Nel settore nord-occidentale della Sardegna è collocato un piccolo borgo, Ardara, dal nobile passato poiché costituiva l’antico Giudicato di Torres, di cui sono testimonianze il Palazzo reale, il Castello di Burgos, ma soprattutto la basilica di Nostra Signora del Regno, eretta all’inizio del 1100, tra le meglio conservate e straordinarie chiese in stile Romanico-Pisano dell’isola e d’Italia, caratterizzata dal colore delle pietre e l’imponenza.
Capitale nel Medioevo del Giudicato di Torres e a lungo reggia dei giudici, Ardara possedeva un castello nei cui pressi Giorgia, sorella di Gonnario-Comita, giudice di Torres e di Ardara, padre di Torcotorio-Barisone de Lacon-Gunale, volle innalzare una cappella palatina, che prese il nome di Santa Maria del Regno dalla stessa funzione di Ardara, capitale de "Su Rennu".
Lo pseudo-condaghe, cronaca logudorese del secolo XV, nel riportare le vicende della fondazione della chiesa di San Gavino di Torres, accenna alla costruzione di Santa Maria del Regno. L'ignoto annalista riferisce che Comita aveva per sorella "don Jorgia una forte femina qui issa curriat mandras et recogliat sas dadas, et icusta fetit sa Corte de sa villa de Ardar, et fetit su Casteddu de Ardar et fetit sancta Maria de Ardar,” confermando, quindi, che Giorgia, sorella del giudice, donna prestigiosa d'animo, virile e avvezza ai più pericolosi esercizi, fece realizzare la cappella di Ardara.
L’esterno della chiesa e la facciata principale
Questa è interamente realizzata in conci di basalto di tonalità scurissima e media pezzatura che costituiscono le due fodere, interne ed esterne. A pianta basilicale, con tre navate separate da otto colonne cilindriche, unica abside semicircolare a NE, presenta la navata centrale coperta con capriate lignee e navate laterali coperte da volte a crociera lievemente rialzate.
La soluzione architettonica dalla fisionomia severa e chiusa d'impostazione lombarda, presumerebbe il progetto di un architetto continentale dalla forte personalità, convenzionalmente chiamato Maestro di Ardara, per quanto la realizzazione sia attribuibile a maestranze quasi certamente pisane.
Il telaio strutturale esterno di Santa Maria del Regno è fornito da zoccolo a scarpa, piatte lesene e larghe paraste d'angolo, collegate da archetti su peducci scalettati dentellati o sgusciati.
Nella severa facciata principale, delimitata in cinque campi da paraste e lesene per rispecchiare la divisione interna a tre navate, si evidenziano dieci archetti su peducci che dipartono dal colmo del tetto per seguirne l’inclinazione; dall'ultimo archetto di sinistra e dall'ultimo di destra partono due larghe paraste d'angolo interrotte da una modanatura orizzontale sostenuta da quattordici mensoline scalettate ravvicinate che ha la funzione sia di marcare la zona timpanata che di collegare la facciata con i prospetti laterali.
Dal secondo archetto di sinistra e dal secondo archetto di destra si sviluppano invece lunghe lesene che correndo per tutta la lunghezza della fascia centrale della facciata, giungono fino a terra inquadrando l'unico portale d'ingresso costituito da un lungo architrave monolitico che poggia direttamente su due lisci piedritti privi di basi e capitelli, con superiore arco di scarico a sesto rialzato e sopracciglio modanato con cornice eccentrica rispetto all'arco, e bifora con leggero rincasso, colonnina monolitica, capitello a stampella decorato con foglie d'acqua e nella vela alloggio per bacino ceramico. Nel timpano si apre una luce cruciforme.
L’interno della chiesa
L'interno si presenta fortemente austero sia per il colore, che per il notevole spessore delle murature, che per l'esigua larghezza della navata centrale. I muri sono totalmente rivestiti, come all'esterno, con conci di basalto scuri, il che insieme alla poca luce che trapela dalle esili feritoie produce quell'impressione di cupo e di grave che già si prova alla vista esterna.
Le sedici colonne alte m 3,50 sono di gusto lombardo realizzate con elementi accostati e sovrapposti per giunti sfalsati. I caratteristici capitelli scolpiti a grandi tratti, posizionati sulle ultime colonne a destra e sulle ultime cinque a sinistra dell'abside, chiamano elaborazioni arabe, pur se interpretati con sensibilità romanica.
Il Retablo Maggiore e i suoi restauri
Il Retablo è una grande pala d'altare costituita da diversi scomparti dipinti alternati a scomparti in rilievo, inquadrati entro una incorniciatura architettonica fortemente elaborata. Diffuso come elemento decorativo in America Latina, Spagna e Sardegna, la sua etimologia deriva da retro tabula, cioè dalla collocazione dietro l’altare maggiore delle chiese.
Originariamente diffusi in Spagna durante il periodo tardo gotico e barocco, i retabli sono diventati elemento importante della cultura artistica della Sardegna grazie all’influenza della dominazione spagnola a partire dal 1326.
