soprattutto da certe tipologie di dehor che sono abominevoli. Non è solo una questione di bellezza o bruttezza delle strutture, alcune possono piacere, ma di dimensioni eccessive che espropriano, e per sempre, spazi di tutti. Piazza della Repubblica è un insulto. Non è particolarmente bella, ma rappresenta il capitolo di Firenze capitale d’Italia, ed è occupata da costruzioni terribili. Io penso, e lo si vede ora, che sia bellissimo un semplice tavolino che permette di stare all’aria aperta, nelle piazze che tornano a essere luogo di socializzazione mentre gli spazi conclusi, privatizzati, non sono assolutamente giusti.
Un altro tema che viene prepotentemente alla luce è il deperimento del patrimonio culturale ecclesiastico. Da tempo, e con la consapevolezza delle diocesi, che si stanno adoperando tantissimo, stiamo assistendo a un fenomeno nei confronti del quale non possiamo fare nulla: una riduzione del numero dei preti, credo che nel giro di qualche anno ci sarà un dimezzamento, e comunque un innalzamento notevole dell’età, l’abbandono di moltissime chiese, visto il calo dei fedeli, che sono ricche di storia e di cultura e hanno al loro interno dei patrimoni importanti. Non ci dimentichiamo che per secoli la Chiesa è stato il principale committente di opere d’arte.
Spostare gli oggetti, le pale d’altare, che sono nati per questi luoghi, è un chiaro depauperamento, ma soprattutto le chiese di campagna o delle zone impervie sono esposte al saccheggio.
Diceva poco fa che un altro argomento cruciale è quello dell’inserimento dell’architettura contemporanea nelle città d’arte.
Sì. L’esempio più clamoroso è quello della loggia di Isozaki per gli Uffizi che un pochino spiega di come noi italiani accettiamo con difficoltà il nuovo nel tessuto storico. In questo caso abbiamo un concorso internazionale al quale hanno partecipato grandissimi architetti, un vincitore, risorse impiegate, un progetto incompiuto, ed io credo sia un qualcosa di negativo che il nostro Paese non può sopportare. Anche se da un mio punto di vista personale la soluzione di Isozaki non era tra le più belle, ritengo si debba andare avanti. Infatti, ho accolto con piacere le dichiarazioni del ministro Franceschini in questa direzione.
Certo, ci sono anche casi non proprio felicissimi dell’inserimento del contemporaneo, pensiamo al Palazzo di Giustizia che ha modificato lo skyline della città, qui da Boboli lo vediamo benissimo. Però ci sono anche esempi virtuosi e uno è il recupero della Manifattura Tabacchi che, se non altro, apre la speranza di poter avere una Firenze moderna accanto alla Firenze storica.
Il teatro del Maggio Musicale Fiorentino come le sembra?
Lo trovo bello. Un’opera per la quale sono state spese delle risorse ingentissime. L’unica cosa che mi è dispiaciuta è che non si siano stati riutilizzati gli arredi di Gio Ponti come traccia garbata dell’esistenza del precedente Teatro Comunale, le applique magari, mentre l’anno scorso il Louvre ha dedicato a Ponti una bellissima mostra.
Il neo è che esci dal teatro e ti trovi sui i viali, usati come tangenziale. Penso che fra cinquant’anni bisognerà studiare una strada di scorrimento al di fuori di Firenze.
Il teatro potrebbe essere l’inizio di un recupero di ciò che gli sta a fianco, il Parco delle Cascine che è in parte deperito: la zona dove si tiene il mercato è un piazzale di cemento e l’uso poco attento ha eroso le siepi dei controviali verso l’Arno. Su questo bisognerebbe fare uno sforzo perché già piazza Vittorio Veneto all’inizio del parco è stata maltrattata. Ora il Comune sembra avere dei progetti e noi ci auguriamo che sia veramente il momento di recuperare questi spazi.
Tornando al ripopolamento del centro.