Tra le opere d'arte appartenenti alla chiesa di Santa Maria del Regno il Retablo Maggiore è senza dubbio la testimonianza più rappresentativa e la sua ricollocazione nell'abside avvenuta il 14 dicembre del 1996, dopo ventisei anni di permanenza all'Istituto Centrale del Restauro per restauro e tutela, accresce l'interesse per le immagini e per il linguaggio dei suoi esecutori.
L'opera realizzata a tempera su tavola dalle notevoli dimensioni, metri 10x6, riporta l’anno 1515 nella predella, oltre al chiaro riferimento all’autore Giovanni Muru che eseguì quest'ultima con il supporto di due Aiuti e a Joan Catacolo, già canonico della chiesa di San Pietro di Sorres e arciprete di San Antioco di Bisarcio, che commissionò tutta l'opera.
Nel basamento troviamo gli apostoli Pietro e Paolo; nella predella i santi Martino, Stefano, Nicola da Bari, Cosma, Damiano, Gavino di Torres e al centro Gesù.
Nel primo registro dell’ancona, da sinistra a destra, compaiono l'Adorazione dei Magi, il simulacro della Madonna col Bambino e la Resurrezione; nel secondo registro, sempre da sinistra a destra, la Natività e l'Ascensione; nel terzo registro, l'Annunciazione, la Dormitio Virginis e la Pentecoste e al vertice del Retablo, la Nascita della Madonna.
Nel polvarolo di sinistra, dal basso in alto, si scalano Davide, Mosé, Daniele, Amos, Gioele, Giovanni Evangelista e Malachia e, nel polvarolo di destra, dal basso in alto Salomone, Abramo, Zaccaria, Geremia, Isaia, Antonio da Padova e Baruch.
Simile disposizione di figure e di immagini del Vecchio e Nuovo Testamento riflettono una esigenza teologica. Si coglie, infatti, l'esaltazione della vita di Maria dal momento della nascita a quello della morte integrata nel mistero di Cristo. Nell'opera la natura divina di Gesù è evidenziata sia dall'apparire vivo nel sarcofago, sia dalla sua resurrezione; non viene ripreso quindi alcun riferimento doloroso come quello della crocifissione, tanto consueto nei polittici del tempo, ma soltanto gioioso. Per quanto concerne la cinquecentesca scultura della Madonna col Bambino posta nella nicchia al centro della composizione, si avverte la stessa impostazione di quella della cattedrale di Bosa e della chiesa di San Pietro di Sorres, scorgendovi un influsso franco-iberico.
Nel 1998 la Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Sassari e Nuoro è nuovamente intervenuta sul retablo maggiore con una manutenzione ordinaria che si è estrinsecata in un monitoraggio di tutto il dipinto e degli elementi decorativi (Progettista e Direttore dei Lavori Arch. Roberto Luciani). Si è potuto constatare che su tutta l’opera non si riscontravano movimenti lignei o sollevamenti di pellicola pittorica. L’eliminazione delle polveri è stata effettuata con pennelli a setola morbida di varia grandezza e forma.
Gli affreschi Giudizio Finale e Gloria e i loro restauri
Nella chiesa palatina di Ardara, oltre al Retablo Maggiore appena descritto, è presente anche un retablo minore posizionato nella navata destra. Si conservano inoltre preziosi affreschi in controfacciata e sulle colonne descritti nel 1907 da Dionigi Scano nella sua opera Storia dell'Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo. I due affreschi in controfacciata (m. 1,98x1,73) rappresentano le uniche testimonianze di un ciclo ormai perduto che illustrava i contenuti della Sacra Scrittura.
Si tratta di brani pittorici non coevi all'erezione del tempio, ma ascrivibili al XV-XVI secolo. L'affresco del Giudizio Finale vede l'immagine del Cristo affiancata da due figure ammantate. Al di sotto, la raffigurazione della Morte sovrasta, tra figure demoniache, una moltitudine di anime. La Gloria raffigura San Pietro in Paradiso che accoglie le anime dei beati. L'episodio si svolge davanti a due edifici caratterizzati dalla tessitura lapidea a vista, mentre sullo sfondo si snoda una processione di anime scortate da angeli alati.
I due affreschi di controfacciata, Giudizio Finale e Gloria, furono restaurati e staccati, con la tecnica dello strappo, per poi essere ricollocati su un supporto rigido mobile di multistrato irrigidito da listelli incrociati, nel 1963. Questa operazione si rese necessaria, per salvaguardarli dalla notevole umidità presente nella muratura di supporto.
Nel successivo restauro del 1998 sempre finanziato dalla citata Soprintendenza locale (Progettista e Direttore dei Lavori Arch. Roberto Luciani) è stato operato il consolidamento della pellicola pittorica e sono state rimosse le colle indurite, con impacchi di acqua e bisturi. Dopo la pulitura della pellicola si è proceduto alla stuccatura delle lacune e alla reintegrazione pittorica con la tecnica del tratteggio. Le ricostruzioni sono avvenute con la tecnica del puntinato in sottotono.