Sarà difficile, indubbiamente. Non credo che un sistema economico che è stato costruito su due tipi di turismo, di massa e di élite, possa di colpo riciclarsi. Centinaia di alberghi, cosa fanno se non arrivano decine di migliaia di turisti? Penso che noi italiani, e i fiorentini non fanno eccezione, siamo sempre un po’ ipocriti nel fondo dell’animo. Diciamo di amare molto il nostro patrimonio ma non vogliamo rinunciare al nostro particolare tornaconto. In Soprintendenza lo vediamo ogni giorno: tutti ci chiedono di mettere vincoli, ma nei terreni degli altri, mai nei propri. Se i turisti torneranno, chi può guadagnare in maniera lauta con gli appartamenti, non rinuncerà. Finora tutto è ruotato sul tentativo di portare masse di gente in città. Che senso ha fare delle maratone che arrivano nel centro storico a Firenze? A Santa Maria Novella, un paio di anni fa, gli atleti si cambiavano sotto il loggiato del Museo del Novecento e la piazza era occupata da tir con i bagni.
Non si capisce la necessità di queste scelte.
Se noi cittadini siamo tutti complici c’è poco da sperare.
Sì, le responsabilità sono condivise ed estese. Però bisogna sperare.
Mi dica, allora, un fatto molto incoraggiante.
È difficile, credo. Innanzitutto, perché gli uffici che rappresento, non solo a Firenze, ma in generale, stanno vivendo una crisi epocale: dimezzamento del personale, pochissime risorse, un’età abbastanza avanzata anche se negli ultimi anni ci sono stati dei concorsi che hanno rimpolpato gli organici. Un tempo la nostra azione veniva apprezzata, se ne percepiva il senso profondo che è quello della tutela del patrimonio. Ora le soprintendenze sono viste come una palla al piede.
E le dico la verità che fare questo lavoro, che è molto faticoso, di grande responsabilità, nel quale bisogna resistere alle volte anche a pressioni fortissime, è più facile se c’è la percezione che la società civile apprezza quello che fai.
Da un lato le istituzioni che dovrebbero essere nostre alleate non lo sono più, anzi. Dall’altro c’è spesso una forma di discredito per cui ormai da anni si bollano i dipendenti pubblici come nullafacenti quando non è così. O perlomeno lo è solo in parte e ogni generalizzazione è sbagliata. Questo, l’ho notato, sta portando al disamore parecchi dei nostri funzionari.
Lei è disamorato?
Noooo (ride)! No, no, no (serio). Perché poi sul campo di battaglia ci si riprende e devo dire la verità: c’è una certa soddisfazione e si vede il senso di quello che si fa. Sarebbe positivo ci si potesse confrontare in maniera più chiara con le amministrazioni: la collaborazione leale che la Costituzione prevede fra i vari corpi dello Stato a volte non esiste. Ed è inaccettabile. C’è un’intromissione dell’interesse e dei politici che vogliono dei risultati: l’impressione è che le loro visioni siano limitate alla durata del mandato elettorale.
E siamo in Toscana.
Una regione con delle eccellenze, è fuori discussione, delle politiche in molti casi intelligenti, però c’è un problema nazionale. Può anche essere che la congiuntura storica sia tale per cui l’azione delle soprintendenze vada modificata. Nei decenni sono cambiate tante cose: venti, trent’anni fa, il patrimonio culturale era inalienabile. Quello pubblico invece non lo è più da tempo. Per l’erosione della ricchezza della classe media, delle grandi famiglie e soprattutto della ricchezza di Stato e Chiesa. Abbiamo un patrimonio incredibile e facciamo fatica a mantenerlo.
Ai nostri uffici viene dato l’ingrato compito della protezione a oltranza e ci chiediamo se in certe occasioni non sia meglio cedere un po’ e magari trovare delle vie.
Proteggere un po’ meno?
No! Proteggere, ma avere un margine di discrezionalità. Sul complesso di Costa San Giorgio c’è stata una puntata di Report e molte polemiche, però la verità è che quell’edificio di proprietà demaniale, pesantemente manomesso dall’esercito che l’aveva ridotto in uno stato pietoso, era abbandonato. Allora io credo che in alcuni casi, come questo, si debbano fare i conti con la realtà e fare delle concessioni. Non possiamo nemmeno trasformare ogni immobile pubblico in un museo, il rischio è quello di cristallizzare i centri storici fino poi a farli morire. Alcune scelte che nell’immediato tutelano il bene a lungo andare ne causano la fine.
Meglio, quindi, che a Costa San Giorgio venga l’albergo di lusso?
In questo momento sì, dato che non c’era l’interesse dello Stato. Tanti palazzi ci sono arrivati dopo aver cambiato nel corso del tempo la loro funzione. Dobbiamo accettarlo e non essere manichei: molte chiese sono state trasformate in caserme con l’unità d’Italia e poi sono tornate luoghi di culto. Però non è una scelta facile, dipende da posto a posto, da monumento a monumento.
Altro argomento scottante: lo stadio Franchi.
È sicuramente una delle opere maggiori del geniale architetto Nervi. Sono rimasto sorpreso quando, approfondendo la storia del Franchi, ho visto che molti libri si aprono con il Partenone e si chiudono con lo stadio di Firenze. Non ho dubbi sul fatto che vada tutelato, non mi sono mai pentito del vincolo che abbiamo messo, non mi pentirò mai e proverò grande dispiacere se la Fiorentina non giocherà più lì. Vediamo se le esigenze di tutela troveranno un punto di incontro con le esigenze della società calcistica. Amo essere ottimista su questa cosa.
La tramvia?
Molti non hanno capito che il nostro è un Paese complicato. Ci muoviamo spesso all’interno di progetti che magari ci hanno messo vent’anni ad arrivare all’esecuzione. Non è secondario. C’è stata la famosa questione dei pali della tramvia in piazza della Stazione. Sfido chiunque a dire che siano tollerabili. Premesso che non è un progetto che ho approvato io, ho detto ai progettisti che molti pali sono superflui: uno per la tramvia, uno per la luce, uno per il semaforo quando tutte le funzioni potevano essere portate sullo stesso palo. L’importante è il fatto che le nuove vetture funzioneranno a batteria e la selva di pali prima o poi verrà eliminata.
C’è stata, inoltre, la questione degli alberi. La Soprintendenza non è contraria alla tramvia, l’abbiamo detto in tutti i modi, semplicemente non poteva accettare che per la linea 3.2 venissero tagliati tutti gli alberi da piazza della Libertà per quasi un chilometro. È vero che gli alberi ricrescono però un conto è sostituire un albero malato o pericolante, e un altro tagliarli tutti di colpo. Voleva dire condannare una parte di fiorentini a vedere completamente sradicata l’immagine che avevano di Firenze e causare un disagio ambientale in una città che d’estate è caldissima. Alla fine siamo stati gli unici a opporsi ed è stata trovata una soluzione alternativa che forse renderà a mobilità un po’ più faticosa però ci auguriamo che con la tramvia si riduca il traffico.
La questione delle piazze?
Ci chiedono da più parti di consentire l’erezione di cancellate: le pressioni sono molto forti. La richiesta più frequente è per Santo Spirito. Ma come si può immaginare che un sagrato di quella dimensione venga circondato da una cancellata imponente che, l’ho fatto presente a padre Pagano, sarebbe alta almeno due metri e mezzo? Si verrebbe a creare la divisione di uno spazio pubblico. Non si risolverebbe così un problema che è di educazione: soprattutto i giovani hanno perso la consapevolezza dell’importanza di certi luoghi considerati delle spianate dove potersi trovare. Forse perché mancano le aree di aggregazione, forse perché nel Paese si insegna sempre meno la storia dell’arte.
Sembra che sia colpa nostra se c’è lo spaccio, se i ragazzi fanno bisboccia e lo trasformano in un orinatoio. Bisognerebbe applicare le leggi, invece, e poi la cancellata sposterebbe solo di qualche metro il problema. Un sagrato difeso da una muraglia mi pare una cosa avvilente. Il degrado si deve combattere in altro modo.
Il degrado alberga dentro l’essere umano e non fuori?
Sì, e sono un po’ stupito che questo non venga compreso.